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Studi Cassinati, anno 2016, n. 3
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di Fernando Sidonio
Le «Manovre di San Germano» del 1798 e il quadro svanito
Era la mattina del 12 novembre 1798 quando le truppe napoletane accampate nell’ampia pianura del territorio di San Germano (l’odierna Cassino), aspettavano con impazienza di schierarsi agli ordini del generale austriaco Mack per una dimostrazione tattico-strategica, le famose «Manovre Militari», alla presenza del re Ferdinando IV di Borbone. Quel giorno assieme al sovrano si trovavano sua moglie, Maria Carolina d’Austria, l’ambasciatore inglese William Hamilton, accompagnato dalla moglie Emily Lyon1, ma soprattutto l’ammiraglio inglese Orazio Nelson, fresco vincitore della flotta francese ad Aboukir.
Un colpo di cannone fu il segnale che dette inizio alla sfilata del re, seguito dai suoi cortigiani, davanti alle sue truppe. Re Ferdinando era vestito, su suggerimento della consorte Maria Carolina, da feld-maresciallo austriaco anche se si sentiva molto impacciato nella sua uniforme. Montava a cavallo, un purosangue inglese donatogli da Nelson, e poco si interessava delle sue truppe poiché era maggiormente interessato ai continui saltelli dell’animale. Seguiva la regina vestita elegantemente da amazzone, seduta, con al fianco la inseparabile Emma Lyon, su una quadriga nei cui pressi cavalcava Nelson2 con i suoi ufficiali.
Finita la rassegna delle truppe, il re, mentre veniva omaggiato da suoi si accorse che il gen. Mack si stava avvicinando e ritenendolo uno jettatore cercò di sfiorare i corni che portava sempre con sé ma, non riuscendo a inserire le mani nelle tasche, iniziò a imprecare nei confronti della consorte che gli aveva consigliato di indossare quell’abito. Avvicinatosi, Mack salutò con pomposità il re che però non ebbe modo di rispondergli in quanto il suo cavallo si era imbizzarrito e, impennatosi di colpo, aveva rischiato di farlo cadere. Il sovrano, lasciate le briglie, si aggrappò alla criniera del cavallo che, ormai non più governabile, cominciò a galoppare forsennatamente per la pianura di San Germano. Fu in quel momento che un impavido soldato uscì dalla truppa schierata e si lanciò di corsa verso il cavallo riuscendo a prenderlo per la briglia e, a spregio della sua stessa vita a domarlo, salvando in quel modo la vita del suo re, che, bianco per la paura ripeteva: «jettatura, jettatura, sei tu la vera padrona del mondo». Ferdinando ripresosi dallo spavento volle ringraziare il suo salvatore e, riconoscendolo, esclamò: «Oh Gennaro, ma tu sei soldato?». Si trattava infatti di Gennaro Rivelli3, amico d’infanzia del re, in seguito allontanato da corte, che dopo una vita burrascosa si era arruolato nelle nuove truppe che da Taranto erano arrivate a San Germano. Il soldato si gettò ai piedi del suo re e disse: «Maestà io non merito di stare al vostro cospetto, perché sono un brigante ed un assassino». Ma il re subito gli rispose: «tu sei
sempre il mio fratello di latte ed hai avuto comunque il coraggio di salvare il tuo re, cosa che nessun altro ha fatto; ora mi racconterai i tuoi trascorsi ed io ti grazierò». Fu così che lo invitò a seguirlo dirigendosi verso una collinetta. Strada facendo il re continuò a imprecare contro la jettatura che a suo dire gli veniva dalla presenza del generale Mack. Mentre discorrevano di questi fatti passò sulle loro teste un stormo di quaglie che suscitò un urlo di gioia da parte del re che ebbe ad aggiungere «queste inutili manovre mi hanno rovinato una splendida giornata di caccia». Sulla collinetta furono raggiunti dalla regina, da Nelson e da Mack che si congratularono con Rivelli per l’eroico gesto. Dopo i convenevoli, il gen. Mack chiese al re il permesso di poter iniziare le «Manovre Militari» spiegando che avrebbe effettuato una difficile operazione di guerra e, con le truppe da lui comandate, avrebbe effettuato una manovra di aggiramento per costringere alla resa l’altra parte delle truppe schierate. Si trattava della raffigurazione di una finta battaglia che però veniva svolta da soldati che in maggioranza avevano smesso di dissodare i campi pochi giorni prima ed ora si trovavano ad impugnare il fucile4. Tuttavia proprio a causa dello scarso addestramento delle truppe comandate da Mack, i soldati cominciarono a sbandare paurosamente sul campo e invece di accerchiare il presunto nemico vennero accerchiate a loro volta. Il generale Nelson, che col suo cannocchiale stava guardando la manovra, ebbe uno scatto di ira e chiudendo il cannocchiale imprecò contro Mack definendolo inetto e incapace, aggiungendo che con un comandante del genere, solo un miracolo avrebbe potuto sconfiggere i francesi. In seguito, dopo aver aver ricevuto un biglietto da lady Lyon, Nelson ritrattò tutto quanto aveva detto, compilando un dispaccio in cui esprimeva giudizi esattamente opposti, lodando le truppe ed il generale Mack per l’egregia manovra effettuata.
