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Studi Cassinati, anno 2016, n. 4
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di Marco Sbardella
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Sicurezza, prevenzione, controllo del territorio sono temi fondamentali nella vita di ogni comunità civile e il legislatore, soprattutto in questi ultimi anni, vi ha rivolto grande attenzione cercando di rendere più snelle ed efficaci le strutture preposte ai servizi di vigilanza.
I Corpi di polizia locale, simbolo ed espressione delle autonomie, con accresciuta professionalità e competenza, hanno assunto sempre più un ruolo di rilevo in tutti i settori relativi all’ordine e alla sicurezza pubblica in ambito locale, non sovrapponendosi alle altre Forze di polizia, ma coordinandosi e ottimizzando al meglio uomini e mezzi nella specifica realtà territoriale di riferimento. In tale contesto i Corpi di polizia provinciale, strutture di vigilanza istituite a livello di singola provincia, il cui territorio definisce anche l’ambito di competenza, svolgono oggi delicati compiti di controllo, prevenzione e repressione non solo in relazione all’ambiente, tradizionale materia di intervento, ma in tutti gli ambiti del comparto sicurezza nel territorio dell’Ente.
Un Corpo di polizia locale non si caratterizza solo per le funzioni e il servizio che svolge per la comunità: esso rappresenta l’Ente e ne incarna i valori.
Ripercorrere la storia della Polizia Provinciale di Frosinone, che sta festeggiando il proprio giubileo, è anche una buona occasione per riflettere sulle vicende del nostro territorio, della nostra provincia attraverso una delle sue istituzioni più rappresentative. La sua storia, con il suo passato fatto di ricordi, immagini, avvenimenti, di persone che ne hanno fatto parte e hanno creduto in esso, valorizzandolo e arricchendolo, è intimamente legata al territorio e contribuisce a fare del servizio di istituto un insieme di ideali attorno ai quali la comunità locale possa identificarsi e riconoscersi.
La provincia di Frosinone è stata istituita1 con provvedimento del Consiglio dei Ministri del 6 dicembre 1926 e ulteriormente definita dal R.D.L. del 2 gennaio 1927, n.1.
Il Corpo di Polizia Provinciale di Frosinone trae origine dagli ex-guardiacaccia ed ex-guardapesca, attivi dalla prima metà degli anni ’50, dopo un legislazione che, decentrando le competenze del ministero dell’Agricoltura e delle Foreste e del ministero della Marina Mercantile, attribuiva alle amministrazioni provinciali funzioni di controllo in materia venatoria ed ittica. Successivamente, con la crescente richiesta di interventi sulle tematiche inerenti alla tutela ambientale, il servizio venne meglio delineandosi come «vigilanza ambientale», attività che diveniva elemento qualificante del Corpo assieme alle molteplici altre funzioni.
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Le origini
Nonostante le numerosi competenze degli appartenenti al Corpo, il controllo sull’esercizio della caccia rimane una delle attribuzioni principali e si può ragionevolmente affermare che l’antecedente storico dell’agente della polizia provinciale sia rappresentato proprio dalla figura del «guardia caccia». La sua origine è molto antica e nasce come elemento di élite delle truppe del Regno Piemontese il cui apparato statale e militare, dopo le vicende belliche e sociali del periodo risorgimentale, ha costituito il fondamento politico amministrativo del futuro Regno d’Italia. In realtà nel caso in esame la nascita dei guardiacaccia deve farsi risalire più correttamente al tempo del Ducato di Savoia, quando l’esercizio della caccia era legato a privilegi aristocratici e nobiliari. Infatti nell’Alto Medioevo la regressione dell’attività agricola e l’aumento degli spazi incolti ricchi di selvaggina costituirono in molti casi un ritorno a sistemi produttivi arcaici in cui l’attività venatoria, insieme ad altre attività di sfruttamento dell’incolto (pesca, raccolta, allevamento brado) rivestiva un ruolo economico importante. La caccia si delinea allora come un’attività primaria, esercitata da tutta la popolazione o liberamente, negli spazi incolti d’uso comune, o in quelli privati, dietro pagamento di una imposta, ma senza reali limitazioni, e costituisce un decisivo apporto alimentare al fabbisogno quotidiano. La concezione che prevale è quella romana di selvaggina intesa come res nullius, proprietà di nessuno, cioè di colui che se ne impadronisce per primo.
Invece nel passaggio tra l’alto e il basso Medioevo la caccia viene intesa sempre più come privilegio sociale, riservato ad una cerchia ristretta di individui, perdendo il suo aspetto di diritto. Le motivazioni che determinano questa differente visione sono molteplici: la diminuzione dei boschi e degli spazi incolti a causa dell’espansione dell’agricoltura, la chiusura all’uso comune di molti boschi e aree verdi, che diventano riserve esclusive del sovrano o dei nobili. Questa selezione sociale dell’esercizio della caccia raggiunge il suo acme in età moderna e contemporaneamente essa diviene privilegio di classe, manifestandosi spesso come occasione mondana.
