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Studi Cassinati, anno 2016, n. 3
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di Gaetano de Angelis-Curtis
Nel centenario della morte
Il 6 agosto 1916 cadeva «sul campo dell’onore» Enrico Toti, disabile che combatteva da volontario nel III Battaglione Bersaglieri ciclisti, decorato di Medaglia d’oro al Valore Militare.
Enrico Toti, pur nato a Roma il 20 agosto 1882, può essere considerato come un cassinate essendo figlio di
Nicola, ferroviere, appunto di Cassino, e di Semira Calabresi, originaria di Palestrina.
Nel 1896, giovanissimo, si arruolò in marina e partecipò alla campagna d’Africa nel mar Rosso nel 1904, ma, con la morte del fratello si congedò per impiegarsi, come il padre, nelle Ferrovie dello Stato. Il 2 marzo 1908 fu coinvolto in un tragico incidente sul lavoro. Nella stazione di Segni fu investito da un locomotore a causa di un’errata manovra di un macchinista. Enrico, appena ventiseienne, subì l’amputazione della gamba sinistra poco sotto il bacino e da quel momento dovette ricorrere all’aiuto di una stampella.
Dopo l’operazione non si abbatté d’animo. Riprese gli studi, mise a punto varie invenzioni, pubblicò diversi opuscoli, si dette allo sport, il nuoto e, in particolare, il ciclismo. Nel 1911 compì un lungo giro in bicicletta nell’Europa centrale e settentrionale giungendo fino in Lapponia dove dovette fermarsi per le avverse condizioni meteorologiche. Sulla strada del ritorno giunse a Vienna dove le autorità di polizia austriache gli ordinarono di togliersi la fascia tricolore che portava sempre al braccio. Quindi intraprese un altro viaggio partendo dal Cairo in Egitto fino in Sudan dove fu fermato dalle autorità inglesi.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, presentò più volte domanda per partire volontario, ma ogni volta la sua richiesta veniva respinta a causa della sua disabilità. Nel giugno 1915 con bicicletta, stampella e tricolore raggiunse comunque il fronte a Palmanova, dove iniziò a prodigarsi «come poteva dando aiuto e conforto a tutti». Fu autorizzato a svolgere servizi sedentari come volontario civile ma la sua grande aspirazione era quella di combattere indossando la divisa da bersagliere dei reparti ciclisti, finché entrò a far parte del III Battaglione ciclisti e si portò in prima linea.
Nell’agosto 1916 iniziò la sesta battaglia dell’Isonzo e nel primo pomeriggio del 6 iniziò un’azione d’attacco congiunta tra fanteria e bersaglieri per la conquista di quota 85 a est di Monfalcone. «Enrico Toti era in prima linea, saltellando sulla sua stampella» incitando i suoi compagni d’arme. Fu tra i primi a raggiungere una trincea austriaca. Fu colpito una prima volta, poi una seconda e infine al terzo colpo cadde in avanti. Poco prima di morire, con le sue ultime forze si sollevò e «scagliò la sua inutile stampella contro il nemico» gridando, in romanesco, «Nun moro io».
Fu decorato post mortem della Medaglia d’oro al Valore Militare concessa motu proprio dal re Vittorio
Emanuele III (non essendo inquadrato ufficialmente in una compagine militare a causa della sua disabilità) con la seguente motivazione:
«Volontario, quantunque privo dalla gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’armi dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone),
lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana. – Monfalcone, 6 agosto 1916».
Il Consiglio Comunale di Cassino del 9 ottobre 1916 fu dedicato alla commemorazione di Enrico Toti e Cesare Battisti, oltre a quella di Enrico Pessina. Il sindaco Caio Fuzio Pinchera, ricordò che «solamente per caso l’Eroe [Enrico Toti] nacque in Roma» e propose di intitolare ai tre altrettante strade della città.
Il 21 dicembre successivo fu ricordato nel Consiglio provinciale di Terra di Lavoro da Vincenzo Casaburi, sindaco di Cervaro che aveva avuto la «somma avventura di conoscerlo».
Nel giugno 1917 Gaetano Di Biasio, «primo tra tutti in Italia», commemorò l’«eroico Enrico Toti» nel corso di una manifestazione tenutasi al Teatro Cossa di Roma.
Il 24 maggio 1922, settimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia, la salma fu traslata a Roma dove ebbe solenni funerali.
A Cassino a suo ricordo fu eretto un Monumento, realizzato dagli scultori Bartolomeo e Luigi Ricci, e collocato nei pressi della stazione ferroviaria. All’interno di una mezza colonna cava erano posti vari simboli legati all’eroico bersagliere come una stampella e un fucile.