Al termine della manovra la regina ritornò con la sua quadriga in San Germano. Non riuscì però a convincere il re ad accompagnarla che anzi le disse: «Tu che non credi alla Jettatura di Mack sei stata comunque testimone della sua asineria nel dirigere le Manovre, pertanto mi recherò a piedi in San Germano».
Per chiudere la conversazione si diresse, col suo ritrovato amico Rivelli, presso una baracca dove trovarono, intento a dipingere il fantastico spettacolo delle «Manovre di S. Germano», il pittore di corte Philipp Hackert5. Il re nel vedere l’abbozzo, si congratulò con l’artista esclamando: «beato voi che avete tante virtù e pagherei migliaia di ducati pur di avere almeno una parte del suo grande talento». Proseguì dicendo che in tanti avevano cercato di insegnargli ma come per le altre cose fu tutto inutile. Poi, rivolgendosi a Rivelli, disse: «guarda che meraviglia» e notando che quest’ultimo era insensibile allo spettacolo commentò: «si vede proprio che siamo cresciuti asini insieme».
L’artista intanto, di cui era noto il cattivo umore, imperterrito continuava a disegnare e alla
richiesta del re di spiegargli quell’atteggiamento rispose: «Sire non è che a me la manovra sia dispiaciuta ma è per il motivo per cui vengono fatte che mi preoccupa, infatti esse sono propedeutiche ad una guerra». «Quindi anche voi, Don Filippo, siete come me riluttante a qualsiasi conflitto», rispose il re. «Dovete sapere che io sono stato costretto a dire sì ed ho più volte ribadito la mia contrarietà alla guerra, ma i doveri di stato non me lo hanno permesso; purtroppo già è stata data la mia parola sia al Papa che ai principali responsabili delle potenze europee e a tal proposito sia Nelson che Mack mi hanno assicurato che la nostra entrata in Roma sarà come una passeggiata e che avverrà senza spargimento di sangue».
Hackert chiese al re quali fossero i motivi per cui non si aspettava l’arrivo dei russi e degli austriaci e Ferdinando IV baldanzoso lo interruppe rispondendo «come dice mia moglie Carolina, la gloria di ricondurre il Papa a Roma deve essere soltanto mia, perché, come Carlo Magno e Pipino, anch’io sarò considerato il condottiero che ha restaurato il Papato».
Il re salutò quindi l’artista e insieme a Rivelli si incamminò verso la città. Il pittore rimase perplesso dal comportamento del re in quanto questi nel salutarlo, a differenza delle altre volte, non aveva pronunciato il consueto «arrivederci», un fatto che interpretò come segno di cattivo presagio. Decise allora di smettere di dipingere il quadro fino a quando il re non fosse tornato. Intanto il sovrano, arrivato a San Germano, convocò i ministri della guerra e della giustizia, comunicando loro che da quel momento tutti i crimini del Rivelli venivano condonati e nel contempo lo nominò, tra gli sguardi attoniti dei presenti, capitano di una compagnia del suo esercito nonché ufficiale d’ordinanza a salvaguardia della sua persona6.
