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Studi Cassinati, anno 2016, n. 3
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di Lucio Meglio
Ferdinando Taddei nacque a Casalattico (Fr) il 9 febbraio del 1867. Suoi genitori furono Sebastiano e Colomba Nota che conducevano un’onesta e laboriosa vita nel piccolo paese della Valle di Comino. Il giorno seguente il piccolo fu condotto nella chiesa parrocchiale di San Barbato per ricevere il Santo Battesimo. Ad attenderlo c’era il parroco del paese don Antonio Vitti. Di animo buono e carattere dolce fin da bambino dimostrò una particolare predilezione per l’aiuto a tutto ciò che era sofferenza e miseria. La sua formazione scolastica lo vede frequentare prima le scuole del suo paese ed in seguito quelle di Alvito. Terminati i primi studi in accordo con i genitori decise di entrare nel Seminario di Sora per la formazione ginnasiale. Qui ebbe come insegnante di lettere mons. Domenico Fortuna che ne lodò fin da subito l’ingegno e l’amore per lo studio. Man mano che gli anni passavano nell’animo del giovane Ferdinando maturò sempre più la chiamata alla vita religiosa. La predisposizione all’aiuto dei più bisognosi lo portò ad avvicinarsi alla Congregazione della Missione fondata da san Vincenzo De Paoli, di cui già un suo cugino, don Antonio Nota, ne era sacerdote. Fu quest’ultimo a condurlo a Parigi dove, all’età di diciotto anni, il 1 ottobre 1883, Ferdinando entrò nel Noviziato della Congregazione.
Prima di partire da Casalattico passò per Montattico dove un anziano del posto nel vederlo disse al giovane seminarista: «ora te ne vai, ma se non ti fai onore, non passar più da questa parti!».
Dopo un viaggio particolarmente movimentato, il novello missionario giunse nel Collegio parigino di Rue Saint Lazare. I primi tempi non furono facili a causa della diffidenza che i compagni francesi nutrivano nei confronti del nuovo arrivato “italiano”; ma il giovane Taddei non si perse d’animo anzi lo ebbe come pretesto per dimostrare a tutti le sue qualità dedicando le sue giornate solo allo studio. In soli due mesi imparò a perfezione la lingua francese tanto che i Superiori, stupiti, ebbero a dire di lui che sarebbe stato un secondo Tommaso, in memoria del suo illustre conterraneo d’Aquino. A sei mesi dall’arrivo recitò in perfetto francese un discorso in onore della Vergine Maria che vendicò definitivamente il disprezzo iniziale dei compagni d’oltralpe. Intanto gli anni passavano e giunse il momento della professione solenne che avvenne il 2 ottobre 1885 dinanzi al Padre Generale dell’Ordine rev. Antoine Fiat. Realizzato il sogno di essere un figlio di San Vincenzo De Paoli continuò il tempo della formazione specializzandosi nello studio della Summa Teologica dell’aquinate.
Giunse il tempo di abbracciare la vita del missionario e così il 21 luglio 1889 p. Ferdinando, all’età di ventidue anni, lasciò Parigi per partire alla volta del Brasile. Inizialmente fu di famiglia nella città di Bahia, dove il 1 novembre 1890 fu ordinato sacerdote e nominato rettore del Seminario. Svolse questo incarico per tre anni, prima di esser trasferito, nel 1893, nella Casa della Misericordia di Rio de Janeiro, dove vi rimase per un paio di mesi; l’anno seguente infatti giunse nella città di Caraça dove svolse la sua attività missionaria e sacerdotale per ben diciotto anni. Nel 1913, dopo una breve parentesi nella casa St. Vincent di Rio de Janeiro, fu nominato superiore del ritiro di Curitiba dove vi rimase per oltre dieci anni. Ovunque si recasse mostrava profonda e forte pietà soprattutto per i più deboli e bisognosi. Predicò missioni al popolo, esercizi spirituali al clero ed a vari conventi di monache. Ma questi continui uffici non lo distrassero dallo studio accurato delle discipline sacre che da sempre furono la sua passione. «I libri sono il mio ozio», così amava ripetere a chi gli chiedeva se non passava troppo tempo chiuso nel suo studio. Accanto all’attività di predicatore affiancò quella di scrittore producendo diverse operette di carattere spirituale. Parlava correntemente tre lingue: spagnolo, francese e latino. L’amore per la cultura lo spinse a conoscere e frequentare molti personaggi in vista del mondo intellettuale brasiliano che presero ad averlo in profonda amicizia e stima. In Italia fu molto amico dal monaco cassinese Luigi Tosti e quando, nel 1903 tornò in patria, si recò subito a fargli visita a Montecassino dove l’erudito benedettino volle donargli una copia di tutte le sue opere.
