Le vicende belliche in Caira nell’inverno del 1944

 

Studi Cassinati, anno 2004, n. 1/2

di Sergio Saragosa

Monte Cairo e la piana del Rapido nel febbraio del 1944

Il villaggio di Caira, durante l’inverno del ’44, ebbe una grande importanza strategica per le vicende militari sia alleate che tedesche. Il possesso delle case diroccate dalle cannonate che costituivano i resti del tranquillo e ridente paesino a nord di Cassino, era un vantaggio per chi lo otteneva perché da quella posizione si potevano controllare sia le operazioni che si svolgevano a sinistra verso il torrente del Dente, sia a destra verso la cima del colle Belvedere e sul monte Castellone che si ergeva nel mezzo. Il controllo di questa ultima cima e di tutta la dorsale che da essa parte per spingersi fino a Montecassino, costituiva un obiettivo saliente per le truppe alleate che così potevano proteggere alle spalle le avanguardie più avanzate, ma allo stesso tempo era irrinunciabile per i tedeschi che su quelle alture avevano postazioni che dominavano dall’alto tutta la zona. Fu questo il motivo per cui per il suo possesso si combatterono sanguinose battaglie. Il controllo del paese costituiva comunque una base di partenza per ogni tipo di azione che si voleva intraprendere verso Montecassino.
Già dalla fine del mese di gennaio Caira fu teatro di aspri combattimenti e, a volte era in mano alleata, altre volte ritornava sotto il controllo delle pattuglie tedesche. Capitava spesso che solo qualche casa divideva i soldati degli opposti schieramenti, come raccontano i testimoni di quelle vicende. A quei tempi nessuno più abitava in paese, ma alcune persone vi ritornavano saltuariamente per reperire viveri nascosti o solo per curiosità, abbandonando i luoghi di primo sfollamento alle pendici del Monte Cairo. Alla fine di gennaio furono presi infatti a Caira i primi prigionieri tedeschi su segnalazione degli sfollati delle grotte e delle capanne. La conquista del paese da parte degli alleati permise così di stabilire a Caira un campo base per coordinare le successive operazioni e in una sua contrada venne allestito un primo centro di medicazione per i feriti. E furono proprio i soldati delle prime avanguardie americane a consigliare agli sfollati di rifugiarsi oltre il fiume Rapido, nella zona già controllata dagli alleati.
Nel mese di settembre del 1943 erano comparse a Caira le prime pattuglie tedesche e diverse volte il paese era stato cannoneggiato, ma il fronte, cioè la guerra vera e propria, aveva interessato il Monterotondo, ossia la più immediata periferia della frazione verso Cassino, solo la sera del 24 gennaio del 1944.
In questa zona vennero schierati alcuni reggimenti (il 133°, il 135°e il 168°) della 34.ma Div. americana “Red Bull” agli ordini del Gen. C. W. Ryder, che era stata la prima a sbarcare in Europa nel 1942.
Alcuni reparti di questa divisione furono schierati di fronte alle baracche del “Concentramento”, ormai ridotte ad un cumulo di macerie, con le truppe francesi alla propria destra e la 36.ma divisione americana alla propria sinistra. I suoi obiettivi erano appunto le baracche del Concentramento e la Quota 213, una collina nelle immediate vicinanze dalla quale i tedeschi dominavano il passaggio del fiume Rapido.
Questa zona, come tutta la linea Gustav, era fortificatissima. Alla base delle colline che da Cassino si estendono fino a Caira, c’era una fitta rete di bunker e di casematte, i cui resti sono ancora visibili in diverse zone. Davanti a queste fortificazioni c’era una striscia di terreno completamente minata che, dove il terreno lo consentiva raggiungeva i 300 metri, e tra l’una e l’altra era stata approntata una rete di filo spinato che in alcuni tratti raggiungeva i 15 metri di spessore. Davanti a tutti questi ostacoli c’era quello naturale del corso del fiume Rapido. Il tutto completamente allo scoperto, avendo provveduto i tedeschi, in precedenza, a sgombrare il terreno da ogni ostacolo sulla loro linea di tiro.
L’attacco fu sferrato la sera del 24 gennaio, alle ore 22, da due battaglioni del 133° Reggimento, sostenuti da alcuni carri armati. Dopo una cruenta battaglia protrattasi per tutto il giorno 25, si riuscì a costituire una piccola testa di ponte solo alla mezzanotte dello stesso giorno. Il 26 gennaio, per dar man forte a quelli della testa di ponte, alcuni carri cercarono di attraversare il fiume, ma i primi si impantanarono manovrando nel fango e ostacolarono il passaggio dei successivi. Durante lo stesso giorno una compagnia del 1° Battaglione del 135° Reggimento oltrepassò il fiume ma rimase immobilizzata dal fuoco che si riversava dai bunker mimetizzati tra le rovine delle baracche e dalle postazioni della Quota 213. La mattina del 27, più a nord, cercarono di guadare il fiume alcune compagnie del 168° Reggimento, sorrette da diversi carri armati. Di