Studi Cassinati, anno 2003, n. 2
di Duilio Ruggiero
La battaglia del Garigliano del 1503 costituisce l’epilogo della guerra tra francesi e spagnuoli per la conquista dell’Italia Meridionale, durata tre lunghi anni che ha seminato “distruzioni e tragedie in tutto il Regno di Napoli”1
Inoltre essa “doveva segnare l’inizio della dominazione spagnuola sull’’Italia Meridionale con tutta una lunga serie di viceré avidi e corrotti il cui compito principale era quello di spogliare le già misere popolazioni napoletane”.2
Questa battaglia con l’assoggettamento alla Spagna del Regno di Napoli “determinò per oltre due secoli (1500-1734) le sorti politiche del Mezzogiorno”.3
“La conferma del dominio spagnolo, che già da tempo si era insediato sul continente, costituì un ostacolo all’indipendenza italiana, ben più grave di quello che avrebbe potuto essere rappresentato dai francesi”.4
Il 7 aprile 1498 moriva in Amboise, appena ventottenne, Carlo VIII, ultimo del ramo primogenito dei Valois, senza eredi diretti. Col nome di Luigi XII, gli succedeva il cugino e cognato, il duca d’Orleans, di 36 anni, dotato di ambizioni smodate, che sin dal primo giorno dell’assunzione al trono di Francia, esternò le sue pretese sul napoletano ed anche sul ducato di Milano.
In mira di queste mete, con molta abilità politica, cominciò a cercare alleanze ed a concludere trattati con vari stati della Penisola.
Tra la fine del secolo ed i primi anni del ‘500, il Re di Francia con corruzioni ed intese, blandizie e promesse, minacce e crudeltà, favorito anche dalla viltà di alcuni principi italiani, nonchè rivalità ed astio tra di loro, aveva stretto alleanza con diverse città della Lombardia e del Piemonte. Fece anche una breve escursione in Italia.
L’11 novembre 1500 Luigi XII di Francia ed il re di Spagna Ferdinando II il Cattolico, avevano concluso un patto segreto (il trattato di Granata) confermato da papa Alessandro VI e dal conclave dei cardinali nell’anno successivo per attaccare contemporaneamente e dividersi il Regno di Napoli. Ai francesi doveva essere attribuito la città di Napoli, la Terra di Lavoro, gli Abruzzi e la metà del reddito del Tavoliere delle Puglie con la conferma del titolo di Re di Napoli e di Gerusalemme, già assunto tempo prima;il re di Spagna oltre quale re di Sicilia, già da diverso tempo posseduto, doveva avere la Calabria, la Puglia e l’altra metà del Tavoliere delle Puglie oltre il titolo di duca di Calabria e di Puglia.
Gà nel 1502 Consalvo di Cordova era stato nominato viceré per Ferdinando il Cattolico e il duca di Nemours per Luigi XII.
IL re di Napoli Federico III d’Aragona, ignorando queste intese, nella primavera del 1501, all’arrivo dei francesi con un esercito di quindicimila uomini, chiese l’aiuto degli spagnuoli consegnando agli stessi anche alcune fortezze della Calabria. Egli era imparentato strettamente con Ferdinando II il Cattolico e sperava nel suo aiuto contro gli invasori francesi.
Quando si accorse dell’inganno era ormai troppo tardi e cercò di trattare la cessione dei suoi diritti con Luigi XII “in compenso del Ducato d’Angiò e di trentamila scudi di rendita”. I francesi vinsero facilmente la resistenza dell’esercito di Federico d’Aragona ed in brevissimo tempo s’impadronirono di Aversa, Capua, Gaeta ed il 19 agosto occuparono Napoli.
Più difficoltosa fu l’occupazione operata dagli spagnuoli. Nel 1502, quando i francesi e gli spagnuoli si erano appena impadroniti del regno napoletano, nacquero discordie tra le due nazioni sui confini delle terre occupate, per il possesso delle province non specificatamente mentovate nel trattato e sul possesso del Tavoliere delle Puglie. Nel giugno dello stesso anno cominciano le ostilità tra i due eserciti.
Le forze francesi erano comandate da Luigi d’Armagnac, duca di Nemours; quelle spagnole dal generalissimo Consalvo di Cordova.5
Le operazioni belliche continuarono con alterne vicende sino al principio del 1503.
Nello scontro avvenuto il 21 aprile del 1503 (alcuni storici vogliono che questa battaglia sia stata combattuta il 13 aprile 1503) al passo di Fiumesecco, tra Gioia e Seminara, la fanteria dell’esercito spagnuolo venuto dalla Sicilia, al comando di Ferdinando d’Andrades, sconfisse gli svizzeri al servizio dei francesi guidati da Robert Stuart d’Aubigny.