Il re partì da San Germano, a capo del suo esercito, la mattina del 23 novembre del 1798 alla volta di Roma, dove il 20 febbraio precedente era stata proclamata la Repubblica Romana con papa Pio VI portato in stato di detenzione in Francia, dove morì l’anno successivo. Ferdinando IV fece il suo ingresso trionfale nella capitale pontificia la mattina del 28 novembre, preceduto la sera prima dal grosso delle sue truppe. Tuttavia lo stesso giorno dell’entrata in Roma, le truppe napoletane del gen. Micheroux vennero sconfitte dai francesi a Torre di Palma, nei pressi del porto di Fermo, cui seguì, dopo, un’altra sconfitta subita dal gen. Mack, lasciando sul campo circa duemila prigionieri, a Civita Castellana da parte del gen. Macdonald. Sempre, in quei giorni, Macdonald sconfisse e fece prigioniero a Papigno, presso Rieti, il colonnello borbonico San Filippo e stessa sorte toccò a luogotenente Meth. A queste notizie il re, colto da paura, travestitosi, l’11 dicembre fuggì alla volta di Caserta. Il giorno successivo le truppe napoletane si ritirarono da Roma e il 14 dicembre le truppe francesi, al comando del generale Championnet, ripresero il possesso della città. In seguito gli eventi precipitarono. Il 21 dicembre 1798 il re e la regina, grazie anche ai servigi di Emily Lyon,
fuggirono da Napoli e si imbarcarono a bordo del «Vanguard», la nave ammiraglia di Nelson, alla volta di Palermo. Il 30 dicembre l’avanguardia dell’esercito francese entrò in San Germano e il primo gennaio 1799 giunse il grosso della truppa. Il 23 gennaio il generale Championnet fece il suo ingresso in Napoli ed il 26 gennaio fu proclamata la Repubblica Napoletana.
A tutt’oggi nessuno sa che fine abbia fatto la tela raffigurante «Le Manovre di San Germano», a dispetto di quelle delle «Manovre di Gaeta» e delle «Manovre di Sessa Aurunca» conservate ancora oggi nella Reggia di Caserta. Un’altra testimonianza dell’esistenza di questa tela ci viene data anche dallo scrittore tedesco Adolf Sthar che nel suo libro stampato a Berlino nel 1849 Die Republikaner in Neaple, tradotto e pubblicato poi in italiano, nel 1854 a Pinerolo, col titolo I Repubblicani di Napoli tra l’altro scrive «…. Era il famoso paesaggista Philipp Hackert, il favorito del re e della regina, a cui era stato dato l’incarico di tramandare ai posteri, per virtù del suo pennello, il grandioso spettacolo della manovra di San Germano».
Può darsi che la tela non sia stata mai ultimata, oppure semplicemente che giaccia in un fondo di magazzino presso qualche museo. Mi auguro che ulteriore indagini sull’argomento vengano fatte da parte di più competenti analisti del settore.
NOTE
1 Emily Lyon, nacque nel Cheshire (Inghilterra) il 26 aprile del 1765 da una umile famiglia. Orfana del padre in tenerissima età, mamma, giovanissima, a quindici anni, si trasferì a Londra. Lavorò nel bordello ”di lusso” gestito da madame Kelly dove fu notata da un ciarlatano, certo dott. Graham, conosciuto come l’inventore del «letto elastico», che la volle con sé come “modella” perché posasse, coperta sola da un velo, nei panni di Igea, la dea della salute. Di lei si innamorò il conte Charles Greville, che voleva sposarla dopo aver avuto tre figli, ma cadde in disgrazia. Decise allora di inviare la Lyon a Napoli, presso suo zio, sir William Hamilton, ambasciatore inglese presso il regno di Napoli. Il vecchio zio si invaghì subito della Lyon e venne a un accordo col nipote con cui stabiliva che avrebbe estinto tutti i debiti del giovane a condizione che rinunciasse a ogni pretesa sulla bellissima Emma. Il sei settembre 1791, nella chiesa di San George a Londra, fu celebrato il matrimonio e quando la coppia fece ritorno a Napoli la Lyon venne presentata a corte come lady Hamilton dove si fece subito notare per le sue presentazioni, che lei chiamava «attitudes», che consistevano in esibizioni, danze, recitazioni e pose. Lady Hamilton viene ricordata anche per una intima relazione con la regina Maria Carolina, tanto da essere oggetto di scherno da parte di alcuni giornali satirici dell’epoca.