Poi tra il XVI e il XVII secolo l’introduzione delle armi da fuoco accelera il processo di impoverimento della fauna, soprattutto degli animali più grandi. I nobili cacciano per divertimento, mentre i contadini in genere non possono dedicarvisi, tranne per la piccola caccia (la selvaggina minuta). La lotta al bracconaggio diventa sistematica con pene severissime, anche quella capitale.
Questo il contesto storico e sociale in cui Vittorio Amedeo II2, duca di Savoia, futuro re di Sicilia (1713) e poi di Sardegna (1720), nel 1693 istituì la Compagnia dei Dragoni Guardiacaccia. Essa faceva parte delle truppe di Casa Reale ed era adibita alla custodia dei territori venatori di proprietà della corona e costituita da soldati provenienti da reggimenti di cavalleria (Dragoni). La loro divisa e il loro equipaggiamento subirono notevoli trasformazioni nel corso del XVIII secolo3, segno di un attenzione particolare dei sovrani per questo reparto.
Con la rivoluzione francese del 1789, venne meno il diritto all’esclusiva della caccia delle classi nobili e si attribuì la selvaggina al proprietario del fondo che la ospitava, ma nel contempo il problema del depauperamento ambientale si fece più consistente. L’esperienza napoleonica portò nel Regno di Sardegna, come in gran parte d’Europa, profondi rivolgimenti, anche nelle strutture militari. Con la Restaurazione, Vittorio Emanuele I4, salito al trono nel giugno 1802, sbarcò a Genova il 14 maggio 1814 occupandosi ben presto della riorganizzazione dell’assetto statuale, anche con lo scopo di liberarsi in breve tempo della presenza delle truppe austriache che avevano preso possesso dei territori del Regno di Sardegna in suo nome. Furono così ripristinati i reparti e anche le truppe di Casa Reale: i Dragoni Guardiacaccia furono riformati con R.V. del 27 novembre 1815 per mezzo di veterani presi da cavalleria e fanteria5. La compagnia così ricostituita era formata da: 1 capitano, 1 capitano in seconda, 1 tenente, 1 furiere, 5 sergenti, 15 caporali, 75 dragoni a piedi e 3 dragoni a cavallo. Il reparto dipendeva dal Gran Cacciatore di Corte e manteneva quale compito specifico istituzionale la sorveglianza di parchi e boschi di proprietà del sovrano.
Intorno alla prima metà del XIX secolo il loro armamento era costituito da una carabina e da una sciabola da cavalleria per gli uomini a cavallo e dalla sciabola da fanteria per quelli a piedi. Gli ufficiali avevano invece la sciabola con dragona del tipo da cavalleria6.
L’Amministrazione forestale, il futuro Corpo Forestale dello Stato, fu costituita più tardi rispetto al reparto dei Dragoni Guardiacaccia, sempre nel Regno di Sardegna, con le Regie Patenti emanate da Carlo Felice il 15 ottobre 1822, e aveva una funzione di tutela più generale sul patrimonio boschivo dello Stato (taglio, disboscamento, salvaguardia delle risorse forestali, controllo sulla vendita di prodotti legnosi, e così via).
All’indomani dell’Unità d’Italia la situazione relativa al patrimonio forestale e, quindi, alla difesa del suolo, si presentava dal punto di vista normativo particolarmente disomogenea, tanto che restarono in vigore fino al 1877 le legislazioni degli stati pre-unitari.
Una tappa importante per il riordino razionale della materia fu l’istituzione con R.D. 5 luglio 1860, n. 4192 del ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio cui spettava un ruolo di direzione centrale per il settore forestale e che assunse sempre più una funzione fondamentale con il passare degli anni e con le varie leggi che successivamente furono emanate, per l’organizzazione di un adeguato servizio di tutela del patrimonio boschivo.
Le funzioni di vigilanza venatoria, peculiari della compagnia dei Dragoni Guardiacaccia (reparto che per sua natura, dato il carattere elitario e estremamente localizzato, non avrebbe potuto trovare un ruolo nel nuovo assetto statale – come invece sarà per l’Amministrazione Forestale, articolata territorialmente, e per il Corpo dei Carabinieri Reali), dovettero confluire, in verità anche per la carenza di una normativa sanzionatoria adeguata e sensibile ai problemi faunistici, in quelle più generali della tutela forestale.
