Studi Cassinati, anno 2001, n. 2
Il martirio di Cassino ebbe inizio il 10 settembre 1943 con un inatteso e tragico bombardamento aereo da parte dell’aviazione alleata anglo americana: in quella sola giornata si contarono molte decine di morti, di cui solo tre tedeschi.
Appena due giorni prima l’annuncio dell’avvenuto armistizio aveva fatto riversare sulle strade cittadine la popolazione festante per la fine del conflitto.
Da quel triste venerdì di settembre le bombe caddero quotidianamente sulla città e su tutto il Cassinate fino alla fine di maggio 1944. Gli abitanti cercarono rifugio sulle alture circostanti, sulla Costa, a Monte Maggio, a S. Michele, a Portella, a Terelle, a Montecassino, nei casolari di campagna. I rastrellamenti del mese di novembre finirono per spopolare il territorio: molti civili furono trasferiti nei centri del nord della provincia di Frosinone, altri furono portati nel nord-est d’Italia, altri ancora, su vagoni ferroviari, deportati in Austria, in Cecoslovacchia, in Germania, a lavorare nei campi d’aviazione o nelle industrie tedesche.
La battaglia di Cassino per lo sfondamento della linea difensiva tedesca, denominata “Linea Gustav”, si è soliti suddividerla in quattro fasi, “le quattro battaglie di Cassino”, sviluppatesi tra l’11 gennaio 1944 ed il 18 maggio successivo. Le prime due furono determinate dai tentativi di conquista di Montecassino e delle alture circostanti, e si conclusero con la distruzione del monastero. La terza fase vide gli sforzi alleati per prendere la città di Cassino e la strenua difesa dei paracadutisti tedeschi: culminò con il bombardamento a tappeto della città. L’ultima fu un attacco corale su tutto il fronte, dai piedi del monte Cairo alla foce del Garigliano, con lo sfondamento delle difese tedesche sui monti Aurunci e sul fiume Gari.
Subito dopo i tedeschi cercarono inutilmente di rallentare l’avanzata alleata con l’allestimento di una seconda linea difensiva, arretrata di qualche chilometro rispetto alla Gustav, la “Linea Hitler”, poi ribattezzata “Linea Dora”, tra Piedimonte Sangermano, Pontecorvo ed i monti Aurunci.
Le date da ricordare, oltre il 10 settembre 1943, sono il 21 ottobre per un nuovo intenso bombardamento, il 15 febbraio 1944 per la dissennata quanto inutile distruzione del monastero di Montecassino con varie centinaia di vittime civili, il 15 marzo per l’analogo destino della sottostante città di Cassino, rasa completamente al suolo, l’11 maggio per l’inizio della grande offensiva finale su tutto il fronte, il 18 maggio per la conquista delle macerie di Montecassino da parte delle truppe polacche del generale Anders, per lo sfondamento della Linea Gustav e il termine delle operazioni belliche nel Cassinate.
Solo dopo la liberazione di Roma, il 4 giugno, e dopo il passaggio delle truppe alleate con il seguito di giornalisti, inviati speciali ed operatori cinematografici, i cittadini di Cassino fecero le prime coraggiose e pietose visite alle macerie della loro città. Ma non tutto era ancora finito: li aspettavano i numerosi cadaveri putrefatti, le mine e le bombe inesplose, li aspettavano le tribolazioni per la fame, per la mancanza di ogni cosa, per la malaria che fece ancora molte e molte vittime.
Ma la volontà dei Cassinati di riprendere una vita normale, anche se di normale non vi era più nulla, indusse molti a tornare, a rovistare tra le macerie delle loro case, a costruirsi un riparo, a riappropriarsi, un po’ alla volta, di quella che era stata la loro città: ne è prova emblematica la prima delibera di Giunta Municipale datata 30 luglio 1944 e redatta sulle stesse rovine della città distrutta; ne è prova l’immediata opera di sgombero delle macerie a Montecassino; ne è ulteriore prova la rapida ricostruzione dell’orfanotrofio delle suore Stimmatine, che vi rientrarono il 6 dicembre 1945 con 5 orfanelle.
Le prime costruzioni furono le baracche in legno, che diedero un precario ma prezioso asilo ai profughi. Sgomberate le macerie, rimosse le mine – con il concorso iniziale di prigionieri tedeschi -, la ricostruzione, sia della città martire, sia del monastero di Montecassino, ricominciò immediatamente. Gli italiani all’estero parteciparono con generosi invii di denaro – ad essi si deve, tra l’altro, la costruzione dell’ex orfanotrofio “Figli d’Italia” dei Padri Minozzi -, ma la spesa totale della ricostruzione fu a carico dello Stato italiano, che adottò Cassino e Montecassino come simboli della ricostruzione nazionale.