Alla vittoria di Seminara in Calabria, segue quella più notevole del 28 aprile successivo a Cerignola dove cadde anche il viceré francese, il duca di Nemours, e che aprì a Consalvo la via di Napoli dove entrò il 16 maggio 1503.
Dopo l’occupazione di Napoli, Consalvo al fine di conquistare l’intero regno, lasciato Pedro Navarra ad espugnare il Castelnuovo e il Castel dell’Ovo, e dopo l’occupazione di Capua e di Sessa ed avere inviato Prospero Colonna negli Abruzzi, insegue i nemici costretti ad abbandonare precipitosamente le province napoletane oltre il Garigliano e con il suo esercito il 1 luglio pone l’assedio a Gaeta, dove si erano raccolti “quasi tutti i resti dell’esercito Francese”, in attesa degli aiuti del suo sovrano.
Gaeta era l’unico baluardo sul versante tirrenico rimasto in mano ai francesi (sull’Adriatico occupavano ancora Venosa). Questa fortezza dominava una delle vie di accesso al regno napoletano ed aveva la possibilità di essere facilmente rifornita via mare. I francesi oltre la fortezza occupavano tutto il retroterra ed i territori del ducato di Gaeta e della contea di Fondi (Itri, Traetto, Castelforte, Suio, Castellonorato, Rocca Guglielma).
Nella fortezza di Gaeta infatti, all’avvicinarsi di Consalvo erano stati ritirati tutti i soldati in precedenza distribuiti “tra Gaeta, Fondi, Itri, Traetto, Roccaguglielma”, circa quattrocento lance e quattromila fanti che si erano salvati dalla rotta di Napoli6 con numerosi signori italiani che parteggiavano per i francesi tra i quali il principe di Salerno, il principe di Bisignano ed il Duca di Traetto,7 il conte di Consa e molti altri baroni del Regno.
Il 6 agosto, via mare giungono a Gaeta tremila fanti col marchese di Saluzzo, nuovo viceré francese. Il re francese che non si era rassegnato alla perdita del napoletano ed alla umiliazione subita dai suoi soldati, aveva inviato in Italia un esercito forte di circa 25000 uomini e 40 cannoni, al comando di Luigi de La Tremouille.
Durante la marcia di avvicinamento al regno di Napoli, al de La Tremouille, che a Parma si era ammalato, successe il Marchese di Mantova Gian Francesco III Gonzaga, di trentasette anni, ma che aveva già acquistato fama di grande condottiero.
I francesi che dopo la morte del papa Alessandro VI (18 agosto 1503) e la elezione del nuovo pontefice Pio III (22 settembre 1503) si erano fermati nei dintorni di Roma, il 26 settembre, seppur lentamente, riprendono la marcia verso il Sud.
Consalvo di Cordova che si era fermato a Castellone di Mola di Gaeta, poco lontano dalla fortezza, in una posizione strategicamente importantissima8, all’avvicinarsi dei francesi tolse l’assedio di Gaeta e si portò col suo esercito al di là del Garigliano, da dove, dopo aver lascia to nella zona una parte del suo esercito (50 uomini d’arme, 300 cavalieri leggeri e 500 fanti) al comando di due valenti capitani (Pedro de Paz, l’eroe di Cerignola e Alfonso de Carvajal, vincitore di Seminara) si spostò col resto delle sue truppe a S. Germano9 anche per contrastare i francesi che si avvicinavano per la via Casilina e la via Latina e che ancora occupavano l’Abbazia di Montecassino, posizione dominante della zona.
L’esercito francese dopo i rifornimenti di viveri ricevuti a Valmontone, durante la sua marcia “saccheggiò e depredò le terre feudo di Colonna”10.
Raggiunto Campolatro presso Pontecorvo il 12 ottobre, il 15 successivo attacca Roccasecca difesa da 1200 spagnuoli del colonnello Villalba, che resiste ai ripetuti assalti delle truppe guasconi e normanne appoggiate da una poderosa artiglieria, sino all’arrivo di altri 2000 fanti spagnuoli guidati da Garcia di Paredes, l’avanguardia che Consalvo aveva mandata sulle alture tra Melfa ed il Liri11 per parare una eventuale mossa dei nemici da Sora ed Atina, che costrinse gli assalitori a rinunciare ad ogni ulteriore attacco.
A seguito di ciò, rinunciando ad attaccare anche il campo spagnuolo di S. Germano, dopo due giorni di sosta in Aquino, il comandante francese si dirige verso Fondi e Traetto con l’intenzione di attraversare il Garigliano nel luogo dove si trovava la Scafa.
