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Studi Cassinati, anno 2017, n. 3
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di Francesco Di Giorgio
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Con la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato del 29 maggio 2017 cessa di vivere l’acquedotto comunale di Cassino che si alimentava delle sorgenti della città le cui acque, in uno studio del 1890, venivano così definite dal punto di vista delle condizioni fisiche: «le acque di queste sorgenti sono tutte incolore, chiare, limpide e cristalline, sia in piccole che in grandi masse, sia per luce incidente che per luce riflessa. Il loro aspetto è così puro e trasparente che attraverso enormi masse si scorgono le più piccole accidentalità del letto dei corsi in cui scorrono, assumendo esse il colore del suolo che attraversano. Allettato forse da tanta copia e purezza di acque Varrone volle avere una villa dove queste più abbondano, e Silio italico cantò di questo sito come di un abitacolo di ninfe».
La sua gestione è destinata ad essere incorporata in una società privata nell’ambito dei riassetti di sistema previsti dalle leggi vigenti in materia di erogazione dell’acqua per uso civile e lo smaltimento dei rifiuti organici.
Si conclude così la storia di un’opera che è stata al servizio della collettività per oltre un secolo!
Era infatti il 1905 quando prese il via la progettazione prima e la realizzazione poi di questa importante opera che fu poi inaugurata e messa in attività nell’anno 1912.
Prima di questa data il territorio di Cassino aveva già conosciuto importanti opere per la distribuzione dell’acqua risalenti agli antichi romani che realizzarono – secondo le straordinarie tecniche allora conosciute – un importante acquedotto che, captando il prezioso liquido sulle montagne di Valleluce (Sant’Elia Fiume Rapido), lo portarono fino alle vasche di accumulo nei pressi del teatro romano di Cassino.
Anche il Cassinate fu interessato da importanti opere per assicurare l’acqua ad uso civile. A Pignataro Interamna nel marzo 1925 il ministro degli Interni, Federzoni, dovendosi occupare di una grave crisi amministrativa, constatò le condizioni disumane in cui viveva la popolazione, soprattutto i bambini a scuola, per le carenze igienico-sanitarie a causa della mancanza di acqua.
Fu così che Federzoni relazionando al re sulla situazione di Pignataro Interamna, si fece carico anche di questo particolare e grave problema. Fu costituito un consorzio di comuni (Pignataro Interamna, Sant’Apollinare, Cervaro, San Giorgio a Liri, San Vittore del Lazio) che promosse «l’acquedotto Interamna» con il compito di portare l’acqua nei rispettivi paesi. Cosa che avvenne a partire dal 24 giugno del 1933. Qualche anno dopo, nel giugno 1935, prende forma anche il Consorzio degli Aurunci che, nell’immediatezza del dopoguerra, opportunamente finanziato, assicurò la distribuzione dell’acqua, in tempi relativamente brevi, prima nei centri abitati di tutto il Cassinate, poi, fino alle campagne più sperdute travalicando anche i confini della provincia per servire molti comuni di Latina e di Caserta.
Il filo conduttore che ha guidato il potere pubblico nell’affrontare le problematiche dell’acqua e del suo uso civile è abbastanza chiaro fin dalle origini e non ha subito particolari modifiche nel corso del tempo giacché l’acqua è sempre stata riconosciuta, anche dal punto di vista legislativo, l’elemento essenziale in natura tra i principali costituenti degli ecosistemi e alla base di tutte le forme di vita conosciute.
All’acqua è dovuta l’origine della vita sul nostro pianeta ed è indispensabile anche nell’uso civile, agricolo e industriale. Da qui la sua valenza pubblica.
Il 26 febbraio 1907 l’assessore ai lavori pubblici del Comune di Cassino, avvocato Carlo Fuzio Pinchera (sindaco dott. Antonio Martire; membri di giunta cav. Achille De Vivo, e gli avv. Salvatore Delicato, Pasquale De Cerbo, Francesco Danese ed Emilio Di Giovanni), presenta al Consiglio comunale la relazione sul Risanamento della città di Cassino, condutture di acqua potabile e riordinamento delle fognature, redatta, con preventivi di massima per la conduttura d’acqua, a cura dell’ing. S. Sanchini.
