OFF TOPIC: “Quando un infante, cassinate doc, fu sospettato di regicidio”

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di Emilio Pistilli (tratto da «L’Inchiesta» del 28.07.17)

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Di seguito un articolo di Emilio Pistilli sul notaio cassinate Fernando De Rosa: un curioso caso prodotto tra motori di ricerca ed enciclopedie on-line. Chissà che gli inquirenti del tempo non abbiano inviato la polizia in casa De Rosa anche sulla base del ricordo dell’accusa (rivelatasi poi infondata) di correità in regicidio formulata nel 1912 a carico di un altro cassinate doc come Gaetano Di Biasio.

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Fernando De Rosa L'Inchiesta
L’Inchiesta, 28.07.17

“Nasce nel 1908, muore nel 1936 e … nel 2003 pubblica un libro sulla distruzione di Montecassino! Un veggente?  O io ho bevuto un po’ troppo? Macché! Nulla di ciò. Sono i miracoli di Wikipedia.

In realtà la celebre enciclopedia on-line ha fatto confusione tra due omonimi Fernando De Rosa: uno anarchico antifascista, milanese vissuto a Torino; l’altro cassinate, sopravvissuto miracolosamente al bombardamento dell’abbazia di Montecassino e vivente.

Ma vediamo cosa è accaduto.

Il 24 ottobre dcl 1929 il principe Umberto di Savoia si trovava in Belgio per chiedere la mano della principessa Maria José; quella mattina si era recato alla tomba del Milite Ignoto per il tradizionale omaggio. Un colpo di pistola interruppe la cerimonia: il bersaglio mancato era proprio il principe Umberto. Dell’attentato fu accusato un certo Fernando De Rosa, che era in stretto contatto con Carlo Rosselli, il teorico del Socialismo Liberale.

A casa della famiglia De Rosa, a Cassino, una mattina si presentarono degli agenti; donna Bettina (Benedetta Luciani, figlia di Sebastiano, “scalpellino”, autore degli angeli in altorilievo lungo le scale che, in abbazia, scendono alla cripta) spaventata, chiese cosa volessero. Quelli dissero che dovevano arrestare Fernando De Rosa. A quel tempo il nostro Fernando aveva da pochi mesi compiuto il primo anno di vita. La madre Bettina riprese il suo sangue freddo, fece entrare gli agenti e disse: “Eccolo qui; prendetevelo!”. Naturalmente l’equivoco fu subito chiarito.

Il De Rosa attentatore fu arrestato e condannato a cinque anni di carcere; ma ne scontò appena la metà. Nel 1932 si trasferì in Spagna dove, nel 1936, partecipò come volontario tra i repubblicani alla guerra civile spagnola: morì in combattimento nel 1936.

WIKIPIDIAIl De Rosa cassinate, ancora tra noi grazie a Dio, in occasione dei frequenti bombardamenti anglo americani su Cassino e Montecassino, si era rifugiato con la famiglia a Montecassino, nella convinzione che nessun esercito avrebbe osato assaltare il glorioso monastero. Purtroppo, come è noto, non andò così.

Pochi furono gli scampati tra le macerie dell’abbazia rasa al suolo il 15 febbraio 1944. Tra essi il sedicenne Fernando De Rosa. Nel bombardamento aveva perso il padre ed il fratello di 27 anni. Con lo sfollamento si trasferì a Roma dove ha vissuto a lungo. Notaio, brillante giornalista, ha infine scelto Pescara come attuale residenza. La sua preziosa testimonianza l’ha raccontata nel libro “L’ora tragica d i Montecassino”, lo stesso che erroneamente sembra attribuito al De Rosa anarchico.

In realtà Wikipedia riferisce correttamente le vicende di quest’ultimo; è solo a margine della scheda che inserisce un riquadro con la sua foto e, a chiusura, il titolo del libro del De Rosa cassinate.

Forse è il caso di provvedere alla rettifica.”

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Una piacevole giornata con Fernando De Rosa

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Fernando De Rosa

Il notaio Fernando De Rosa, cassinate doc, ma vissuto a Roma ed ora, 89enne, residente a Pescara, autore del libro “L’ora tragica di Montecassino”, ha voluto fare una rimpatriata con alcuni membri del CDSC onlus all’insegna dell’amarcord. Con suo figlio, avv. Antonello, e il nipote dott. Fernando, ci ha ricevuti nell’Eremo Dannunziano, di sua proprietà, in S. Vito Chietino, ricco di memorie del grande Gabriele. L’eremo fu per un certo tempo il nido d’amore di D’Annunzio con la sua amata Barbara Leoni, le cui spoglie mortali ora riposano nella cripta sottostante. A seguire un gustoso pranzo al lido Il Cavallino con i suoi famosi trabocchi. Infine una interessantissima visita guidata all’antica abbazia benedettina di S. Giovanni in Veneris.

Fernando De Rosa, che ha sempre rivendicato con orgoglio e fierezza le sue origini e che si è fatto apprezzare nel corso della sua vita lavorativa prima come alto funzionario presso il ministero dell’Agricoltura e poi come notaio a Pescara, nel corso di vari anni è riuscito, non senza difficoltà, a rilevare l’eremo dannunziano di San Vito Chietino: il «buen retiro» come lo definì lo stesso Gabriele d’Annunzio che vi trascorse l’estate 1889 in compagnia di grandi artisti del tempo come Francesco Paolo Michetti (pittore e fotografo) o Francesco Paolo Tosti (musicista) ma soprattutto della sua prima amante Elvira Leoni (1862–1949) chiamata dal vate Barbara (Barbarella) cui rimase legato per cinque anni. Proprio quegli ambienti: l’eremo, il mare, il trabocco, gli scogli, la storia d’amore fanno da sfondo (tranne che per il finale) al romanzo «Trionfo della morte» (1894). Fernando De Rosa ha ristrutturato l’eremo cercando di arredare le due stanze (la camera da letto e un ambiente al pian terreno adibito a biblioteca) descritte nelle numerose lettere inviate a Barbarella e nel romanzo così come erano. Ma non si è limitato a questo. Infatti Barbarella, che quando si era legata a d’Annunzio si era già separata dal marito, morì da sola nel 1949 a Roma e fu sepolta nel cimitero del Verano. Dopo essere stata rinnovata per una volta, stava per scadere la concessione della tomba ove riposava con il rischio di dispersione dei suoi resti. Fernando De Rosa, allora, tenacemente si è impegnato per recuperare quei resti e nel 2009 li ha traslati proprio all’eremo di San Vito dove ha fatto costruire un ipogeo posto di fronte all’ingresso della “biblioteca” riportando Barbarella lì dove aveva vissuto un’estate meravigliosa con Gabriele d’Annunzio, in modo che possa riposare eternamente nel «luogo della felicità», con i «paesaggi, le marine, tutte quelle forme e quei colori che la [loro] passione illuminava di luna soprannaturale».

Ipogeo
Ipogeo di Elvira “Barbara” Leoni (2009)

Eremo
Particolare della lettera di Gabriele D’Annunzio a Barbara Leoni del 20 luglio 1889 con schizzo dell’eremo

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Lapide sulla facciata dell’eremo

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Tabellone sulla facciata dell’eremo

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Interno della camera da letto, primo piano

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Interno della camera da letto, primo piano

EREMO
Eremo dannunziano di S. Vito

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Scorcio dell’eremo e della marina

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Il trabocco di Turchino visto dall’eremo

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Fernando De Rosa con il figlio Antonello e la delegazione del Cdsc-Onlus

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Fernando De Rosa con il figlio Antonello e la delegazione del Cdsc-Onlus

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