La malaria Cassinate e le zanzare dell’Agro Pontino.

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Studi Cassinati, anno 2016, n. 4
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di Anna Maria Arciero

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6 ArcieroForse la malaria, che ha infestato il Cassinate nell’immediato dopoguerra,  non si deve solo all’acqua imputridita delle buche scavate dalle bombe, che divennero il focolaio di zanzare vettori di epidemia. Molto probabilmente l’infestazione di zanzare venne dall’Agro Pontino, dove è provato che ci fu la guerra batteriologica scatenata dai tedeschi in previsione della ritirata.

 Dopo l’armistizio di Cassibile, di fronte all’eccezionale potenza militare alleata1, i Tedeschi si resero conto che le linee difensive apportate nell’autunno ’43 nell’Italia centrale (del Volturno, la Barbara, la Bernhardt e la Gustav) non sarebbero state in grado di contrastare l’avanzata verso Roma. Ricorsero allora a strategie alternative non convenzionali: l’arma chimica non tenendo in nessuna considerazione la Convenzione di Ginevra del 1925, a cui anche la Germania aveva aderito.

In seguito agli orrori della Prima guerra mondiale in cui erano state usate armi chimiche inizialmente sul fronte franco-tedesco – e proprio l’utilizzo del tioetere del cloroetano un gas usato per la prima volta dai Tedeschi il 12 luglio 1917 a Ypres, in Belgio, di qui il nome «iprite» – ma poi anche su tutti gli altri fronti bellici, le nazioni si erano spaventate. Gli effetti erano stati devastanti: piaghe urticanti, occhi accecati dal bruciore e 90.000 morti, per cui fu stipulato a Ginevra nel 1925 un Protocollo che vietava l’uso delle armi chimiche. L’uso, ma non la produzione. E tutti i Paesi firmatari continuarono a produrre il pericoloso gas. Anche l’Italia, che lo usò in gran copia nei bombardamenti in Etiopia, Eritrea e Somalia.

Anche gli Alleati. Il 2 dicembre 1943, a Bari, in un bombardamento della Luftwaffe, l’aviazione tedesca, che bersagliò il porto pieno di navi alleate, fu colpita una nave americana, la «John Harvey», con un carico top secret: cento tonnellate di bombe all’iprite: l’intero golfo fu inquinato; moltissimi marinai e soccorritori rimasero contaminati e destinati a morire tra atroci sofferenze; addirittura tutto l’equipaggio di una nave, la «Bistrera», che era riuscita a fuggire, il giorno dopo rimase accecato. Gli Alleati cercarono di insabbiare l’avvenimento parlando non di contaminazione, ma di ustioni, perché il carico top secret, dissero, doveva servire da «riserva e contromisura»2 nel caso i nemici avessero fatto uso di armi chimiche. In questo modo fu impedita la diagnosi e la cura dei malati che morirono tra atroci sofferenze. Il segreto era dovuto al fatto che il protocollo internazionale prevedeva il diritto di rappresaglia nel caso l’iprite fosse stata usata dal nemico. E gli Alleati ne temevano l’uso da parte tedesca nello sbarco in Normandia, previsto di lì a qualche mese.

Anche i Giapponesi violarono il Protocollo di Ginevra, pur avendolo firmato. Sempre nella Seconsa guerra mondiale, contro i Cinesi non solo utilizzarono l’iprite, ma anche armamenti batteriologici, diffondendo intenzionalmente colera, tifo e peste bubbonica.

Si ispirarono certamente alla Storia, che purtroppo non è solo «maestra di vita», ma anche di atrocità. Narrano i libri che nel 1345, a Caffa, sul Mar Nero, c’era un avamposto genovese (probabilmente un deposito merci, data l’attività commerciale della città marinara più potente del Tirreno) assediato dai mongoli, evidentemente desiderosi di bottino. Tra questi scoppiò una tremenda epidemia di peste bubbonica, per cui decisero di togliere l’assedio. Ma, prima di scappare, essi lanciarono i cadaveri dei loro appestati con il trabucco, al posto di grosse pietre, all’interno delle mura della città. I genovesi si affrettarono a gettare i cadaveri in mare, ma oramai la contaminazione era avvenuta e il bacillo incubato fu portato in tutta Europa, diffondendo la tremenda epidemia della peste nera.