Con la distruzione totale di Cassino nel corso del secondo conflitto mondiale quel Monumento andò perso e nel dopoguerra Enrico Toti fu ricordato con una statua, opera del generale Simmaco De Gennaro, inaugurata il 25 aprile 1986 ma che poi finì per essere rimossa in seguito a lavori di «ristrutturazione urbana». Venne quindi progettato un nuovo monumento, inaugurato il 24 febbraio 2008. Ubicato nell’omonima piazza cittadina, si compone di un basamento circolare in pietra con piedistallo su cui poggia la statua dell’eroe opera di Egidio Ambrosetti, scultore di Anagni.
Scriveva nel 2001 A. Colebich: «Non disperdiamo la Memoria altrimenti fra una ventina d’anni i bambini (ammesso che non accada già!) ci chiederanno che senso ha avuto erigere una statua ad un uomo senza una gamba. E non troveranno nessuno in grado di rispondergli».
L’esimio rappresentante del Mandamento di Cervaro, cav. avv. Vincenzo Casaburi, commemorò nobilmente Enrico Toti, fra vivissimi applausi in Consiglio Provinciale, nella seduta del 21 dicembre, e propugnò efficacemente la erogazione di nuovi fondi per la mobilitazione civile allo scopo di continuare a elargire i sussidi alle famiglie dei prodi conterranei caduti per la Patria.
Ecco l’eloquente discorso pronunciato dal cav. Casaburi in onore dell’eroe di Trastevere1:
Sia consentito a me che ebbi la somma ventura di conoscerlo, rivolgere da quest’aula un deferente pensiero e mandare un modesto saluto, vibrante d’amore e di commossa riconoscenza, al prode di Monfalcone, al valoroso leggendario mutilato, all’eroico oriundo cassinate, ad Enrico Toti, il generoso popolano di Trastevere. La sua vita fu un tessuto di avventure e di audacie, degne di essere fugacemente ricordate.
Enrico Toti nacque a Roma, da Nicola Toti, ferroviere di Cassino. Frequentò le Scuole Tecniche ed a 14 anni si arruolò come mozzo elettricista bella R. Marina, dove servì imbarcato nella “Emanuele Filiberto”. Congedatosi servì poi nel Corpo dei Bersaglieri. Compiuto il servizi militare, entrò nelle Ferrovie come macchinista, e a Segni, mentre riparava un guasto alla sua macchina, per un improvviso spostamento dell’altra macchina, che faceva la doppia con la sua, rimase con la gamba sinistra impigliata fra le due vaporiere, per cui gliela dovettero amputare completamente.
In seguito intraprese l’industria di un Cinematografo; ma per quell’anima intrepida ed avventurosa, satura di forza ed avida di rischi, l’immobilità per quanto agiata non appagava il suo temperamento, per cui si diede, pur mancante di una gamba, agli esercizi sportivi, ed a furia di volontà ed allenamento era riuscito a correre in bicicletta e a nuotare maestrevolmente, tanto che dopo aver partecipato con successo a gare di nuoto e di corse, intraprese un giro in bicicletta per l’Europa.
Infatti la percorse tutta e arrivò fino in Lapponia. Al ritorno, al confine austriaco, gli fu imposto di togliere dal manubrio della sua bicicletta una bandierina tricolore, sua compagna di viaggio, sotto minaccia di essere respinto. Egli si rassegnò a non attraversare l’Austria, ma non a togliere dal manubrio la sua bandierina, i bei fatidici colori dell’Italia nostra. Nelle città che visitava teneva delle conferenze e spacciava delle cartoline e delle caricature ad acquarello, che egli stesso con arte e rara sveltezza dipingeva.
Tornato a Roma, ideò di fare, sempre in bicicletta e da solo, un viaggio in Africa ed arrivare fino in Congo. Si avviò, sbarcò ad Alessandria di Egitto, e di là in bicicletta giunse sino in Sudan, donde le Autorità inglesi gl’impedirono di proseguire, dati i pericoli cui si sarebbe certamente esposto, internandosi in quei luoghi. Ritornato a Roma, per non rimanere in ozio, aprì un piccolo Laboratorio, dove teneva impiegati una diecina di ragazzi che sotto la sua sapiente guida fabbricavano piccoli ed eleganti mobili di legno, da servire come giocattoli. Ma venne il fiorito maggio dell’anno 1915, la primavera della novissima rinascenza italica, questa epifania di sangue che ci ricongiunge alla gloria secolare degli avi nostri, come cantò l’on. collega Zanfagna, e dalle vie dell’alma Roma risuonarono conclamanti inni di guerra,cui facevano eco gli squilli delle trombe dei nostri bersaglieri marcianti pel fronte, che non potevano non scuotere a far tremare Enrico Toti, anima ardente di patriotta, espressione purissima dell’entusiasmo popolare.