In merito a quest’ultima, fondamentale fu anche la legge del 20 giugno 1877, n. 3917 con la quale si cercava di imprimere un indirizzo unitario al settore, attribuendo allo Stato una funzione propositiva e positiva (come l’istituzione dei consorzi di rimboschimento), oltre a quella restrittiva dei vincoli forestali. I reati contro il patrimonio boschivo vennero attribuiti specificatamente agli agenti forestali.
La situazione restò in gran parte invariata per circa un cinquantennio, poi il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, riformò la legislazione in materia di boschi e terreni montani, così il ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio divenne ministero dell’Economia Nazionale, per poi trasformarsi, con R.D. 12. settembre 1929, n. 1661, ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.
In materia di caccia, dietro l’esempio francese nel XIX secolo gli Stati d’Europa emanarono varie leggi che tendevano a contrastare il fenomeno del depauperamento faunistico.
In Italia la situazione normativa fu molto diversificata anche dopo l’Unità, tanto che fino agli inizi degli anni Venti rimasero in vigore le varie leggi degli Stati preunitari, nelle quali non c’era un vero e proprio sistema sanzionatorio, e alcune norme del codice civile (artt. 826, 842 e 923). Con la legge 14 giugno 1923, n. 1420 si reintroduceva il principio romano della selvaggina come res nullius, ma iniziava una specifica produzione normativa sull’esercizio venatorio7. Con il tempo tale principio, andò progressivamente cedendo il posto, anche per l’affermarsi di una moderna coscienza ecologica, a quello della res communis, cioè la selvaggina intesa come bene di tutti e da tutelare.
Alla fine degli anni Trenta si ebbe la fondamentale «Approvazione del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia» del R.D. n. 1016 del 5 giugno 1939. Questa legge, costituita di 99 articoli, segna una tappa epocale nella storia della caccia in generale e dei guardiacaccia in particolare. Infatti secondo l’art. 68 della suddetta legge «La vigilanza (…) è affidata agli ufficiali ed agli agenti di polizia giudiziaria, alle guardie giurate comunali e campestri, alle guardie dei Consorzi idraulici e forestali e, in particolar modo, ai guardiacaccia dipendenti dai Comitati provinciali della caccia ed alle guardie in servizio presso i concessionari di bandite e di riserve.
È affidata altresì, alle guardie private riconosciute ai termini della legge di pubblica sicurezza ed alle guardie volontarie delle Sezioni della Federazione italiana della caccia (…)».
Veniva, quindi, non solo prevista dalla normativa la «particolare» funzione di vigilanza dei guardiacaccia, ma si indicava il Comitato provinciale della caccia quale organo dell’Amministrazione provinciale, quindi localizzato territorialmente, con ordinamento autonomo, che aveva tra l’altro (art. 83) la responsabilità della vigilanza sulle norme in materia venatoria e il compito di provvedere, secondo le direttive indicate dal presidente della Giunta Provinciale, ai ripopolamenti della selvaggina.
Oltre ai guardiacaccia potevano svolgere attività di vigilanza anche le guardie volontarie delle Sezioni della Federazione italiana della caccia, associazione nazionale venatoria dotata di personalità giuridica e costituita a tutela dei cacciatori.
Nel territorio della provincia di Frosinone i servizi di vigilanza erano espletati da personale «avventizio» dipendente dal Comitato provinciale della caccia e dalla Sezione provinciale della Federazione italiana della caccia. Tali guardie provvedevano in particolare a controllare, con scarsità di mezzi, le cosiddette zone «52». Queste ultime erano così denominate perché previste dall’art. 52 del T.U. sulla caccia, ed erano aree di ripopolamento e cattura di selvaggina per le esigenze faunistiche della provincia.
Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e l’assunzione tra i suoi cardini del principio dell’autonomia e del decentramento amministrativo si assiste ad una legislazione ordinaria conseguente: la legge n. 987 del 10 giugno 1955, attuò il decentramento delle funzioni del ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, e molte attribuzioni in materia di caccia vennero trasferite alle Amministrazioni provinciali. Con il D.M. 1 febbraio 1956 (art. 9) veniva trasferito alle province anche la gestione della zona «23»8, aree in cui il ministero poteva limitare o vietare l’esercizio della caccia nell’interesse della protezione di una o più specie di selvaggina.
Successivamente il D.M. 1.07.1956 (art. 6) specificò che le stesse Amministrazioni erano tenute a predisporre un idoneo servizio di vigilanza alla cosiddetta zona «52».
I Comitati provinciali della caccia in effetti non avevano entrate fisse ma ricevevano annualmente sia i contributi dell’Amministrazione provinciale, sia le sovvenzioni che, nei limiti dello stanziamento di bilancio per i servizi della caccia, il ministero dell’Agricoltura e delle Foreste assegnava per la gestione delle zone «52».