questi ultimi, alle ore 8,30, solo 4 erano riusciti a guadagnare la riva opposta ma, alle prime ore del pomeriggio, due erano stati fermati da armi anticarro, un altro era saltato su una mina e l’ultimo fu colpito da una granata. L’impiego dei carri armati era quasi impossibile in queste zone in quanto i tedeschi il giorno 16 del mese di gennaio avevano fatto saltare tutti i ponti sul fiume da S. Elia fino a S. Angelo e a S. Giorgio e la pianura del Rapido era diventata un vero e proprio pantano. Il giorno 28, infine, alcuni reparti riuscirono a portarsi alla base di Quota 213, ma i pochi superstiti, non potendo difendersi dal fuoco dei reparti del 134° Regg.to Panzer Grenadier tedesco e non potendo quindi dare l’assalto alla cima, volsero in disordinata fuga. I loro commilitoni attestati sulla riva destra del fiume, impauriti da quella precipitosa fuga, ripiegarono oltre il fiume e solo l’intervento di alcuni ufficiali, impedì che le cose peggiorassero ulteriormente. Oltre il fiume, in una zona poco distante, erano rimaste solo 2 compagnie, ma anche queste furono costrette a ritirarsi. Il comando decise allora di tentare il passaggio del fiume ancora più a nord, nella campagna di Caira, e il tentativo non solo riuscì, ma permise ad alcuni gruppi di soldati di spingersi alla periferia di Caira e di stabilirvi un campo avanzato. Si era arrivati così al 29 di gennaio.
Mentre si succedevano queste azioni, il Gen. americano Clark aveva ordinato al Gen. francese Juin di mandare all’attacco del Colle Belvedere, a destra della 34.ma Red Bull, le compagnie tunisine per distogliere parte delle truppe tedesche dal Concentramento e per proteggere i soldati americani. Juin accolse di malavoglia questo ordine perché l’impresa era rischiosissima in quanto le sue truppe dovevano avanzare allo scoperto per una ardua erta e sotto il fuoco anche delle postazioni tedesche del Monte Cifalco, ed anche perché era sua intenzione operare più a destra tra le montagne, con una azione di aggiramento delle fortificazioni tedesche. Dovette comunque rispettare gli ordini e nelle prime ore del 25 gennaio le compagnie della 3.a Div. algerina del Maggiore Gen. de Goislard de Monsabert mossero all’attacco guadando in pianura le acque del fiume Rio Secco nei pressi della contrada Olivella. Dopo 2 giorni di sanguinosi combattimenti gli obiettivi del Belvedere e di Colle Abate vennero raggiunti a prezzo però di un troppo elevato sacrificio di vite umane. Ma il Generale tedesco Von Senger, allarmato da questi attacchi e da quelli sferrati ininterrottamente anche nella zona del Concentramento, ordinò un contrattacco al 200° Regg.to Panzer Grenadier e i tunisini furono respinti fino al fiume Rio Secco, sulle posizioni di partenza. Il 29 costoro ritornarono all’attacco riconquistando i due Colli mentre 24 cacciabombardieri alleati bombardavano pesantemente sia Terelle che Caira e furono finalmente sostituiti da reparti algerini del 7° Regg.to fucilieri. A S. Elia, i resti delle compagnie tunisine che avevano perso circa il 70% dei propri effettivi, furono accolti dal Generale Juin.
In seguito a questi attacchi simultanei finalmente, il giorno 30 e il successivo giorno 31 del mese di gennaio del 1944, alcune avanguardie americane, sostenute dai pochi carri armati che erano riusciti a guadare il fiume nella pianura sottostante, entrarono nell’abitato di Caira, accolti dai pochi sfollati che si trovavano in quel momento presenti in paese. Erano reparti del 168° Regg.to al comando del colonnello Boatner e presero prigionieri 147 soldati tedeschi del 131° Regg.to Panzer Grenadier.
Il 1° febbraio il Generale Ryder della 34.a Div. americana ordinò un nuovo attacco alla Caserma del Concentramento per poter aggirare Cassino penetrando in città dalla strada di Caira. L’attacco ebbe fortuna e alcune compagnie del 133° si portarono fino alle prime abitazioni di Cassino, dove però furono fermate dai cecchini tedeschi annidati dappertutto. Incominciò così una estenuante e ristagnante guerriglia cittadina.
L’attraversamento del fiume Rapido al Concentramento costò agli americani la morte di 2.200 soldati, mentre i francesi, sul Belvedere e sul Colle Abate di Terelle lasciarono circa 2.500 uomini.