Tre volte fece domanda al Ministero della Guerra per tornare volontario nel suo Corpo dei Bersaglieri, e tre volte gli fu respinta, perché mutilato. Ebbe poi modo di presentarsi al Duca d’Aosta, il quale, vista la su volontà instancabile di essere utile alla Patria e scorta la sua mirabile forza d’animo, gli permise di far parte dei Bersaglieri Ciclisti. Fu adibito a portare ordine, e a servizio d’informazioni. Fu una vedetta impareggiabile e dal gennaio scorso gli fu anche permesso di stare in trincea. Rese importanti servigi
nell’aprile a quota 70 (est di Selz) e il 6 agosto, all’assalto di quota 85 a Monfalcone, volle ad ogni costo seguire i compagni e fu tra i primi ad arrivare sulla trincea nemica, lanciando bombe e lottando come poté col fucile, come scriveva il suo Colonnello. Due volte ferito rimase al suo posto, continuando a sparare e gridando ai suoi compagni “Viva l’Italia! Viva Trieste! Viva i Bersaglieri!”. Ferito la terza volta, cadde, si rialzò e sentendosi morire, con sublime eroismo scagliò la sua stampella contro il nemico in fuga, gli agitatori delle mazze ferrate, e morì baciando il piumetto del suo cappello.
Il giorno avanti aveva inviata la seguente cartolina al giornalista Tonetti:
“Dalle terre redente, cullandomi nella salda convinzione di essere presto a Trieste e farvi sventolare il tricolore, mando i miei più fervidi saluti a Lei, alla mia famiglia, ed ai consoci dell’Audace Club. – Dev.mo – Enrico Toti”.
Sua Maestà il Re, motu proprio, conferì alla sua memoria la medaglia d’oro al valore militare, che il 20 settembre il generale Marini, esaltando consegnò a Nicola Toti, il quale, commosso e con animo fiero, ebbe la forza di rispondere: “Generale, il mio povero Enrico, non ha fatto che il suo dovere”.
Leggo la splendida motivazione della concessione della medaglia:
«Volontario, quantunque privo dalla gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’armi dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone), lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana».
Signori, esempio più memorando non vide la storia, e tra gli eroi delle nuovissime gesta Enrico Toti occuperà il primo posto. Egli, la vittima volontaria e consapevole, vivrà eterno, oltre il tempo e lo spazio, finché durerà nel mondo il culto della virtù e del sacrificio.
È vero che Enrico Toti nacque a Roma, ma non è men vero che i suoi genitori sono di Cassino, ove vivono parenti e congiunti numerosissimi, che vanno orgogliosi e sono fieri delle gesta del loro glorioso Enrico, così come orgogliose debbono andare la Città di Cassino e la Provincia di Caserta, non seconda ad alcuna nell’offerta sacra di sangue e di vita per la grandezza della Patria e la gloria del Re, in questa immane guerra contro l’aborrito, esecrato secolare nemico.
Onore e gloria a Lui, che volle e seppe morire da valoroso nel santo nome d’Italia!
Onore e gloria al suo largo parentato, che può vantare e tramandare ai suoi figli tanta nobiltà di eroismo!
Onore e gloria all’originaria sua terra natìa, alla Cittadina fiorente e laboriosa, che si distende alle falde del Sacro Monte, da cui prende il nome, e sulla cui cima sorge maestoso il gran Cenobio in ogni tempo faro luminoso di civiltà e di sapere, ove s’insegna a venerare con Dio l’Italia!
Onore alla Provincia, se saprà e vorrà onorare, come non dubito, lo eroico suo figlio, l’eroe novissimo dell’Italia nova!
A ricorso della sua memoria, ad esempio e stimolo ad opre gagliarde delle presenti e future generazioni e ad ammonimento degli ignavi, dei tiepidi e dei vili, propongo e prego la Deputazione e l’onorevole Consiglio perché vogliano deliberare di fregiare una delle sale di questa Amministrazione con la immagine di Enrico Toti.
Accanto alle venerande immagini dei maggiori nostri comprovinciali, che adornano queste sale, e che nelle ore feconde della pace illustrarono ed onorarono questa Terra di Lavoro col senno e colle opere, ben può stare l’effigie del glorioso popolano che, nelle ore cruenti della più grande guerra che la storia ricordi, la illustrava ed onorava col sangue e colla vita, morendo ne la santa luce de l’armi, per la Patria e pel Re.
Viva il Re!
NOTE
* Il Cdsc-Onlus si è già interessato delle vicende di vita di Enrico Toti pubblicando, nel novantesimo dalla morte, la ricerca dei soci Marco Mattei – Valentino Mattei, Enrico Toti, Centro Documentazione e Studi Cassinati, U. Sambucci, Cassino 2006. Per gli approfondimenti si rimanda a tale imprescindibile e preziosa pubblicazione dalla quale sono tratte le notizie riportate. Sulle vicende relative al Monumento a Enrico Toti a Cassino cfr. E. Pistilli, Appunti per una storia che non sarà scritta, Cdsc-Onlus, Cassino 2014, pp. 139-152. Le foto storiche pubblicate sono tratte dal volume di Gabriella Toti, Nun moro io … In vita e in morte di Enrico Toti, Aviani 1998.
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