Intanto Consalvo di Cordova che aveva ordinato a Fabrizio Colonna di impadronirsi con un colpo di mano di Montecassino, visto mancare la sorpresa, il 10 ottobre aveva fatto assaltare la rocca dai fanti spagnuoli di Pedro Navarro che annientarono il presidio francese di circa 150 uomini che vi era stato collocato da Piero dei Medici.
Dopo questi episodi, Consalvo nel timore di essere attaccato alle spalle, mentre la “cavalleria leggera di Fabrizio Colonna” non dava tregua alla retroguardia francese, abbandona S. Germano e ripiega in fretta con il suo esercito in riva sinistra del Garigliano.
Il 23 ottobre 1503 Rocca d’Evandro, difesa da Federico di Monteforte con 50 cavalieri e 100 fanti, venne conquistata da Fabrizio Colonna, al cui fianco combatteva anche Ettore Fieramosca.
Gli spagnuoli in riva sinistra, nei punti di più possibile attraversamento del fiume, apprestano alla svelta postazioni e trincee.
Alla fine di ottobre oltre a questi piccoli posti di trincee gli spagnuoli nel tratto terminale del fiume, pongono una forza consistente di fronte alla scafa di Traetto ed alla torre presso; la foce piazzano diverse bocche da fuoco piccole (falconetti) e pezzi vari di artiglieria minuta.
Gli spagnuoli tutti ritirati nel territorio di Sessa, poco distante dal fiume avevano posto l’acquartieramento della “gran guardia”, “formata da duecento lanzichenecchi tedeschi, da duecento cavalli leggeri italiani e da cento ginetti spagnuoli”12.
La zona era pantanosa e resa ancora più disagiata dalle piogge continue che avevano inondato gran parte della località. Arretrato di circa due-tre chilometri in precedenza nella località Centura (forse l’odierna Centore), era stato ritirato il grosso dell’esercito.13 accampato “in luogo elevato e naturalmente difeso, circondato da un larghissimo fossato pieno di acqua e rinforzato da opportune strutture difensive14”. La località era piena di fango e di acqua ed i soldati che non poterono alloggiarsi nei punti più alti furono costretti a coprire il terreno con grandi fascine per formare i loro attendamenti.15
Alcuni ufficiali spagnuoli, per le difficoltà del tempo inclemente e considerando l’inferiorità numerica del loro esercito, avanzarono l’idea di ritirarsi verso Capua e solo la fermezza di Consalvo valse a non muoversi e tenere le posizioni occupate.
Maggiore coraggio acquistò Consalvo di Cordova con l’arrivo di Bartolomeo d’Alviano e degli altri Orsini con le loro compagnie.
L’avanguardia francese appena raggiunto il corso inferiore del Garigliano, tenta di passare il fiume in vari punti, ma i reparti impegnati vengono sempre respinti dai tiratori italiani e spagnuoli che presidiano la riva sinistra. I vari tentativi si riducono quindi a piccole scaramucce.
Intanto al traghetto del Garigliano iniziarono la costruzione di “un ponte di barche incatenate” largo sei metri. Le operazioni di costruzione del ponte avvenivano sotto la protezione della propria artiglieria che colpiva gli avamposti spagnuoli al di là del fiume; questi, per proteggersi dai colpi di cannone, si erano riparati in apposite buche scavate quasi sulla riva e tentavano di impedire la realizzazione dell’opera.
Il 5 novembre 1503 il ponte, ben saldo, era ultimato e mantenne la sua agibilità malgrado Consalvo avesse tentato di danneggiarlo lanciando contro di esso alla deriva nel fiume barche cariche di massi e galleggianti (brulotti) carichi di esplosivo.
L’indomani, 6, alcuni reparti scelti di fanteria e 1500 cavalieri passarono il ponte ed occuparono l’antistante riva sinistra del fiume, annientando i pochi soldati spagnuoli posti a guardia di essa.
I reparti francesi, dopo aver occupato il campo della gran guardia non vanno oltre ed al sopraggiungere dei soldati spagnuoli (cavalli leggeri e gli uomini d’arme italiani e spagnuoli) sono costretti ad arretrare, ma riescono a mantenere con gravi sacrifici una piccola testa di ponte in riva sinistra “grazie soprattutto alla loro artiglieria”.
Tra gli spagnuoli accorsi contro i francesi il primo reparto fu quello di Fabrizio Colonna che si distinse con i suoi cavalli leggeri.
In questi combattimenti compie prodigi di valore il giovane francese Baiardo16.
Consalvo si è limitato a contenere l’attacco dei francesi che non hanno saputo sfruttare il loro successo iniziale, e non si impegna nemmeno a scacciare i nemici attestati di fronte al loro ponte perché ciò avrebbe comportato il sacrificio di molti suoi soldati esposti alla formidabile artiglieria avversaria. Anzi, “su consiglio di Garcia di Paredes, ritira anche i seicento fanti collocati presso la torre della foce del Garigliano”, lasciandovi soltanto una dozzina di uomini, considerando la torre un semplice posto di osservatorio, ora che a causa delle continue piogge è imposssibile qualsiasi azione da parte dei francesi in quel punto”17.
