Studi Cassinati, anno 2003, n. 2
di Sergio Saragosa
Il ”Casale” o la “Villa” di Caira, come la frazione di Cassino era denominata anticamente, ha ormai un’età millenaria. La prima notizia della sua esistenza risale infatti all’anno 1080, come viene riportato dal Gattola nel primo volume delle Accessiones1. Anche la Chiesa di S. Basilio, l’unica sua chiesa, la cui costruzione fu sicuramente opera di una colonia greca stabilitasi nella zona, esisteva già nell’anno 1172, come risulta da un atto di vendita riportato nei Regesti, con data 14 del mese di Luglio2. Probabilmente fu edificata molto prima, cioè quando quella comunità appena insediatasi, sentì il bisogno di riunirsi in un luogo sacro; e quindi anche essa si appresta a compiere i mille anni. Dalle descrizioni fatte dai protonotari che accompagnavano gli abati di Montecassino nelle loro visite e che redigevano le relazioni sui registri, si desumono molte ed interessanti notizie che riguardano non solo la chiesa, ma anche vicende del nostro paese e dei suoi abitanti.
Nei registri conservati nell’Archivio di Stato di Montecassino, sono riportati gli esiti delle visite effettuate dagli abati alla chiesa di S. Basilio il 4 gennaio 1532, il 12 febbraio 1562, il 17 settembre 1570, il 4 gennaio 1576, il 10 maggio 1581, il 4 gennaio 1583, il 1 giugno 1696, il 18 aprile 1703 e il 6 aprile 1718. Per i periodi successivi ho tralasciato di cercare altre notizie perché vi sono diversi documenti, relativi alla nostra chiesa, già pubblicati.
Nelle prime due visite menzionate, nella stessa relazione redatta dal protonotario, si fa riferimento alla chiesa di S. Basilio e a quella di S. Maria di Farignola (quella che esisteva nell’attuale contrada Monacato) che vengono accomunate, e questo fatto conferma quanto da me già sostenuto nel nostro Bollettino n. 1, Anno II, del marzo 2002, circa l’esistenza dei due vicini Casali di Caira e Farignola, con le rispettive chiese. Per l’anno 1532 viene annotato anche il nome del curato di S. Maria a Farignola, che era don Cristoforo Martino, mentre per il 1562 già non si fa più distinzione tra le due Chiese, riunite in quella di S. Basilio. Nella visita successiva (1576), la chiesa di Farignola non esiste più. Dagli atti dell’Archivio di Stato di Caserta risulta che andò distrutta, senza che ne sia spiegata la causa. Il casale di Farignola però esisteva ancora con questa denominazione nell’anno 1700, come risulta dallo Stato d’anime redatto in quella data dal curato dei due casali, don Benedetto Cioffo. Per quel che concerne la chiesa di Caira, nelle relazioni vengono riportati i nomi di tutti i curati, che erano, per il 1562, don Mario Marsella e don Germano Cardinale, mentre per il 1570 ancora don Mario Marsella e don Antonio de Annunziata (?), che è presente anche nel 1576 insieme a don Camillo de Gambacorta; nel 1581 i curati erano don Federico Cavaliere e don Cosimo Tartaglia, nel 1583 ancora gli stessi e nel 1696 curava le anime degli abitanti del casale di Caira don Benedetto Cioffo, per conto di don Giacomo Evangelista. Per il 1532 il nome è illeggibile. Per la visita del 1703 il curato era don Giuseppe Carrozza, di anni 38, presente ancora nel 1718 e che fu parroco della gente di Caira per molti anni. In tutte le relazioni, comunque, viene sempre annotato il cattivo stato in cui la chiesa di S. Basilio si trovava e il fatto che i curati non risiedevano sul posto. Per quel che concerne il primo problema si rileva nelle annotazioni che il pavimento era dissestato, che dal tetto penetrava l’acqua e che le pareti minacciavano di cadere. Molte volte gli abitanti del paese si fecero carico di fornire non solo il materiale occorrente