L’Amministrazione provinciale di Frosinone non aveva alle proprie dipendenze dirette alcun guardiacaccia in pianta stabile (dal 1928, con il regolamento per il laboratorio provinciale di igiene e profilassi approvato il 28 novembre 1928, risultano dei vigili sanitari – le cui funzioni di controllo sulle normative igieniche sanitarie sono passate al personale della ASL; e molto più tardi vengono previste 2 guardie giurate in una pianta organica approvata con deliberazione del Consiglio provinciale del 6 febbraio 1964), ma si serviva costantemente dell’opera di sorveglianza offerta, spesso in maniera carente e inadeguata, dal Comitato provinciale della caccia e dalla Sezione provinciale della Federazione italiana della caccia.
La prima assunzione di personale adibito alla vigilanza venatoria, seppur ancora provvisorio, ma con la prospettiva di un inquadramento in pianta stabile dopo l’approvazione della pianta organica e di un regolamento per le assunzioni e per il trattamento economico, quindi con una convinta presa di coscienza da parte dell’Amministrazione provinciale della assoluta necessità di istituire un rapporto di lavoro continuativo con gli addetti alla vigilanza venatoria, è prevista con deliberazione di Giunta provinciale n. 131 del 18 gennaio 1966, che può, a buon diritto, essere considerata quale atto costitutivo, benché in prospettiva, di quello che sarà il futuro Corpo.
Il relatore, l’assessore all’agricoltura Giulio Tomassi, così si esprimeva: «(…) Attualmente questa Amministrazione provinciale non ha alle proprie dipendenze alcun guardiacaccia, ed il servizio di vigilanza è stato finora espletato, in modo non del tutto rispondente alle esigenze ed alle necessità, dai guardiacaccia volontari della Sezione Provinciale della Cacciatori e da quelli del Comitato Provinciale della Caccia, con i propri mezzi finanziari, invero del tutto limitati. Essendo, però, come è stato specificato, il servizio di vigilanza compito di istituto di questa Amministrazione, si ravvisa l’urgenza dell’assunzione di personale da parte di questa Amministrazione medesima, in relazione al numero delle zone (“52”) esistenti nel territorio di questa Provincia (…).
Per adempiere a detto scopo in modo efficiente, in dipendenza del numero delle zone ora esistenti, si ritiene che il numero dei guardiacaccia da assumere debba essere non inferiore a quattro, cui potrà essere corrisposto il salario mensile stabilito per il cantoniere, che è quello corrispondente al coeff. 159. Pertanto, riservandosi di procedere con atto deliberativo da parte dell’organo competente all’adozione dell’apposita pianta organica, per detto personale, nel numero che sarà ritenuto necessario alla stregua dello sviluppo del servizio di cui trattasi, si può provvedere in via provvisoria alla assunzione di n. 4 guardiacaccia, per la durata di mesi tre, a decorrere dal 1° gennaio c.a., in conformità delle norme di legge che regolano l’assunzione del personale non di ruolo (…)».
La Giunta deliberava quindi di procedere all’assunzione di quattro unità di guardiacaccia seppur in via provvisoria e a tempo determinato, ma si affermava la necessità di un servizio continuativo di vigilanza legato all’Amministrazione provinciale da un rapporto di dipendenza diretto.
Il rapporto di impiego dei quattro guardiacaccia venne confermato di trimestre in trimestre, finché, con delibera di Consiglio provinciale n. 81 del 28 luglio 1966, sotto la presidenza dell’avv. Emanuele Lisi, veniva approvata la pianta organica ed il relativo regolamento «per l’assunzione ed il trattamento economico del personale di vigilanza venatoria» (relatore ancora l’assessore Giulio Tomassi).
La pianta organica, lungimirante per quei tempi sia in relazione all’aspetto numerico sia per l’organizzazione gerarchica proposta, prevedeva 12 guardiacaccia, 1 vice capo guardiacaccia e 1 capo guardiacaccia. Il regolamento annesso constava di 12 articoli che disciplinavano le assunzioni del personale ed il trattamento economico: il salario annuo “conglobato interamente” per il guardiacaccia era di L. 808.000.
L’art. 1 demandava al Comitato provinciale della caccia, organo tecnico consultivo del presidente della Giunta, il compito di organizzare con apposito regolamento il servizio e le attività del personale.
Nonostante queste significative innovazioni nel settore della vigilanza sulla caccia in provincia di Frosinone, il personale avventizio dipendente della provincia non fu immediatamente assunto in pianta stabile, tanto che già nei primi 4 mesi del 1967, i guardiacaccia, per problemi relativi alla mancata approvazione da parte degli organi di controllo della pianta organica, furono presi in carico direttamente, anche dal punto di vista contabile-amministrativo, oltre che operativamente, dal Comitato provinciale della caccia9, esattamente come era avvenuto in passato.