Si informava continuamente di tutti gli avvenimenti sia politici che sociali che accadevano in tutte le parti del mondo, specie in Italia. Leggeva moltissimo i giornali del Brasile e quando in essi trovava attacchi alla religione cattolica, subito prendeva carta e penna per rispondere in difesa di quella che per lui era la madre di tutte le virtù. D’ingegno sempre vivo e di parola eloquente e sicura era sempre pronto a tenere testa ai suoi rivali. I suoi confratelli missionari lo presero a chiamare «il campanello elettronico» perché appena toccato su di un argomento subito rispondeva. La sua vasta erudizione ed il suo zelo missionario, lo misero in vista di personaggi illustri del tempo; tra questi il vescovo di Curitiba mons. José de Camargo Barros che lo prese subito in stima tanto da volerlo come rettore del Seminario vescovile. La figura dotta ed erudita viene descritta dal periodico «SAO Vicente» dove un anonimo scrittore così presenta la figura del missionario italiano: «lo vidi per la prima volta nel 1894 nel Collegio di Caraca; veniva dalla Santa Casa della Misericordia di Rio, dove era Cappellano, per insegnare nel celebre Collegio. Alcuni anni più tardi lo rividi in Petròpolis, ove passava alcuni giorni di ferie. Nel 1915 fui ad incontrarlo a Curitiba ove dirigeva quel seminario, essendo partito per la guerra il Superiore. Tre anni dopo, perduta la speranza nel ritorno del Superiore, gli fu affidata definitivamente la direzione dell’Istituto. La Casa di Curitiba, per le scarse risorse viveva molto poveramente. Il Padre Procuratore doveva andare ogni fin del mese al Palazzo Vescovile ad elemosinare il sostentamento per il Seminario, perché quasi nessuno degli studenti pagava la retta e quelli che avrebbero potuto, con sotterfugi si esentavano dal pagare. Casa poverissima, alunni pochi e quasi tutti tenuti gratuitamente, risultato? Nessun conforto. Al contrario, molti incomodi. Il nuovo Superiore non ammetteva questo stato di cose. Parlava con rimpianto degli anni felici passati a Caraca e delle missioni che aveva fatto in compagnia del grande missionario don Lacoste. Aveva sentito immensamente il distacco da Rio, dove per qualche tempo era stato incaricato della Cappellania dell’Immacolata Concezione». Il carattere dinamico del p. Ferdinando non restò fermo dinanzi a queste problematiche così prese la risoluzione di parlare con il vescovo di Paranà, mons. Giovanni Braga, per proporgli la fondazione di un ginnasio diocesano; il vescovo approvò con entusiasmo l’idea.