Successivamente invece i francesi hanno costituito, oltre a quella di fronte al ponte, un’altra piccola testa di ponte in riva sinistra, proprio alla torre a mare che hanno occupata dopo che il piccolo presidio spagnuolo lasciatavi da Consalvo l’ha vigliaccamente abbandonata.18 Cercano di unire la due teste di ponte per farne una più ampia e più solida, ma ciò non è più possibile perché le piogge insistenti hanno formato nella zona un enorme pantano che non permette alcuna manovra militare.
Dalla loro testa di ponte sul traghetto i francesi compirono numerose scorrerie contro il campo spagnuolo ma senza ottenere alcun risultato. Essi praticamente erano padroni del corso inferiore del fiume. Ormai l’esercito francese credeva di passare l’inverno senza che nessuna operazione militare venisse intrapresa a causa della cattiva stagione.
La dislocazione dei francesi sulla riva destra del Garigliano, in un primo tempo ha “l’accampamento principale col comando, gli svizzeri ed il meglio dei fanti guasconi e normanni”19 presso i ruderi di Minturnae; “sei accampamenti lungo il corso inferiore del Garigliano”20 con la loro superba cavalleria.
Gli italiani che combattevano sotto le loro bandiere furono dislocati lontano dai corsi del Liri e del Garigliano, nei territori di Roccaguglielma21, Vallefredda22, e S. Andrea23, e ciò col pretesto che dovevano proteggere il fianco e le spalle dello schieramento, il che indica chiaramente che i francesi intendono fare a meno del loro apporto nelle operazioni che si accingono ad intraprendere e che considerano favorevoli alla loro armi.
Nel comando dell’esercito francese era latente una forte animosità della nobiltà transalpina nei confronti anche dei capi italiani.
Durante il periodo di sosta sul Garigliano diversi reparti di soldati italiani avevano abbandonato i francesi e si erano ritirati nelle proprie terre.
Per attutire in parte questo attrito, in precedenza, il re a fianco del Gonzaga aveva posto quale luogotenente generale il barone di Sandercavit oltre a tre consiglieri, il bailly di Digione, comandante delle milizie svizzere, il bailly di Caen ed il signor Duplessix, menomando così l’unicità di decisioni necessarie in quel momento.
Continuando la tempesta “alternandosi la pioggia torrenziale alla grandine”24 che provocò ulteriori allagamenti, il comandante francese arretrò ulteriormente la sua cavalleria in parte nei pressi di Scauri e di Castelforte ed in parte ad oltre quindici chilometri dal fiume distribuendo molti suoi reparti in collina dall’altezza di Rocca d’Evandro a Roccaguglielma.
Sono di fronte sul Garigliano i due eserciti più potenti del momento. Combattono sul suolo italiano e gli italiani, gli uni contro gli altri, sono presenti nei due schieramenti ove militano anche condottieri della penisola fra i migliori del tempo.
Durante i circa due mesi (principio di novembre-fine dicembre) che gli eserciti spagnuolo e francese si fronteggiarono sul Garigliano, questo territorio ebbe a soffrire i flagelli della guerra e dopo quelli della peste.
Particolarmente colpite furono le popolazioni in riva destra del fiume, occupata dalle truppe francesi, che lontane dai centri di approvvigionamento, con esosità e soprusi, si procuravano il loro vettovagliamento a danno dei miseri abitanti della zona.
Non meno semplice è per la zona di Sessa “il dramma della popolazione in fuga, la paura, la scarsità di viveri per la mancanza di approvvigionamenti, i campi resi sterili dal continuo passaggio di animali ed uomini, oltre dalle razzie degli eserciti, la mancanza di grano, la distruzione degli affetti familiari sia nelle campagne che in città, la fame e le morti che si susseguono ‘non per una sola causa’ e la contemporanea ‘strage sia di animali vaccini e ovini che di cortile’”25.
Nel periodo di permanenza delle truppe spagnuole a Sessa, si sviluppò una malattia contagiosa (indicata come peste) che causò molti morti tra i soldati e tra gli abitanti dell’intero territorio.
Il 18 dicembre si aggiungono all’esercito spagnuolo alcune lance spezzate e 100 artiglieri di Bartolomeo d’Alviano oltre 2000 cavalieri (500 lance spezzate) e altri 2000 fanti degli Orsini. Del disciolto esercito di Cesare Borgia (il Valentino) confluiscono 150 lance e 1500 fanti. Ora l’esercito spagnuolo comprendeva 900 lance spezzate (3600 cavalieri), 1000 cavalieri leggeri, 9000 fanti spagnuoli, 2000 picchieri tedeschi e 2000 fanti italiani26.