La situazione mutò qualche anno più tardi: con deliberazione del Comitato provinciale della caccia n. 344 del 7 marzo 1969, sotto la presidenza del dott. Cesare Natalizio, veniva elevato il numero dei guardiacaccia da 12 a 14, mantenendo i posti di capo e di vice capo guardiacaccia. Inoltre, decisione ben più importante, si deliberava di sistemare in pianta stabile il personale avventizio allora in servizio (6 unità) e, nelle more della emanazione delle norme regolamentari specifiche, previste dal regolamento di assunzione del 1966, veniva introdotta una importantissima norma transitoria: «(…) I dipendenti guardacaccia avventizi in servizio presso il Comitato provinciale della caccia, alla data del 7 marzo 1969, verranno inquadrati nel ruolo organico, con il trattamento economico in godimento, senza limitazione di età, dalla data di approvazione del ruolo organico da parte del predetto Comitato. Al personale suddetto verrà riconosciuto, ai soli fini degli aumenti periodici, 1/3 degli anni di servizio prestati sia alle dipendenze dell’Amministrazione Provinciale, sia alle dipendenze del Comitato della Caccia». Quindi si passava da un regime di impiego improntato alla provvisorietà a un inquadramento in pianta stabile del personale addetto ai servizi di vigilanza. Essi dipendevano ancora dal Comitato, ma era una soluzione contingente, nell’attesa di passare, almeno dal punto di vista contabile-amministrativo, direttamente nell’organico di ruolo dell’Amministrazione provinciale, al momento dell’approvazione da parte degli organi preposti della pianta organica10.
Nel gennaio 1970 il personale addetto alla vigilanza venatoria in servizio presso il Comitato risulta essere di 8 unità: 7 guardiacaccia e un capo guardiacaccia, il sig. Alfredo Torrice.
Nella seduta del 6 ottobre 1971, la Commissione centrale per la Finanza locale dispose11 l’approvazione della pianta organica: è questa la data di riferimento normativo per i guardiacaccia che instaureranno il rapporto di impiego a tempo indeterminato direttamente con l’Amministrazione provinciale12.
La nuova legge sulla caccia, la n. 968 del 27 dicembre 1977 recante i «Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia», apportava significative trasformazioni al settore venatorio: tra le altre novità apparivano soppressi i Comitati provinciali della caccia che tanto avevano contribuito alla gestione della caccia e della vigilanza a livello locale. La vigilanza venatoria era affidata agli «agenti venatori dipendenti degli enti delegati dalle regioni» e alle «guardie volontarie delle associazioni venatorie e protezionistiche nazionali riconosciute, ai quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai termini delle norme di pubblica sicurezza» (art. 27). Si giungeva così alla soppressione della storica denominazione di «guardiacaccia», ma gli agenti venatori erano indicati significativamente al primo posto dell’elenco degli addetti ai compiti di vigilanza (veniva espressamente inserito al secondo comma dell’articolo anche il Corpo Forestale dello Stato: una novità rispetto all’art. 68 del precedente T.U.).
L’innovazione più interessante della legge n. 968/1977 riguardava tuttavia l’inclusione della fauna selvatica italiana nel patrimonio riservato dello Stato e, quindi, la tutela della stessa nell’interesse della comunità nazionale, il che significava diretta protezione ecologica di beni un tempo considerati di nessuno.
L’ultimo intervento legislativo di tipo organico, in materia di caccia, è la legge 11 febbraio 1992, n. 157 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio», che propone forti innovazioni nella materia e che sottolinea in maniera decisa l’esigenza di una maggiore tutela della fauna selvatica.
Anche l’attività di controllo sullo sfruttamento delle risorse biologiche nelle acque interne, servizio affidato agli ex guardapesca, è stata oggetto di numerosi pronunciamenti legislativi, che sempre più hanno delegato la materia alle Regioni e, quindi, alle Amministrazioni provinciali.
La legge di riferimento in questo ambito era, e per molti aspetti è ancora, il R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604 (T. U. delle leggi sulla pesca)13 che contiene norme per la pesca marittima e per quella nelle acque interne.
Con D.P.R. 13 luglio 1954, n. 747, vennero decentrate alle Amministrazioni Provinciali sia alcune funzioni che appartenevano al ministero della Marina Mercantile a norma del T.U. sulla pesca, sia la sorveglianza per la repressione della pesca con materie esplosive o venefiche e l’accertamento delle relative infrazioni, nelle acque pubbliche e in quelle private. Agli agenti nominati dalle Amministrazioni provinciali era riconosciuta la qualifica di agenti di polizia giudiziaria14.