2 L’ammiraglio, all’epoca quarantenne, era considerato un grandissimo stratega e un uomo integerrimo. Nel corso della vittoriosa battaglia navale di Aboukir, combattuta il primo agosto 1798, era stato sfiorato da una palla di mitraglia e per coprire la ferita portava un panno nero. Il 15 maggio del 1798 era giunto nel golfo di Napoli. Venne omaggiato, a bordo della sua nave ammiraglia «Vanguard», dalla coppia reale, ed anche dall’ambasciatore Hamilton, accompagnato dalla moglie, la bellissima Emma Lyon. Fu in quella particolare circostanza che la scaltra lady Hamilton fingendo un malore cadde tra le braccia dell’ammiraglio. Ebbe così inizio una relazione amorosa che prosegui fino alla morte dell’ammiraglio e da cui nacque una figlia a cui fu dato il nome di Horatia, in onore del padre.
3 Gennaro Rivelli era detto il «Menino» di Ferdinando IV. Figlio di una balia del re, da bambino fu compagno di giochi del futuro re; crebbero insieme a corte e pochi inclini allo studio, passavano il loro tempo giocando e divertendosi a torturare animali. Quando Maria Carolina sposò Ferdinando, ritenendo quell’uomo rozzo e violento, per prima cosa lo allontanò da corte. Fu allora che egli si ritirò nel Cilento dove si innamorò e sposò una donna, Luisa, che però era già da tempo l’amante segreta di suo fratello prete. Quando venne a scoprire l’adulterio pose fine alla relazione uccidendo la moglie. Scappò in Calabria e si rifugiò in un convento di monache, che tra l’altro ospitava anche il famigerato Fra Diavolo, alias Michele Pezza.
4 Infatti solo pochi mesi prima, con un bando emanato il 2 settembre 1798 in cui si stabiliva che ogni comunità del Regno dovesse fornire otto uomini per ogni mille abitanti, erano stati chiamati alle armi oltre quarantamila nuove reclute.
5 Philipp Hackert era nato a Prenzlau in Prussia nel 1737. Sin da giovane intraprese diversi viaggi per l’Europa e, dopo molto peregrinare, a partire dal 1798 si stabilì in Italia. Soggiornò a Roma dove ebbe committenti personaggi illustri come papa Pio VI e Marcantonio IV Borghese. Fu durante questo soggiorno romano che gli venne attribuito l’appellativo di «pittore paesaggistico». Nel 1782 in viaggio verso Napoli, venne presentato al re Ferdinando IV dall’ambasciatore russo, il conte Cirillo Grigorievic Rasumovskij. Ebbe subito l’incarico dal sovrano di dipingere quattro quadri, tuttora presenti nella reggia di Caserta. Tra i tanti dipinti di Hackert vanno ricordarti quelli delle cosiddette «Manovre Militari». Un primo dipinto raffigurale manovre effettuate a Santa Maria della Piana, nei pressi di Sessa Aurunca, fu dipinto nel maggio 1794 , mentre un altro ritrae le esercitazioni effettuate nei pressi di Gaeta il 19 maggio 1787, entrambi custoditi nella reggia di Caserta. Lasciò Napoli dopo l’entrata dei francesi, raggiungendo Livorno via mare insieme al fratello Georg. Successivamente si spostò a Pisa, dove visse per circa un anno prima di stabilirsi definitivamente a Firenze. Per interessamento del suo amico Wolfang Goethe, conosciuto a Napoli fin dal febbraio del 1787, ebbe anche importanti commissioni dalla Germania. Terminò la sua vita in San Pietro a Careggi (Firenze) il 9 maggio del 1807.
6 Le notizie riportate sono state tratte dal libro di Giovanni La Cecilia, Le Famiglie Reali …, stampato a Genova nel 1859.
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