Questi fatti indussero Consalvo all’idea di passare da una “guerra difensiva ad una guerra d’attacco”27.
Bartolomeo d’Alviano28 e Consalvo, spronati anche da due altri capitani italiani, il conte di S. Severina e Giovanni di Tufo, fecero predisporre segretamente in un casale presso Sessa, quindi lontano alcune miglia dal luogo destinato all’impianto, un ponte “con botti e barche”.
Nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre 1503, il materiale del ponte viene trasportato presso il fiume ed alle prime luci del giorno Bartolomeo d’Alviano fece gettare il ponte nella zona di Suio. Il luogo dove già nella notte i soldati spagnuoli hanno iniziato i lavori per l’installazione del ponte sul Garigliano, posto ad oltre quattro miglia a monte di quello francese, ha “le rive abbastanza incassate” ed il fiume “non esce anche se in piena dal proprio alveo”29, ed è nascosto alla vista della rocca di Suio occupata dai francesi.
Verso le ore dieci l’opera è ultimata e immediatamente incominciano a passare i primi soldati con alla testa Bartolomeo d’Alviano. L’avanguardia, oltre alle forze personali del condottiero umbro (cento schioppettieri a piedi e alcune lance spezzate30) è composta dai fanti spagnuoli di Pedro Navarra e di Garcia di Paredes (tremilacinquecento uomini scelti e provati)31.
Facevano parte dell’avanguardia anche i fanti scelti che si erano distinti a Cerignola, quelli di Roccasecca col colonnello Villalba, l’eroico difensore della rocca, i fanti di Rocca d’Evandro e della Scafa di Traetto.
I primi soldati che hanno attraversato il ponte hanno constatato che la riva destra del fiume, la zona pianeggiante attigua e quella che sale fino alla rocca di Suio, sono sguarnite di vedette.
I soldati di Suio si accorgono del passaggio degli spagnuoli sul fiume solo quando questo è già avvenuto ed è in pieno svolgimento l’azione contro le loro posizioni.
Dopo l’avanguardia è lo stesso Consalvo a passare il ponte col suo reparto personale (trenta uomini d’arme) con duemila picchieri tedeschi e duecento cavalli leggeri agli ordini di Prospero Colonna32.
Contemporaneamente al passaggio del fiume nella zona di Suio, Consalvo aveva ordinato alle truppe tenute in retroguardia, tra Mondragone e Carinola, di avvicinarsi al ponte dei francesi, al traghetto del Garigliano, ed assaltarlo.
Consalvo a protezione dei fianchi delle truppe che avanzavano, da un lato mandò il capitano Gomez Coello con 300 fanti, e dall’altro il capitano Escalada con altrettanti soldati.
All’avvicinarsi di Bartolomeo d’Alviano, che in testa ai suoi soldati, impavido si inerpicava verso la rocca di Suio, i fanti normanni (trecento balestrieri) che la presidiavano e che con ritardo si erano accorti del passaggio dei nemici sul fiume, senza tirare un colpo e prima che venissero attaccati dagli spagnuoli, si diedero alla fuga33 e si diressero verso Castelforte.
La pusillanimità dei francesi che occupavano Suio e fuggirono senza essere nemmeno inseguiti, coinvolse anche il presidio di Castelforte (centocinquanta uomini d’arme francesi ed altrettanti balestrieri a cavallo)”34 cui giunse inaspettata la notizia con l’arrivo dei fuggitivi, ai quali, dopo qualche esitazione, si unirono e coi quali senza combattere si ritirarono precipitosamente verso Traetto.
Le truppe dell’Alviano, dopo occupato Castelforte, si diressero verso Traetto. Le sue avanguardie al sopraggiungere delle tenebre si fermarono nelle borgate di Castelforte a circa due miglia da Traetto (forse tra l’Ausente e l’attuale Grunuovo) mentre Consalvo passava la notte nell’abitato di Castelforte35.
La voce del disastro francese si sparge rapidamente per tutta la zona e la popolazione, specialmente i contadini, che per tutto il tempo dell’occupazione è stata taglieggiata e vessata, per vendicarsi dei soprusi subiti, si prepara ad attaccare gli invasori.
Da Castelforte la notizia della manovra degli spagnuoli si diffonde per tutte le zone occupate dai francesi e giunge fino a Vallefredda, ad Ausonia, a Roccaguglielma e, nel pomeriggio del 28 dicembre, al campo francese posto tra i ruderi di Minturnae.