Nel 1925 il presidente dello Stato del Paranà Caetano Munhoz da Rocha decise di promuovere una riforma educativa per gli Istituti ginnasiali affidandone il compito ai Missionari di san Vincenzo De Paoli. Conosciuta la fama di don Ferdinando il presidente volle conoscerlo e dopo un proficuo colloquio alla presenza del vescovo Braga, convinto delle sue capacità pedagogiche, lo incaricò di questo importante progetto. Ottenuto anche il permesso del Vicario apostolico, dal Ministero dell’Istruzione fu diffuso il decreto presidenziale con il quale si nominavano i professori ed i regolamenti del nascente Liceo ginnasiale. Taddei fu raggiante. La nuova istituzione scolastica contribuì a trasformare la fisionomia religiosa della capitale del Paranà, tutto per merito dell’operato del missionario proveniente dalla Valle di Comino. Per ben trenta anni il p. Taddei insegnò in questo Istituto, dedicandosi senza riposo all’educazione della gioventù tanto bisognosa di formazione cristiana. I suoi alunni non dimenticarono mai gli insegnamenti del loro maestro al quale diedero l’appellativo di «il nostro padre intelligente e sapiente». Al culmine della sua piena maturità scientifica e letteraria ad un tratto a p. Taddei si aprì il varco di una nuova esperienza. Durante una sua assenza, il segretario della Nunziatura Apostolica in visita al convento dei missionari di san Vincenzo De Paoli, esaminò con attenzione la biblioteca privata di don Ferdinando. Nell’uscire affermò ammirato: «l’artista si apprezza dall’attrezzatura dei suoi arnesi. P. Taddei ha una familiarità con i più grandi santi ed i dottori della Chiesa, quindi è fuor di dubbio che anch’egli è un santo e dotto religioso». Il motivo di questa visita fu svelato sul principio del 1927 quando, dinanzi la porta del Seminario di Paranà, si presentò un inviato diplomatico per consegnare una lettera al p. Taddei. Il contenuto lasciò senza fiato il sacerdote che con gli occhi gonfi di lacrime comunicò ai suoi confratelli di esser stato no- minato primo vescovo della diocesi di Jacarezinho. La diocesi fu eretta il 10 maggio 1926 con la bolla Quum in dies numerus di papa Pio XI, ricavandone il territorio dalla diocesi di Curitiba, che contemporaneamente fu elevata al rango di Arcidiocesi metropolitana. P. Ferdinando accettò con profonda umiltà l’incarico a condizione di non dover rinunciare alla cittadinanza italiana alla quale egli teneva troppo. Accolta in via eccezionale la richiesta, il 29 giugno 1927 nella Cattedrale di Rio de Janeiro, alla presenza di senatori, deputati, amici e di sacerdoti provenienti da ogni parte del Brasile, in quella stessa chiesa dove più volte risuonò la sua voce, p. Ferdinando Taddei fu elevato alla dignità episcopale. L’ingresso nella Diocesi di Jacarezinho fu un vero e proprio trionfo, qui non trovò ad attenderlo una grande residenza vescovile, non vi era ancora una sede per la Curia o per l’Episcopio, ma egli non se ne preoccupò; sua unica preoccupazione fu quella di lavorare come sapeva fare lui, in una Diocesi nuova e povera, organizzandola sapientemente a costo di dover lui stesso compiere i lavori più umili. Per prima cosa si confrontò con le profonde piaghe esistenti nella vasta Diocesi affidatagli, esaminandone le cause e trovando i giusti rimedi con la pubblicazione di dotte lettere pastorali, specie quelle contro il Protestantesimo e lo spiritismo, in quei luoghi ancora molto diffuso. Fondò un collegio femminile affidandone la cura alle suore della carità.
La sua intensa attività apostolica non passò inosservata negli ambienti romani della Santa Sede. Il Nunzio Apostolico in Brasile, cardinale Benedetto Aloisi Masella, ne aveva grande stima. Parlando di lui a Pontecorvo lo definì come uno dei più dotti ed instancabili vescovi del Brasile. Nel 1936 mons. Taddei partì alla volta dell’Italia; vi era partito cinquantatré anni prima da semplice novizio, vi ritornò da vescovo. Giunse a Sora dove fu ospitato nell’abitazione di d. Angelo Cassoni. Fu accolto con gioia dal vescovo della città mons. Agostino Mancinelli che lo ebbe in grande stima. Dopo un breve periodo di riposo nella città fluviale si recò a Roma dove strinse intimi rapporti di amicizia con il carmelitano p. Edmondo Maria Fusciardi, apprezzato archeologo, al quale aprì tutto il suo animo per tanti progetti di studi teologici e pastorali che desiderava condurre a termine. Con lui si recò prima a Torino, presso l’Istituto Cottolengo, e in seguito in Francia dove ritornò nell’Istituto Internazionale di Formazione S. Vincenzo De Paoli di Parigi. Viaggiare con lui, diceva il p. Edmondo, era la cosa più istruttiva e divertente. Si interessava di tutto e in tutto trovava sempre modo di insinuare sentimenti di pietà e di fede. Giunto a Parigi fu amorevolmente accolto dai suoi confratelli. Qui amava prendere parte agli atti della Comunità deliziandosi di vedere in azione la regolare osservanza e ogni giorno invitava in refettorio due poveri che faceva sedere accanto a lui. Si recò in visita a Lisieux dove ebbe la fortuna di poter parlare con la sorella di santa Teresa del Bambin Gesù alla quale espose in perfetto francese l’opera del piccolo Fiore del Carmelo che aveva realizzato in Brasile. Tornato a Roma fu ricevuto in udienza privata dal Santo Padre Pio XII che gli impartì una speciale benedizione apostolica. Il vescovo ne rimase profondamente colpito tanto da affermare: «anche se muoio ora sono felice!». Terminato il periodo di riposo e viaggio in Europa nel novembre del 1936 mons. Taddei rientrò in Brasile accolto trionfalmente dal suo gregge che l’attendeva impaziente. Ma l’età avanzava e con essa si affacciarono i primi sintomi di quel male che giorno dopo giorno tolse le forze all’infaticabile missionario che pian piano dovette diminuire gli impegni pubblici. Trascorsi quattro anni di malattia, il 9 febbraio 1940, mons. Ferdinando Taddei all’età di 73 anni di cui 55 di professione volò in cielo tra le braccia del Padre.