Con delibera di Consiglio provinciale del 27 giugno 1973, n. 447, si ravvisava la necessità di provvedere alla «istituzione di un apposito organico, addetti, da prevedersi in numero non inferiore a quattro unità in via sperimentale con un proprio regolamento».
Il Consiglio deliberava quindi di costituire il servizio di vigilanza ittica nelle acque pubbliche e private della Provincia di Frosinone e approvava contestualmente il relativo regolamento con annessa pianta organica: essa prevedeva 1 capo guardapesca e 3 guardapesca. Questi ultimi vennero assunti per pubblico concorso nel maggio del 1975, mentre il capo guardapesca, sig. Francesco Spaziani, proveniva dai guardacaccia.
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La delibera di Consiglio Provinciale n. 100 del 1983
Un notevole passo avanti per la razionalizzazione del settore della vigilanza ittico venatoria a livello provinciale, si ebbe con la delibera del Consiglio provinciale del primo giugno 1983, n. 100, con la quale si approvava «Il piano generale di ristrutturazione e riorganizzazione dei servizi e degli uffici provinciali» e la conseguente pianta organica.
Con tale atto veniva istituito il Corpo unico delle Guardie provinciali, preposto ai servizi di vigilanza, prevenzione e repressione di tutte le infrazioni alle norme relative a servizi e compiti di istituto o delegati, quali la caccia, la pesca, la forestazione, l’ambiente.
Il posto di capo Corpo Guardie provinciali diveniva unico e uno dei due ex capo guardiacaccia ed ex capo guardapesca, manteneva il suo ruolo fino ad esaurimento. Venivano istituiti anche due posti di vice capo Corpo Guardie provinciali, come figura intermedia tra la Guardia provinciale e il capo Corpo, che avrebbero coordinato il servizio esterno.
Nella pianta organica il numero delle Guardie provinciali veniva aumentato di 17 unità e raggiungeva il numero complessivo di 30 elementi.
Il Corpo delle Guardie provinciali, all’interno dell’organizzazione dell’Amministrazione provinciale, non rappresentava un’area dotata di autonomia con una propria specificità operativa, ma veniva inserito nel Settore Agricoltura, Caccia e Pesca che faceva parte della Terza Ripartizione Amministrativa.
Un’altra tappa importante nel lungo percorso di definizione del ruolo della Polizia provinciale è rappresentata dall’entrata in vigore della legge quadro del 7 marzo 1986, n. 65, di Ordinamento della Polizia municipale – ma riferibile per analogia anche ai corpi di Polizia provinciale – che regolamenta il servizio di polizia locale, chiarisce le funzioni degli agenti, cercando di disegnare il più possibile una struttura autonoma con responsabile apicale. Anche dopo questa legge, tuttavia, il Corpo della Polizia provinciale di Frosinone non costituiva un’area a sé stante, ma rimaneva inserito nel Settore Agricoltura, Caccia e Pesca.
A seguito dell’approvazione della legge n. 65/86, è stato sempre più utilizzato il termine di «polizia locale», per indicare sia la polizia municipale che quella provinciale: per tale ragione si spiega l’approvazione dell’«Ordinamento del Corpo delle Guardie di Polizia Locale» con deliberazione del Consiglio provinciale del 29 novembre 1999, n. 87, in cui scompare il termine di «Guardie Provinciali».
Con deliberazione di Giunta provinciale del 17 ottobre 2000, n. 354, «Approvazione del regolamento sull’Ordinamento degli uffici e dei servizi, organigramma e dotazione organica dell’Ente», il Corpo delle Guardie di Polizia locale della provincia, diveniva settore autonomo (Settore 10) e veniva prevista una nuova dotazione organica, con una struttura suddivisa in tre Unità Operative: 1 dirigente comandante, 1 direttore di servizio comandante vicario, 3 responsabili di Unità Operativa (ciascuno con qualifica di vice comandante), 45 guardie provinciali (la vecchia denominazione è rimasta, se non nel regolamento, almeno nella pianta organica) – 15 per ogni Unità Organizzativa -, un applicato dattilografo terminalista.
Infine con deliberazione di Giunta Provinciale del 14 febbraio 2002, n. 39, si modificava la struttura organizzativa del Corpo, prevedendo due Unità Operative e la seguente dotazione organica (successivamente modificata): 1 dirigente di settore-comandante, 1 funzionario-comandante vicario (ad esaurimento), 1 funzionario-vice comandante, 2 addetti al coordinamento e controllo – specialisti di vigilanza, 44 agenti di Polizia Provinciale, 1 collaboratore professionale amministrativo, 1 istruttore amministrativo.
La dotazione del Corpo è stata, da ultimo, modificata con il Regolamento approvato dalla deliberazione commissariale n. 30 del 14 novembre 2013, il quale consta di 43 articoli, che disciplinano dettagliatamente le modalità del servizio e la vita del Corpo.