Ecco che i Tedeschi, consci di essere giunti allo stremo, nell’autunno del ’43, ripropongono lo stesso subdolo e ignobile stratagemma per ritardare la sconfitta. Conoscono bene la situazione dell’Agro Pontino e dell’Agro Romano, da sempre territorio paludoso e malsano, che Mussolini ha bonificato e ripopolato. Per l’Italia è stata una riscossa economica e sociale; per il duce anche e soprattutto una politica demografica e demagogica3. Con l’afflusso di centomila persone provenienti da Veneto, Trentino e Romagna, sono state costruite strade, fondate città: Latina (Littoria), Aprilia, Sabaudia; sono stati scavati canali per far defluire l’acqua stagnante, poi aspirata da potenti idrovore e pompata verso il mare. I luoghi bonificati, colonizzati e antropizzati vengono dotati di attrezzature tecno- logiche per l’agricoltura, di architetture razionaliste e, fiore all’occhiello, segno di impegno culturale e scientifico, di una vera e propria scuola «malariologia», per neutralizzare le zanzare Anopheles Labrianchae, l’unica zanzara le cui larve riescono a vivere sia in acque dolci che salate. Gli scienziati Missiroli e Mosna dirigono la scuola, che ospita spesso studiosi provenienti da vari paesi. Vengono in Italia anche due studiosi tedeschi: Eric Martini, dell’Università di Amburgo, e Ernest Rodenwaldt, docente a Heidelbergh.

Finché dura l’amicizia tra Italia e Germania, c’è collaborazione e comunità di intenti e scambi culturali. Ma all’indomani dell’armistizio di Cassibile, scatta la vendetta nei confronti degli Italiani ‘traditori’. Martini è un convinto nazista, protetto da Himmler, e insieme al compagno idea un attacco batteriologico come già hanno fatto gli alleati giapponesi: il lancio di zanzare sull’ex palude per scatenare la malaria.

Lo sostiene lo storico americano Frank Snowden, professore all’Università di Yale nel Connecticut, che ha scoperto queste notizie nelle sue meticolose ricerche negli archivi italiani e americani per pubblicare una Storia della malaria nel Novecento in Italia.

 In un lungo capitolo intitolato Nazism and Bioterror in the Pontine Marshes4, egli sostiene la convinzione della malafede nazista. Le prove raccolte evidenziano che il piano terroristico tedesco prevede l’inversione di una ventina di pompe idrovore all’imbocco dei canali, con conseguente allagamento di tutta la zona con l’acqua marina. I due studiosi, ex-collaboratori della scuola malariologia, sanno bene che l’acqua salmastra è l’habitat ideale per la riproduzione della zanzara Anopheles Labrianchae. L’esercito tedesco in ritirata, tra l’ottobre ’43 e il marzo ’44, distrugge le altre pompe con la dinamite (altre ancora le ha già smontate e portate in Germania), sabota gli impianti di depurazione, fa saltare dighe e canali, allaga e infine “semina” i germi di zanzara sul posto bonificato col duro lavoro di un decennio. E, per meglio incidere sugli effetti dell’epidemia che sanno bene si scatenerà, i nazisti sequestrano nove tonnellate di chinino nel deposito del Ministero della Sanità a Roma e lo occultano, anzi lo buttano, rendendolo inservibile, nei pressi di Volterra. È il più grande attacco batteriologico fatto nella Storia, il più diabolicamente perverso perché è stato stimato che circa centomila persone sono morte a causa di questa operazione.

Gli Americani, sbarcati ad Anzio, non solo non rimangono impantanati, ma non vengono infettati. Allo sbarco in Sicilia avevano subito un’epidemia di colera e ora ricevono periodicamente un medicinale antimalarico, il Mepacrine, e adoperano repellenti contro gli insetti.

Ma l’effetto devastante di questo diabolico atto terroristico non tarda ad arrivare. Passata la guerra, nell’Agro Pontino la malaria scoppia con un aumento esponenziale: il 1000% dei casi. Certamente da lì, attraverso il Frusinate, incubata dai soldati o dai primi sfollati che tornano, la piaga della malaria è arrivata nel Cassinate. La lotta al focolaio di larve che infesta la zona è talmente forte che viene definita «la seconda battaglia di Cassino».

Per lungo tempo i cartelli con la scritta Malignat malaria. Keep aut (Zona malarica. State lontani) campeggeranno lungo la via Casilina e alla stazione ferroviaria.

Solo il D.D.T. riuscirà a eradicare le larve e a debellare finalmente la malaria.

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1 Recentemente un anziano testimone dello sbarco ha riferito che le imbarcazioni americane erano talmente tante da ricoprire tutto il mare visibile all’orizzonte!

2 A tutt’oggi l’iprite è lì.

3 Nelle intenzioni del duce, nei luoghi bonificati, gli uomini, sul modello degli antichi Romani, sarebbero dovuti essere guerrieri e contadini, le donne si sarebbero dovute dedicare alla riproduzione!

4 Riportato da Riccardo De Sanctis nel libro Zanzare in guerra nell’Agro Pontino.

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