Appena due giorni prima l’annuncio dell’avvenuto armistizio aveva fatto riversare sulle strade cittadine la popolazione festante per la fine del conflitto.
Da quel triste venerdì di settembre le bombe caddero quotidianamente sulla città e su tutto il Cassinate fino alla fine di maggio 1944. Gli abitanti cercarono rifugio sulle alture circostanti, sulla Costa, a Monte Maggio, a S. Michele, a Portella, a Terelle, a Montecassino, nei casolari di campagna. I rastrellamenti del mese di novembre finirono per spopolare il territorio: molti civili furono trasferiti nei centri del nord della provincia di Frosinone, altri furono portati nel nord-est d’Italia, altri ancora, su vagoni ferroviari, deportati in Austria, in Cecoslovacchia, in Germania, a lavorare nei campi d’aviazione o nelle industrie tedesche.
La battaglia di Cassino per lo sfondamento della linea difensiva tedesca, denominata “Linea Gustav”, si è soliti suddividerla in quattro fasi, “le quattro battaglie di Cassino”, sviluppatesi tra l’11 gennaio 1944 ed il 18 maggio successivo. Le prime due furono determinate dai tentativi di conquista di Montecassino e delle alture circostanti, e si conclusero con la distruzione del monastero. La terza fase vide gli sforzi alleati per prendere la città di Cassino e la strenua difesa dei paracadutisti tedeschi: culminò con il bombardamento a tappeto della città. L’ultima fu un attacco corale su tutto il fronte, dai piedi del monte Cairo alla foce del Garigliano, con lo sfondamento delle difese tedesche sui monti Aurunci e sul fiume Gari.
Subito dopo i tedeschi cercarono inutilmente di rallentare l’avanzata alleata con l’allestimento di una seconda linea difensiva, arretrata di qualche chilometro rispetto alla Gustav, la “Linea Hitler”, poi ribattezzata “Linea Dora”, tra Piedimonte Sangermano, Pontecorvo ed i monti Aurunci.
Le date da ricordare, oltre il 10 settembre 1943, sono il 21 ottobre per un nuovo intenso bombardamento, il 15 febbraio 1944 per la dissennata quanto inutile distruzione del monastero di Montecassino con varie centinaia di vittime civili, il 15 marzo per l’analogo destino della sottostante città di Cassino, rasa completamente al suolo, l’11 maggio per l’inizio della grande offensiva finale su tutto il fronte, il 18 maggio per la conquista delle macerie di Montecassino da parte delle truppe polacche del generale Anders, per lo sfondamento della Linea Gustav e il termine delle operazioni belliche nel Cassinate.
Solo dopo la liberazione di Roma, il 4 giugno, e dopo il passaggio delle truppe alleate con il seguito di giornalisti, inviati speciali ed operatori cinematografici, i cittadini di Cassino fecero le prime coraggiose e pietose visite alle macerie della loro città. Ma non tutto era ancora finito: li aspettavano i numerosi cadaveri putrefatti, le mine e le bombe inesplose, li aspettavano le tribolazioni per la fame, per la mancanza di ogni cosa, per la malaria che fece ancora molte e molte vittime.
Ma la volontà dei Cassinati di riprendere una vita normale, anche se di normale non vi era più nulla, indusse molti a tornare, a rovistare tra le macerie delle loro case, a costruirsi un riparo, a riappropriarsi, un po’ alla volta, di quella che era stata la loro città: ne è prova emblematica la prima delibera di Giunta Municipale datata 30 luglio 1944 e redatta sulle stesse rovine della città distrutta; ne è prova l’immediata opera di sgombero delle macerie a Montecassino; ne è ulteriore prova la rapida ricostruzione dell’orfanotrofio delle suore Stimmatine, che vi rientrarono il 6 dicembre 1945 con 5 orfanelle.
Le prime costruzioni furono le baracche in legno, che diedero un precario ma prezioso asilo ai profughi. Sgomberate le macerie, rimosse le mine – con il concorso iniziale di prigionieri tedeschi -, la ricostruzione, sia della città martire, sia del monastero di Montecassino, ricominciò immediatamente. Gli italiani all’estero parteciparono con generosi invii di denaro – ad essi si deve, tra l’altro, la costruzione dell’ex orfanotrofio “Figli d’Italia” dei Padri Minozzi -, ma la spesa totale della ricostruzione fu a carico dello Stato italiano, che adottò Cassino e Montecassino come simboli della ricostruzione nazionale.
*Da “Cassino, dal martirio alla rinascita”, catalogo della mostra fotografica del 1-10 ottobre 1999, a cura del CDSC.
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