Nel 2014, infine, a riprova della continua vitalità di questa istituzione è stato creato, all’interno del Corpo, uno specifico Nucleo di Polizia ambientale, in particolare, per l’accertamento di reati ambientali in materia di scarichi di acque ed emissioni in atmosfera.
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Gli sviluppi recenti
A seguito dei lenti processi di definizione delle competenze delle polizie locali, e sottolineando la specificità della Polizia Provinciale, ricordiamo che gli appartenenti al Corpo, nei limiti previsti dalla normativa, svolgono importanti funzioni di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza, polizia stradale, ambientale, amministrativa e, su delega delle Regioni, funzioni di polizia ittica e venatoria.
Recentissimo e foriero di importanti novità, come è noto, è il tema della riforma delle forze di polizia, sia con riferimento all’approvazione del disegno di legge sulla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione, sia in attuazione della legge 7.4.2014, n. 56, recante “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e fusioni di Comuni”, che ha ridisegnato l’assetto delle istituzioni locali e, in particolare, ha avviato il riordino delle funzioni di competenza dell’ente Provincia.
Quando il processo di riforma, delineato dal citato quadro normativo, potrà considerarsi concluso, infatti, i
Corpi di Polizia Provinciale andranno ad occuparsi, nello specifico, della vigilanza relativa alle funzioni fondamentali delle province, ridefinite quali enti di area vasta, oltre ad esercitare le canoniche funzioni in ambito di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza, polizia stradale, ambientale, amministrativa, mentre sarà possibile demandate agli stessi Corpi le attività di vigilanza ittica e venatoria, di competenza regionale, solo attraverso gli istituti giuridici dell’avvalimento e delle convenzioni.
Purtroppo, allo stato, si rileva che la situazione organizzativa e la stessa mission delle polizie provinciali, a livello nazionale, è quanto mai diversificata e disomogenea, quando sarebbe invece auspicabile e necessario che a questo importante livello di controllo del territorio si desse la massima priorità e attenzione, anche per i connessi aspetti di prevenzione sulla materia ambientale, il cui ruolo strategico è oggi percepito alla collettività come fondamentale.
In tale contesto, la Polizia Provinciale di Frosinone, forte dei suoi cinquant’anni di intensa e straordinaria attività nei diversi campi di competenza, dall’antibracconaggio, alla difesa del suolo, dall’antinquinamento, alla sicurezza stradale, dalla polizia giudiziaria a quella ittico – venatoria, è pronta a raccogliere nuove sfide e porsi, con rinnovato slancio, quale punto di riferimento ineludibile nel settore della tutela ambientale e della sicurezza del territorio, a difesa del precario equilibrio dell’ecosistema provinciale.
La Polizia provinciale di Frosinone, forte dei suoi cinquant’anni di intensa e straordinaria attività nei diversi campi di competenza, dall’antibracconaggio, alla difesa del suolo, dall’antinquinamento, alla sicurezza stradale, dalla polizia giudiziaria a quella ittico-venatoria, avrà così modo di raccogliere nuove sfide e porsi, con rinnovato slancio, quale punto di riferimento ineludibile nel settore della tutela ambientale e della sicurezza del territorio, a difesa del precario equilibrio dell’ecosistema provinciale.
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I responsabili del Corpo dal 1967
In quasi cinquant’anni di storia, il settore della vigilanza ha subito, come si è visto, straordinarie trasformazioni, che hanno riguardato soprattutto la struttura organica del corpo e il ruolo dei responsabili del servizio.
Il primo capo guardiacaccia è stato Alfredo Torrice, già in servizio presso l’Amministrazione provinciale di Frosinone dall’1 marzo 1957 come vigile sanitario avventizio15 presso il laboratorio provinciale di igiene e profilassi, successivamente divenuto autista e inquadrato in ruolo l’1 dicembre 1964, fu distaccato come guardiacaccia presso il Comitato provinciale della caccia «in via provvisoria e sperimentale»16. Alfredo Torrice ha quindi rivestito di fatto il ruolo di capo guardiacaccia dal 25 ottobre 1967 al primo gennaio 197417.
Quindi il posto di capo guardiacaccia venne messo a concorso di cui risultò vincitore Dante Quadrini18 che fu immesso nel ruolo il primo luglio 1974 con il grado di maresciallo.
Per quanto attiene alla vigilanza ittica il primo capo guardapesca, come accennato, è stato Francesco Spaziani19, immesso nel ruolo il 2 maggio 1975, a seguito di pubblico concorso. In questo periodo i servizi di vigilanza ittica e venatoria erano inseriti nel settore Agricoltura, Caccia e Pesca dal cui dirigente i due responsabili dipendevano. Con l’unificazione operata dalla richiamata delibera del Consiglio provinciale n. 100 del 1983, veniva istituito il Corpo delle Guardie e i due capiguardia coesistettero fino al 31 dicembre 1990 quando Francesco Spaziani andò in pensione e Dante Quadrini divenne l’unico capo delle Guardie provinciali.
