Studi Cassinati, anno 2002, n. 3/4
di Maurizio Zambardi
Nelle varie trattazioni riguardanti le cinta in opera poligonale di epoca sannitica su Monte Sambucaro, in particolare quella ricadente nel territorio di San Vittore del Lazio, si menzionano sovente alcune costruzioni agro-pastorali in pietra, chiamate spesso dagli studiosi stessi “costruzioni di tipo nuragico”1. Queste costruzioni, potremmo definirle una fusione tra un nuraghe sardo e un trullo pugliese, anche se – nelle intenzioni del costruttore – il riferimento era più a quest’ultima tipologia. Esse, formate da un unico ambiente, hanno la copertura del tipo a tholos, cioè con una falsa cupola ottenuta dalla sovrapposizione di cerchi concentrici realizzati con pietre, che aggettano verso l’interno man mano che si sale, fino a chiudersi. L’ultima pietra che si posiziona è più larga delle altre in modo tale da completare la copertura. Questa tecnica risulta molto utile quando si vuole coprire un ambiente e si ha a disposizione solo materiale lapideo, magari appena sbozzato.
Le stesse costruzioni sono tipiche dell’ambiente agro-pastorale e caratterizzano i paesaggi montani dell’Abruzzo, del Molise, della Puglia ed anche del Basso Lazio e dell’Alta Campania. Secondo alcuni studiosi, si sono sviluppate maggiormente nel secolo scorso, quando l’esigenza di terre da coltivare e di nuovi pascoli hanno spinto l’uomo alla ricerca e messa in coltura anche di aree boschive, anche se a vedersi alcune di esse sembrano molto più antiche. E’ indubbio tuttavia che la tecnica di costruzione di questi “ripari montani” scaturisca da quella utilizzata per la costruzione dei trulli pugliesi e che molto probabilmente sia stata importata in zona dai pastori transumanti2.
La pietra locale è del tipo calcarea e si trova in abbondanza sulle alture delle regioni menzionate. Le dimensioni medie delle pietre utilizzate variano dai 20 ai 40 centimetri, scegliendole tra le più adatte allo scopo. Nei territori pugliesi le costruzioni raggiungono un grado di lavorazione superiore a quello utilizzato dalle nostre parti grazie alla disponibilità di “chianche”, vale a dire pietre calcaree, larghe e piatte, che si trovavano facilmente in natura già adatte allo scopo. Questo tipo di roccia consente di ottenere, con pochi colpi di “mazzuola”, la forma desiderata, poiché la rottura avviene per strati secondo i piani di sedimentazione della roccia stessa. Le costruzioni sono molto più resistenti e durature delle capanne in legno e paglia, inoltre il pericolo di incendio è minimo e la struttura risulta più resistente alle bufere di vento e di neve.
Vari sono i nomi dati a queste costruzioni, tra cui i più comuni risultano essere “pagliare”, “caselle”, “trulli” o anche “mandra”, che deriverebbe da mandria, nel significato di stalla con recinto. Il termine “pagliaro” si sarà diffuso quando queste strutture, persa la loro originaria funzione collegata al mondo pastorale, furono riutilizzate per scopi soprattutto agricoli3. Chiameremo le strutture in esame “Pagliare”, riferendoci al toponimo locale “Macerie del Pallerino”. Le “Pagliare” in questione sono situate alle spalle di Monte Sambucaro nel territorio di San Vittore del Lazio, e precisamente sul lato sinistro della mulattiera che da San Pietro Infine conduce alla Radicosa. L’intera struttura è composta da tre costruzioni isolate e autonome, realizzate con muri a secco, cioè senza l’impiego di malta tra una pietra e l’altra. Due di questi ambienti, che appaiono più antichi, hanno la pianta di forma tondeggiante o, per meglio dire, una circolare e l’altra ellissoidale. La copertura di questi ultimi è del tipo a tholos: ciò giustifica la pianta tondeggiante, anche se attualmente manca la parte sommitale. Il tholos, la cui pianta è a forma di ellisse, ha il diametro maggiore che misura – internamente e alla base – 3.60 metri, quello inferiore è di 1.60 metri circa, mentre lo spessore supera di poco il metro. La parte alta manca dell’ultima pietra che chiudeva la falsa cupola, tolta certamente per consentire la realizzazione, in epoca diversa, di un focolare di emergenza costruito all’interno. Lo testimoniano le evidenti tracce di fumo in alcuni punti della muratura. L’altro tholos, a pianta circolare, ha un diametro interno di circa 2.60 metri e risulta più rovinato, in quanto la parte mancante di copertura ha un diametro di circa 1.50 metri. La struttura ha subìto anche degli adattamenti successivi, effettuati utilizzando coppi di copertura, poggianti su piccoli tronchi di legno che, oltre a chiudere la parte di volta mancante, coprono anche gran parte dello spessore del muro laterale. Lo scopo è quello di impermeabilizzare anche la sommità delle mura per rendere più fruibile l’ambiente interno. In genere sulla parte esterna venivano messe terra e cenere mista a paglia per creare una sorta di impermeabilizzazione dell’ambiente sottostante. Sulla parete esterna alcune pietre aggettanti creano una piccola scala, che consente di poggiare solo un piede per volta ma molto utile per la manutenzione del tetto.