Nell’accampamento francese molti soldati erano ammalati e pochi quelli validi che il marchese di Saluzzo cercò di organizzare. I francesi tentarono di inviare verso Suio alcuni fanti e cavalieri, al comando del capitano Allegri, ma la maggior parte dell’esercito era disseminata nei paesi vicini ed il comandante francese ritenendo impossibile fare giungere in tempo i suoi soldati per fronteggiare la situazione ritenne necessario ritirarsi rapidamente in Gaeta.
I francesi decidono di disfare il ponte sul Garigliano e salvare la loro artiglieria mettendola su barche e chiatte, mentre i pezzi di piccolo calibro (una ventina) vengono trainati dai pochi cavalli disponibili e posti in testa alle truppe in ritirata.
Tre barche con undici cannoni non sono in grado di partire ed altre dieci alla foce del fiume vengono travolte dalle onde del mare in tempesta ed affondate con ben trecento uomini fra cui Piero dei Medici che col suo natante trasportava quattro pezzi di artiglieria36.
Furono lasciati al Garigliano la maggior parte delle preziose munizioni e nove pezzi grossi di artiglieria, con tutti i feriti e gli ammalati.
L’Alviano che nella notte tra il 28 ed il 29 dicembre con le sue truppe (tremila fanti) rimaste all’addiaccio nei pressi di Traetto, prima dell’alba si porta in vista del campo nemico dopo aver riordinato i suoi reparti che restano in attesa di Consalvo, con una piccola scorta prosegue ulteriormente il cammino constatando che l’accampamento francese è stato abbandonato.
Il condottiero umbro si riporta indietro ed informa Consalvo, frattanto sopraggiunto, della situazione.
Il Gran Capitano decide di non dar tregua al nemico ed ordina di proseguire contro i francesi che si ritirano verso Mola. L’avanguardia degli inseguitori spagnuoli era comandata da Prospero Colonna che con i suoi cavalli leggeri raggiunse i francesi a Scauri.
Il capitano genovese Bernardo Adorno dell’esercito francese con i suoi soldati si fermò al ponte sul corso d’acqua nei pressi di Scauri (forse il rio Capodacqua) e qui avvenne il primo scontro con gli spagnuoli. Il combattimento durò oltre due ore e questo valse a permettere di continuare la ritirata dei francesi con sufficiente ordine.
Vari scontri avvennero tra i due eserciti sino al ponte di Mola, dove i francesi, considerando valido il sito, avevano deciso di fermarsi e opporre resistenza.
Intanto nei pressi di Mola, quasi prima dei francesi, era giunta anche la retroguardia spagnuola che, dopo aver sopraffatto l’esiguo reparto di guardia al ponte francese del Garigliano ed averlo riattato, aveva passato il fiume dirigendosi velocemente verso questo paese.
Prospero Colonna, imbaldanzito dal successo, con le sue schiere si avvicina al ponte di Mola dove è raccolta una massa di quasi trecento uomini d’arme francesi provenienti dal territorio di Traetto e dove sono piazzati alcuni pezzi di artiglieria. I francesi, prima respingono l’attacco dei soldati di Prospero Colonna e poi con molti soldati accorsi, tra cui i picchieri della guardia del Re, travolgono l’esigua schiera dell’avanguardia spagnuola.
L’arrivo di Alviano, con i suoi fanti dalla collina che punta su Castellone e di Consalvo con i suoi 2000 lanzi, valse ed arginare il pericolo incombente sugli spagnuoli, anche perché l’esercito francese, demoralizzato e scompigliato “non è capace di approfittare del momento favorevole”37. Il marchese di Saluzzo, si affrettò ad ordinare la ritirata dei suoi soldati verso Gaeta, il che avvenne in disordine e quasi in fuga.
“Un capitano italiano, il genovese Bernardino Adorno”, rimane a combattere sul ponte di Mola cercando di resistere il più possibile e muore eroicamente per arginare l’irruenza degli spagnuoli.
Qualche giorno dopo i francesi si arrendono e con la conquista di Gaeta gli spagnuoli occupano l’intero territorio del Regno di Napoli.
1 G. Andrisani: prefazione a Due Studi Minturnesi, di L. Capuano, pag. 11.
2 M. Rasile, nelle note introduttive della stampa anastatica di P. Pieri, La Battaglia del Garigliano del 1503.
3 L. Capuano, Due Studi Minturnesi, premessa, pag. 19.
4 Storia del mondo moderno, della Cambridge University Press, Milano, Garzanti Ed., Vol/I, Il Rinascimento (1493-1520) a cura di Geoerge Richard Potter, pp. 506-507, in nota 3 della Prefazione di G. Andrisani Due Studi Minturnesi, di L. Capuano.