per le riparazioni, ma anche le giornate lavorative, per renderla agibile. Alla fine del ‘700 fu iniziata la costruzione di nuove e più robuste mura attorno a quelle già esistenti, ma verso la metà del XIX secolo la chiesa ancora “minacciava ruina”. In seguito essa ebbe la definitiva sistemazione, ma la guerra con i bombardamenti e i cannoneggiamenti del ’44 rimise tutto in discussione. Nell’immediato dopoguerra fu di nuovo riedificata, ma nel novembre del 1962 il suo tetto crollò sui fedeli che assistevano alla funzione serale, causando panico e feriti. Oggi finalmente il suo campanile svetta solenne, vigile e protettivo su tutte le case del paese. Sempre importantissimo, come risulta anche dalle richieste fatte ai vari abati durante le visite, è stato in tutti i tempi per gli abitanti di Caira il bisogno di avere i sacerdoti residenti in paese. Questa condizione si è verificata però solo poche volte nel passato e per brevi periodi, come avvenne per alcuni anni intorno alla metà del XVII secolo con don Cosmo Nardone e, alla fine dello stesso secolo, con don Alessandro Nardone, altro curato originario del paese. Il 21 gennaio del 1668 gli abitanti di Caira dovettero addirittura sottoscrivere un atto notarile che li impegnava a fornire grano, olio per le lampade e altre cose, pur di avere sempre in paese il sacerdote. Il fatto era che date le condizioni della chiesa, la povertà della gente e, a volte, anche il loro esiguo numero, non c’era convenienza per gli economi-curati a risiedere sul posto. Ad essi infatti spettavano solo otto ducati per conto del titolare della chiesa di S. Basilio e sei o sette per conto del titolare di quella di S. Maria a Farignola. Troppo poco per vivere decentemente per un curato e questo era il motivo per cui la gente del paese si faceva carico di tante altre cose per invogliarli a risiedere sul posto.
Dai documenti consultati risulta che la gente di Caira è stata sempre buona, timorata di Dio, assidua alle funzioni, non dedita ad alcun vizio, che non lavorava la domenica e nei giorni di festa, che rispettava i digiuni comandati e che non commetteva delitti di alcun genere; rispettava i sacerdoti ed apprezzava che essi alla domenica, dopo la messa, insegnavano la dottrina cristiana ai fanciulli e alle fanciulle, con profitto. Una sola lamentela fu avanzata da Lucius de Nardone, durante la visita del 1 giugno 1696, e fu relativa al fatto che, secondo lui, il sacerdote don Benedetto Cioffo … “manga d’avvertirci noi poveretti villici de’ cose appartenenti alla cultura di buono cristiano, con che restiamo un poco scandalizzati di questo, perché rare volte nella quaresima ci si predica, e non vedemo altro ecclesiastico che l’economo deputato in detto casale”. Per il resto il curato faceva tutto molto bene. Il bisogno di avere un predicatore quaresimale era molto avvertito dagli abitanti di Caira, perché questa richiesta ricorre sovente anche nei documenti conservati nell’Archivio di Stato di Caserta, dove ci sono atti dell’amministrazione di S. Germano (Cassino), relativi allo stanziamento di piccole somme per il pagamento di questi predicatori, richiesti per varie volte durante la prima metà dell’ottocento.
Dal resoconto della visita effettuata il 4 di gennaio del 1576, si viene a conoscenza purtroppo di un fatto riprovevole a danno di uno dei due parroci a cui era affidata la chiesa di S. Basilio ed è relativo alla sua assenza dovuta al motivo che era “absentes et carceratus propter demerita”. Il rappresentante del paese interrogato dall’abate, alla fine gli chiede che si adoperi per far si che il suddetto curato, incarcerato, restituisca il calice rubato dalla chiesa di S. Basilio.