La parte inferiore, quella cioè a contatto con il terreno, ha uno spessore maggiore, ottenuto realizzando un muretto basso, tipo un anello di rinforzo, che gira lungo tutto il perimetro di base ad esclusione dell’unica entrata. Il suo scopo principale sembrerebbe quello di annullare la spinta verso l’esterno data dalla falsa cupola. La parte superiore della muratura anulare ha una leggera pendenza, dando luogo ad una rampa elicoidale che gira tutt’intorno alla struttura, che potrà essere utilizzata anche successivamente come impalcatura sia per erigere muri nuovi che in eventuali opere di riparazione. Ogni ambiente ha delle piccole aperture che fungono da finestra, il vano della porta è di piccole dimensioni e un’unica pietra posta di traverso sulle sue ante funge da architrave. All’interno vi è una pavimentazione ricavata dalla apposizione di altre pietre calcaree usate come basoli e di forma il più possibile piana. Il terzo ambiente, quello quadrangolare, di dimensioni 3 x 3 metri circa, è ricavato sfruttando due lati del muretto di cinta che racchiude l’area in questione. La sua superficie è maggiore di quella delle altre ed anche la tecnica costruttiva adottata è diversa. Ciò che rimane della copertura, purtroppo crollata, consente di capire che era realizzata con travetti ricavati da piccoli tronchi di legna, su cui poggiavano di traverso listelli in legno e quindi le tegole, queste ultime formate da embrici e coppi di rozza fattura.
Le costruzioni sono circondate da una serie di recinti in pietra, utilizzati certamente per gli animali da allevamento. Vi è anche una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, necessaria in un luogo dove scarseggiano le sorgenti naturali.
In una parte più estrema, in direzione della frazione “Radicosa”, è ancora presente un’aia utilizzata per la trebbiatura.
Voce popolare vuole che anche durante l’ultimo conflitto mondiale molti sampietresi, scampati al rastrellamento dei Tedeschi, abbiano utilizzato i ripari come rifugio. Alcuni vecchi pastori di San Pietro Infine sostengono inoltre che molte costruzioni furono realizzate da Nicandro Nardelli4, soprannominato “Gliu casalese”5, prima della seconda guerra mondiale e che esse servivano per la sosta e il ricovero dei pastori durante la transumanza, ma è probabile che il Nardelli abbia costruito da sè solo l’ambiente a pianta quadrangolare, più semplice e meno impegnativo da realizzare.
Le costruzioni, unite anche a molte altre più piccole che si trovano sparse sia su Monte Sambucaro sia sui monti limitrofi, sono un bell’esempio di architettura pastorale che caratterizza il nostro paesaggio montano e quindi andrebbero annoverate nell’elenco dei beni culturali da tutelare e salvaguardare nel nostro territorio.
Le foto e i rilievi sono di Maurizio Zambardi (coll. Lucio Nardelli).
note
1 A. Giannetti, “Mura ciclopiche in S. Vittore del Lazio (Colle Marena-Falascosa): probabile identificazione del sito dell’antica Aquilonia”, Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, 1973. – E. Pistilli “Aquilonia: solo un’ipotesi” in “La voce di Aquino” N° 34 Giugno Luglio 1972 pag.4. – A. Coletta, “San Vittore del Lazio”, in “Centri fortificati del Lazio Meridionale” a cura del Centro di Studi Storici “Saturnia”.
2 A. Ambrosiani, E. Degabo, C. A. Zaccaria, Architettura in pietra a secco, (Atti del 1° Seminario internazionale “Architettura in pietra a secco”, Fasano di Brindisi 1990.
3 Vedi a tal proposito Località Pagliare (Arpino), Case Pagliarola (Isola Liri), località Pagliaroli e loc. Pagliaro Murato (Veroli), loc. Pagliara (Atina, San Vincenzo, Valle Rovereto), loc. Pagliaroni (Balsorano) Colle Pagliaia (Villa Latina). Da: M. Rizzello Costruzioni Agro pastorali della Media Valle del Liri Supplemento a Lazio Agricolo, Dic. 1987 pag.3;
4 Nicandro Nardelli, ora scomparso, era un pastore della Radicosa, una frazione di San Vittore del Lazio, ma risiedeva a San Pietro Infine, e, come tutti i pastori che praticavano la transumanza, era molto bravo nel realizzare le cosiddette “macere”, cioè i muri a secco, utilizzati sia come recinzione che come muri di contenimento dei terreni per i terrazzamenti.
5 poiché la moglie Maria Bucci era di Conca Casale, nel Molise.
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