5 Conzalo Fernadez de Cordoba. Italianizzato Consalvo di Cordova, detto “il Gran Capitano”, nato a Montilla, presso Cordova il 1 settembre 1453 (alcuni storici datano la sua nascita il 16 marzo 1440) da Don Pedro Fernàndez de Aguilar, morto a Granada il 2 dicembre 1515. Fu sepolto nella Chiesa di San Jerolamo unitamente alla consorte Maria Manriquez. Giovanissimo combatté contro i Mori ed i Portoghesi. Si distinse come semplice paggio al servizio dell’Infante don Alfonso attirando anche la considerazione della Regina Isabella di Castiglia e la simpatia del Sovrano. Come luogotenente di Don Giovanni d’Austria combattetté i Barbareschi. Fu inviato due volte in Italia a combattere contro i francesi. La prima volta subì la sconfitta di Seminara del 21 giugno 1495, ma compensò questo sfortunato fatto d’arme con la vittoria di Atella in Basilicata e contro d’Aubigny in Calabria, al comando delle truppe veneziane e spagnole. Rientrato in Spagna combatté a Granata contro i ribelli Moriscos. Inviato nuovamente in Italia in seguito al trattato segreto di Granata, dopo aver espugnato il Castello di S. Giorgio a Cefalonia ed occupate le fortezze della Calabria combatté contro l’esercito del re di Napoli Federico. Scoppiate le ostilità contro i francesi si rinchiuse in Barletta in attesa dei rinforzi. Quindi sconfisse i nemici prima a Seminara e poi a Cerignola. Conquistate Napoli, Capua ed Aversa, dopo la battaglia del Garigliano del 28 dicembre 1503, con la conquista di Gaeta completò l’occupazione del Regno di Napoli. Poco onore gli fa il suo comportamento nei confronti del dodicenne Ferdinando, figlio del re di Napoli Federico, allorché dopo espugnata Manfredonia, alla occupazione di Taranto che si era arresa a condizione di lasciar libero il giovane principe aragonese, venendo meno al giuramento lo mandò prigioniero in Spagna. Il re Ferdinando il Cattolico per le sue benemerenze lo nominò viceré del Regno di Napoli ed in riconoscenza “gli diede in dono il Ducato di Sessa, la Baronia di Galluccio” e le “Terre di Teano, Carinola, Torrefrancolise, Roccamonfina, Marzano Appio, Marzanello, Pietra Vairano, Pietramelata e Caianello in Terra di Lavoro” oltre a molte altre nelle regioni meridionali di Puglia e Calabria (Privilegio dato in Castelnuovo il 1 gennaio 1507, registrato nell’Archivio dei Quinter. IX, al registro dei Priv. 2, fol. 3). Consalvo di Cordova Viceré del Regno di Napoli, si urtò coi membri dei seggi sia per le continue richieste di denaro che per il suo carattere fiero e soldatesco che non si conciliava “con la feudalità locale riottosa ed insofferente”. Coinvolto nel 1504-1505 in una speculazione col mercante catalano Paolo di Tolosa nell’approvvigionamento dell’annona, venne accusato di aspirare alla corona napoletana. La sua fama e notorietà insospettì il geloso sovrano spagnolo che gli ordinò di tornare in Spagna. Consalvo lasciò Napoli l’11 giugno 1507 ed il 14 s’imbarcò a Gaeta con lo stesso sovrano per rientrare in patria. Visse gli ultimi anni lontano dalla vita politica, deluso dall’ingratitudine e si spense nel silenzio del suo ritiro dimenticato da tutti.
6 F. Guicciardini, La storia d’Italia, libro VI, pag. 11.
7 P. Pieri, op. cit., pag. 3.
8 Ibid., pag. 8.
9 Ibid., pag. 7.
10 L. Capuano, op. cit., pag. 21.
11P. Pieri, op. cit., pag. 8.
12 P. Pieri, op. cit., pag. 20. Ginetti, cavalli di razza spagnola agili e snelli.
13 P. Pieri, op. cit., pag. 19.
14 L. Capuano, Due studi minturnesi ecc. op. cit., pag. 24.
15 F. Guicciardini, op. cit., Libro VI, pagg. 46-47.
16 Baiardo, soprannominato il “cavaliere senza macchia e snnza paura”. Pierre Terrail, signore di Bayard, castello di Bayard presso Grenoble, 1473 circa, Romagnano Sesia 1524. Si vuole che abbia difeso da solo il ponte del Garigliano contro duecento soldati spagnuoli: Sismondi, Storia delle Repubbliche Italiane nel Medioevo, vol. III, pag. 276, Trad. ital. dal francese, Prato, 1864.
17 P. Pieri, op. cit., pagg. 22-23.
18 Questi soldati, considerati traditori, furono sommariamente giustiziati dai compagni appena giunti nel campo spagnuolo, cronica general, pagg. 214-215, Giovio, pagg. 132-133.