La sua morte fu rimpianta da tutti. Alla notizia del decesso il presidente Munhoz da Rocha affermò pubblicamente che il Brasile, in special modo lo Stato di Paranà, perdeva un grande uomo e un infaticabile vescovo.
Terminiamo la sua biografia con il racconto di ciò che avvenne alla sua morte raccontato da suor Caterina del collegio di Jacarezinho in una lettera spedita alla madre generale dell’ordine: «mi chiedete di scrivere della morte e dei funerali del nostro tanto buono e Santo Vescovo, ma oltre a non saperlo fare, mi trovo senza idee, sento un abbattimento, un vuoto dentro di me che non comprendo. La mattina, dopo una iniezione, egli domandò chi era di cucina. Saputo che era suor Filomena disse, bene, posso oggi andare a Messa. Andò e tornò bene, parlando con noi dei suoi progetti; chiese l’automobile per andare a visitare i lavori del palazzo. Alle 5.30 del pomeriggio chiese una piccola refezione, nello stesso momento entra il suo medico accompagnato dal Segretario e lo trovarono bagnato di sudore. Chiese un sacerdote, e non parlò più. Era entrato in agonia. Senza essere stati avvertiti erano presenti diversi sacerdoti, aveva presso la camera 14 preti e una corona di 13 Figlie della carità. Pregava ininterrottamente e i Sacerdoti gli davano l’assoluzione: l’agonia durò una mezz’ora ed egli conservò la conoscenza fino all’ultimo momento. Spirò senza una contrazione, come una vela che si affloscia. La sua fisionomia rimase calma e serena come se egli si fosse addormentato. Passai la notte vegliando e preparando le iniezioni per conservare il cadavere. Il corpo fu trasportato nella nostra Cappella rimanendovi esposto fino al giorno 11. Per tutti e due i giorni vi fu un vero pellegrinaggio; ricchi e poveri, uomini, donne e bambini si alternavano e si confusero presso la salma e la sfilata fu continua perché tutta la città volle rendere l’ultimo omaggio al Vescovo defunto. La radio tacque, il commercio si arrestò, i cinematografi rimasero chiusi in segno di lutto. Vennero a visitare la salma anche i confratelli mons. Santos, vescovo di Ossis, e mons. Mazzaroto, vescovo di Punta Grossa, che furono allievi di mons. Taddei. La Messa e il suffragio funebre si svolsero secondo il cerimoniale liturgico; erano presenti molti sacerdoti che cantarono meravigliosamente la Messa. Tutto l’insieme benché doloroso, aveva l’aspetto di un trionfo, di una apoteosi. Il libro per le firme, posto all’ingresso della Cappella, registrò 1700 nomi, oltre quelli che non firmarono, ed il gran numero di poveri ed analfabeti. Mons. Belchiorre di Cambarà pronunciò una bellissima orazione funebre, esaltando in parole nutrite di gratitudine e ammirazione, tutto ciò che Paranà deve al compianto Vescovo. Prima di calare il corpo nella tomba, il popolo chiese che fosse portato in corteo».
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