Con deliberazione di Giunta provinciale n. 354 del 2000, il Corpo è divenuto settore autonomo e prevede la figura del dirigente comandante.
Il primo dirigente comandante del Corpo della Polizia provinciale è stato il dott. Antonio Fiorletta, già responsabile del Settore Agricoltura, Caccia e Pesca, nominato nel maggio 2000.
Nell’aprile 2003, è divenuto dirigente comandante il colonnello dott. Massimiliano Mancini, cui si deve anche la prima riformulazione del sistema dei gradi del personale del Corpo. Nel 2004 è stato nominato comandante il colonnello dott. Massimo Belli.
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Capi guardiacaccia:
- Mar. Alfredo Torrice 1967 – 1974
- Mar. Dante Quadrini 1974 – 1983
Capi guardapesca:
- Mar. Francesco Spaziani 1975 – 1983
Dirigenti del Settore Agricoltura, Caccia e Pesca dal 1983 al 200020:
- Dott. Edmondo Vivoli 1983 – 1988
- Dott. Sandro Baldaccini 1988 – 1994
- Dott. Giovanni Scafuri 1994 – 2000
Capi delle guardie:
- Mar. Dante Quadrini 1983 – 1999
- Mar. Francesco Spaziani 1983 – 1990
Comandanti del Corpo delle guardie (Polizia provinciale):
- Cap. Dante Quadrini 1999 – 2000
Dirigenti – comandanti:
- Dott. Antonio Fiorletta 2000 – 2003
- Col. dott. Massimiliano Mancini 2003 – 2004
- Col. dott. Massimo Belli 2004 –
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1 Sulle vicende che hanno portato alla istituzione della provincia di Frosinone, si veda l’ottimo volume C. Jadecola, Nascita di una provincia, Roccasecca, 2003.
2 Torino 1666 – Moncalieri 1732.
3 Cfr. S. Ales, Le regie truppe sarde (1773 – 1814), Roma 1989, p. 173.
4 1759 – 1824.
5 Cfr. S. Ales, L’armata sarda della Restaurazione (1814 – 1831), Roma 1987, p. 36.
6 Ivi, pp. 158-159.
7 Il Regolamento 24 settembre 1923, n. 2448, il R.D.L 3 agosto 1928, n. 1997 (norme sulle associazioni dei cacciatori), e la Legge 15 gennaio 1931, n. 117 (obbligo dell’iscrizione al CONI per il cacciatore).
8 Dall’art. 23 del T.U. sulla caccia.
9 Deliberazione del Comitato Provinciale della Caccia del 28 gennaio 1967.
10 Definita con Deliberazione del Consiglio Provinciale n. 81 del 1966.
11 Con apposita decisione prot. N. 16134/3/3457 Sez. II.
12 Ex art. 11 del Regolamento Organico del 1966: «Per il personale di vigilanza già in servizio, si procederà direttamente all’assunzione in ruolo, indipendentemente dal limite di età e dal possesso del titolo di studio richiesto».
13 Precedentemente era stato approvato il R.D. 22 novembre 1914, n.1486.
14 Ex art. 221 del vecchio codice di procedura penale.
15 Peraltro Torrice aveva già prestato servizio come vigile sanitario presso la stessa Amministrazione nel periodo 1945-46.
16 Deliberazione di Giunta Provinciale del 2 agosto 1967, n. 1200.
17 Il regolamento organico prevedeva il limite di 60 anni, e poiché Torrice ne aveva 61 (era nato nel 1912), per raggiunti limiti di età, l’ultima parte della sua vita lavorativa fu impiegato in qualità di commesso fino al primo gennaio 1977.
18 Era stato assunto, con deliberazione del Comitato provinciale caccia del 24 agosto 1970, il primo novembre 1970 come guardiacaccia avventizio e successivamente immesso in ruolo, come gli altri guardiacaccia.
19 Proveniva dai guardiacaccia, assunto come avventizio, il 15 novembre 1970. Fu immesso nel nuovo ruolo con deliberazione della Giunta provinciale n. 417 del 4 aprile 1975.
20 Prima del 1983, anno del riassetto della organizzazione degli uffici, il servizio di vigilanza ittico-venatoria dipendeva dal Comitato provinciale della caccia soppresso nel 1979, come previsto dalla l. 968/77. Dal 1979 al 1983 esso fu inglobato nel Settore Agricoltura, situazione confermata dalla delib. C.P. n. 100 del 1983.
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