19 P. Pieri, op. cit., pag. 19.
20 Ibid.
21 Roccaguglielma con Monticelli di Roccaguglielma e S. Pietro in Curolis, sono Esperia con Decr. 14. 11. 1867 n. 4057.
22 Vallefredda oggi è comune autonomo col nome di Vallemaio.
23 S. Andrea è S. Andrea Vallefredda con Decr. 14. 12. 1862 n. 1078 ed attualmente è S. Andrea su Garigliano.
24 L. Capuano, op. cit., pag. 25.
25 La battaglia del Garigliano in uno scritto di Agostino Nifo, di Giampiero di Marco, ne Il Mensile Suessano, n. 108, novembre-dicembre 1002.
26 L. Capuano, op. cit., pag. 26.
27 Idem. Idem.
28 Bartolomeo d’Alvizano, nacque a Todi nel 1455 ma fu allevato ad Alviano, comune in provincia di Terni, morto a Ghedi, Brescia il 7 ottobre 1515. Figlio di Francesco e di Isabella degli Atti. Ad Alviano “insieme con i fratelli maggiori Luigi (Aloisio) e Bernardino ebbe le cure della zia Millia Monaldeschi, moglie di Corrado d’Alviano, fratello del padre Francesco”. Sin da bambino dimostrò predisposizione alle armi, ed all’età di 14 anni come paggio seguì Napoleone Orsini sino alla sua sconfitta a Rimini nel 1469 combattendo contro Federico di Montefeltro. Quale condottiero iniziò la sua carriera a servizio della lega pontificio-napoletana agli ordini di Federico di Montefeltro contro Firenze. Nel 1478 comandò l’artiglieria al seguito di Girolamo Riario. D’Alviano respinge i Turchi di Maometto II e conquista per il re di Napoli Alfonso d’Aragona il Castello d’Otranto. Nel 1503 sotto Consalvo di Cordova contribuì alla conquista spagnuola del regno di Napoli e fu uno dei principali protagonisti della battaglia del Garigliano. Dopo questa vittoria divenne signore di molti possedimenti e insignito da Ferdinando il Cattolico del titolo di duca e conte. Poi combatté per la Repubblica di Venezia sino alla morte pur con varie interruzioni. Nel 1508 vinse nel Cadore le truppe dell’imperatore Massimiliano, ma il 14 dicembre 1509 fu sconfitto ad Agnanello e fatto prigioniero dal re Luigi XII di Francia. In seguito alla alleanza tra Venezia ed i francesi venne liberato. Capitano generale dell’esercito della Serenissima nel 1513 presso Vicenza fu sconfitto dagli spagnuoli e dai tedeschi guidati dal marchese di Pescara. Concorse efficacemente, nel 1515 a Marignano, alla vittoria del re di Francia Francesco I. Bartolomeo d’Alviano fu uno dei maggiori condottieri del Rinascimento e si rivelò anche ottimo architetto militare.
29 P. Pieri, op. cit., pag. 30. Secondo alcuni storici l’idea della costruzione di questo ponte fu di Bartolomeo d’Alviano che la propose a Consalvo il quale subito l’’accettò˜.
30Lancia: unità tattica della cavalleria feudale. Secondo Pieri (nota 2, cap. I, op. cit. ) la Lancia francese di quel tempo comprendeva sei uomini (tutti a cavallo): l’uomo d’arme (o cavaliere armato di lancia e dotato d’armatura pesante), uno scudiero (con corta daga), due balestrieri (o arcieri) a cavallo (cavalli leggeri);due garzoni o valletti con cavalli di ricambio. La lancia italiana, era invece forte di soli 4 uomini: l’uomo d’arme, il suo scudiero e 2 garzoni o valletti. La lancia spagnuola, generalmente comprendeva l’uomo d’arme, il garzone e qualche volta lo scudiero. Lancia spezzata, nome di antica milizia, designava i soldati scelti destinati a formare la guardia a cavallo di un sovrano o di un comandante.
31 P. Pieri, op. cit., pag. 45.
32 Ivi.
33 Sigismondo de’ Conti, II, 329, nota 2 del cap. II della Battaglia del Garigliano di P. Pieri.
34 P. Pieri, op. cit., pag. 46.
35 In nota 5, cap. II dell’op. cit. di P. Pieri è detto “in alcuni casali sotto Castelforte”, ma cita una lettera di Prospero Colonna dove scrive che “Consalvo ‘con tutti gli altri’ passò la notte a Castelforte”.
36 P. Pieri, op. cit.. pagg. 48-49. L. Capuano, op. cit,. pag. 28.
37 P. Pieri, op. cit., pagg. 52-53.
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