Durante le visite pastorali l’abate, in compagnia di altri personaggi (nel 1696, tra gli altri, era presente l’archivista don Erasmo Gattola), visitava la chiesa, si rendeva conto del modo di tenerla da parte del curato, pregava, visitava il cimitero annesso alla chiesa, interrogava i sacerdoti e poi chiamava almeno un uomo, quasi sempre un Procuratore dei beni della Chiesa, e una donna, spesso la “mammana”, cioè la levatrice con licenza, per assicurarsi di come si comportavano i sacerdoti e per avere un riscontro a quanto da essi asserito. Dalla fine del XVII secolo in poi, i sacerdoti dovevano recarsi in curia, a S. Germano, il giorno successivo a quello della visita e venivano loro poste dall’abate in genere 14 domande relative a tutto ciò che riguardava la loro opera, l’amministrazione della chiesa, il rapporto con la gente e diversi altri argomenti ancora, e se si scoprivano gravi mancanze a carico del sacerdote, costui incorreva in pene pecuniare e perfino nell’allontanamento. Per tutto il periodo a cui si riferiscono i documenti analizzati, l’abate effettuava le sue visite a Caira a cavallo. Quando l’abate usciva dall’abbazia per effettuare le visite parrocchiali, lungo il sentiero che scendeva fino alla città di S. Germano venivano predisposte delle guardie armate in modo che una vedesse l’altra e le campane di tutte le chiese suonavano a distesa per annunciare il grande e importante evento. Nei giorni precedenti, gruppi di servitori erano già stati mandati nelle località da visitare per predisporre con cura ogni cosa. I parrocchiani delle chiese da visitare erano tenuti a versare un contributo per sostenere le spese che la visita dell’abate e del suo seguito comportava e se nasceva qualche imprevisto che impediva che questa fosse effettuata, il contributo doveva essere comunque versato. Nei secoli a cui facciamo riferimento queste visite costituivano sicuramente un avvenimento eccezionale e, prima, durante e dopo il loro avvento rappresentavano l’argomento di conversazione degli abitanti, specialmente per quelli delle zone più lontane e povere di abitanti, come era quella del Casale di Caira. Esse, inoltre, erano l’occasione per avanzare all’abate svariate richieste, per ottenere rivendicazioni, per notare cambiamenti nei costumi e nell’avvicendarsi dei vari personaggi e, forse, per appropriarsi di nuove conoscenze. Naturalmente non era permesso a tutti di avvicinare l’abate e il suo seguito, ma molte cose si potevano ottenere attraverso coloro che erano chiamati a conferire con lui. Le visite effettuate dopo il Concilio di Trento erano estremamente minuziose e, oltre alle cose già dette, l’abate analizzava anche tutti i paramenti sacri, l’altare, i registri dei nati, dei morti e dei matrimoni, controllava se le lampade erano sempre accese, se era garantito il minimo di pulizia, consigliava l’apertura di nuove finestre, specialmente in sagrestia per avere più luce, ordinava ristrutturazioni, confermava nella loro carica di Procuratori coloro che curavano i beni e gli interessi della chiesa, se avevano agito oculatamente. Le visite pastorali non avevano una cadenza fissa e venivano effettuate nei periodi in cui la situazione politica del tempo era tranquilla e non scoppiavano guerre. In tempi difficili per l’abbazia di Montecassino, infatti, le visite erano sospese perché vicende più gravi occupavano l’attenzione dell’abate.
Questi documenti sono interessanti perché annotano i nomi e i cognomi delle persone interrogate dagli abati ed è possibile così confrontarli con quelli in uso oggi. Si è potuto riscontrare ad esempio che nel ‘500 erano in uso cognomi che non esistono più non solo a Caira ma in tutta la zona del cassinate e altri, invece, come quello dei Fardelli e dei Velardo, che erano già presenti a quel tempo nel nostro paese. Nell’anno 1570 gli abitanti di Caira interrogati dall’abate furono Joannis Paschalis e Pitti Velardi, nel 1576 i testimoni furono diversi e cioè Pitty e Ciccus de G(B)elardo, Antonius Aloisej Paschalis, Santillus de Psico (?), Lionarde Colarium e G. Battista de Fasano, mentre nel 1583 toccò a Prosper Leonardi Fardelli, ad Alfonsius Benedicti Colarj, a Bernardinus de Vettorio, a G. Battista Leonardi Balie e ad Antonius Joannis Colarij. Nell’anno 1696 risposero alle domande Lucius de Nardone e la “mammana” Violante, moglie di Giacomo Parosella.
I curati della chiesa di S. Basilio che, in genere, erano quelli della chiesa collegiata di S. Germano, si recavano a Caira solo la domenica, il lunedi e nei giorni di festa. Per tutte le altre incombenze la gente del paese doveva recarsi a S. Germano a chiamarli.
1 E. Gattola, Ad Historiam Abbatiae Cassinensis Accessiones, Venetiis, Coleti, 1734, I, pag. 186, 1° privilegio del principe Giordano.
2 Regesto di S. Matteo de Castello – 1038-1172, Montecassino, 1914, n. 57, pag. 122.
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