Contemporaneamente a questa prima incursione nella città, reparti del 135° Reggimento, passando per Caira iniziavano l’assalto a Monte Castellone (S. Matteo). Quella mattina del 1° febbraio, mentre i soldati americani del 135° e 142° Regg.to si arrampicavano verso la vetta, una fitta coltre di nebbia gravava su tutta la zona e, a tratti, gli americani captavano brani di conversazione dei soldati tedeschi che stavano acquattati nelle trincee. La sorpresa riuscì e alle dieci del mattino Monte Castellone era in mano americana. Il 2 di febbraio, giorno della Candelora, i tedeschi contrattaccarono ma furono respinti. A sostegno degli americani arrivarono alcune compagnie del 168° e fu sferrato un attacco che li portò vicino all’abbazia, su quel rialzo denominato “testa di serpente”, la cui conquista costò sia ai tedeschi che agli americani un troppo alto contributo di vite umane. Proprio quel giorno era stato scelto dalla maggior parte degli sfollati nelle grotte e nelle capanne ai piedi del Monte Cairo per attraversare la pianura allagata e rifugiarsi oltre le linee alleate. Il giorno 7 partirono da Caira due nuovi battaglioni per dar man forte a quelli che già erano impegnati su monte Castellone, ma il tentativo fallì. Il giorno 12 ci fu un nuovo tentativo e in quell’occasione per la prima volta nella zona vennero usate bombe a mano al fosforo che ebbero un effetto devastante: le vittime bruciavano come torce.
In contrada Orsaia, ad ovest di Caira, venne allestito un primo posto di medicazione e in alcuni giorni si poteva osservare “… un vero treno di barelle …” che trasportava i feriti in quel ricovero dalle zone intorno all’abbazia. Nei pressi dell’abbazia, infatti, il combattimento era all’ultimo sangue e i soldati americani, essendo la roccia completamente brulla, cadevano a centinaia sotto il fuoco di sbarramento tedesco e per trovare un minimo riparo erano costretti a rannicchiarsi in piccole buche protette da un riparo di sassi, che chiamavano “sangar”. Erano delle rudimentali trincee.
In queste buche si rimaneva intorpiditi anche per alcuni giorni, sotto la neve, come accadde il 3 e il 4 di febbraio, e quando quei poveri soldati ebbero il cambio non riuscivano nemmeno a stare in piedi, con gli arti inferiori ormai anchilosati.
Il 3 febbraio, intanto, il generale Alexander aveva creato un nuovo corpo all’interno della Quinta Armata di Clark, il Secondo corpo d’armata neozelandese, formato dalla Seconda divisione neozelandese, dalla Quarta divisione indiana, dalla Settantottesima divisione britannica e da un reparto della Prima Divisione Corazzata americana, sotto il comando del tenente Gen.le Sir Bernard Freyberg. A questi soldati venne dato il compito di dare il cambio all’esausto contingente americano. A cominciare dagli inizi della seconda decade di febbraio iniziò l’avvicendamento, proprio mentre il giorno 15 sull’abbazia di Montecassino si scatenava una tempesta di ferro e di fuoco. Terminava così quella che gli storici definiscono come la prima battaglia di Cassino ed iniziò la seconda battaglia.
Alla periferia di Caira c’era un campo avanzato ed in questo incominciarono ad affluire le prime avanguardie inglesi. Uno dei primi ad arrivare fu un caporale inglese di nome Douglas Hawtin, la sera del 12 febbraio, e dalla sua testimonianza si apprendono le difficoltà che questi soldati incontrarono per trasferirsi in prima linea, sotto Montecassino, percorrendo la stretta mulattiera che dalla contrada Fonnone conduceva nei pressi dell’abbazia costeggiando le ripide sponde del vallone del Dente. In seguito quella mulattiera, nel mese di marzo, venne allargata e resa percorribile per una colonna di carri armati e prese il nome di “Cavendish Road”.
Nei primi giorni di marzo, potendo contare sul controllo della zona di Caira, i neozelandesi iniziarono i lavori per l’allargamento della mulattiera, servendosi di reti mimetiche e tenendo tutta la zona sotto cortina fumogena. In questo modo la mattina del 19 marzo, alle ore 6, circa quaranta carri armati iniziarono la salita raggiungendo alle 9 la masseria Albaneta, tra lo stupore delle pattuglie tedesche. Lo smarrimento di questi ultimi durò poco e il tenente Eckel impiegò poco tempo per far saltare in aria con una mina il primo carro che impedì il passaggio a tutti gli altri. Altri carri furono fatti saltare e alle 17 fu dato l’ordine di ritirarsi. Sei carri furono distrutti, 16 danneggiati e i rimanenti riuscirono a rientrare solo il giorno successivo. Anche 16 uomini rimasero uccisi o dispersi. Il fallimento di questa azione che poteva risparmiare migliaia di vite umane, fallì soprattutto perché era mancato ai carri armati l’appoggio della fanteria.
Pochi giorni dopo aveva termine anche la terza battaglia.
L’undici maggio iniziava l’ultimo attacco che il 18 portò un drappello di soldati polacchi all’interno dell’abbazia e quelle rocce e quei sentieri scoscesi videro i soldati polacchi arrampicarsi furtivi alzando gli occhi in alto, verso la loro sanguinosa meta. Molti di loro ridiscesero quegli impervi sentieri su una barella feriti o morti, portati a dorso dai superstiti. Altri giacquero ancora per molto tempo sulla nuda roccia riarsa, stretti in un abbraccio mortale ai soldati tedeschi che avevano conteso loro fino all’ultimo ogni metro di terreno.

Fonte: M. Parker, Montecassino, 15 gennaio – 18 maggio 1944. Storia e uonini di una grande battaglia, Il Saggiatore, 2003.

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