Questa l’introduzione al tema dell’assessore Pinchera: «Signori consiglieri, maggiore ed alto uffizio dello Stato e di una pubblica amministrazione fu mai sempre l’effettuare e garentire colla più rigorosa protezione lo immegliamento dei popoli.
Tenere man forte contro l’accidia, l’ignoranza e lo abuso; curare la soddisfazione di ogni naturale bisogno, diffondendo l’istruzione e l’igiene praticando; stabilire rapporti equi tra la pubblica e privata economia, reggendo tutto con imparziale giustizia, costituisce il dovere dell’uomo pubblico e del cittadino amministratore nelle civili comunanze.
Gli economisti di ogni tempo e di ogni luogo, da Adamo Smith al Mill, al Malthus, al Gioia, al Genovesi, al Verri, al Beccaria; dal polacco Sckarbek allo spagnuolo Florez Estrada, con vario metodo ed indirizzo di tali principi si preoccuparono nelle loro scientifiche elucubrazioni e ricerche per indicare i mezzi di raggiungere il fattivo scopo della vita; ma bene fra essi Giandomenico Romagnosi ed il Blanche furono di avviso che allo immegliamento sociale nulla più valga quanto il combattere l’ignoranza, vincere gli errori e reprimere gli abusi, in ciò seguendo la giusta sentenza del Bonnet che ritenne missione immensa ed altissima, capace di immortalare cento legislatori ed un intero periodo economico, più il dimostrare un errore che scovrire una verità.
Per fermo, a niuno sfugge che gli errori, come gli abusi da essi dipendenti, viziando a lungo andare la visuale della comune intelligenza e gli elementi costitutivi del vero, vedansi invece spesso quali verità riconosciute e diritti acquistati.
Così dunque è ad ammettere collo stesso Romagnosi che le scienze, gli uomini ed i governi operano pel vero e pel bene più sradicando gli errori e combattere il male, che non il vero ricercando ed il bene seguendo.
Ed a tali concetti ispirati, nella pienezza e civiltà dei tempi a che siamo venuti, noi credemmo nostro compito, nel riordinare la nostra comunale azienda, vincere gli errori, sradicare gli abusi e provvedere efficacemente con ogni mezzo all’immegliamento morale e materiale de’ nostri concittadini.
Ed è meritato e giusto vanto della presente Amministrazione, sorta dalle elezioni del 1900, l’aver allo scopo solidificata la finanza del Comune e reso il bilancio sincero ed elastico; la qual cosa ha permesso la esecuzione di opere che da tempo il paese invano reclamava.
A tutti è noto, com’essa avesse rivolte le maggiori sue cure alla viabilità, il cui patrimonio di oltre 700 mila lire aveva trovato distrutto per un completo abbandono, ed all’istruzione secondaria, come quella che senza nulla rendere, aveva sin lì gravato il bilancio di una ragguardevole somma. E si riuscì nell’intento; ondechè delle strade molte sono in completo riordinamento e si lavora per migliorare le altre, e con una somma relativamente minima, si è ottenuto un fiorente ginnasio regio – che presto avrà degna sede – destinato, pel suo progredente sviluppo e per la postura della città, ad essere annoverato tra i più apprezzati della provincia.
Ma un altro e non meno importante problema rimaneva insoluto, quello dell’igiene, e ad esso la Giunta da voi rieletta nel luglio ultimo, si è dedicata con intelletto d’amore.
Ella ha fiducia di poter un tempo assai breve fornire il paese di ottima acqua potabile, che, elevandosi a 50 metri più in su della Rocca Janula, risani quella parte montuosa del paese, dove oggi nessuno può transitare senza chiudere gli occhi e tapparsi le nari, e mercè una rete di fognature ben distribuite, ridonare a tanta gente che vi abita, la sanità e la vita.
Tutto questo, che a molti parrà audacia o illusione, diverrà ben presto realtà, se voi, signori colleghi, non negherete il vostro appoggio. E perché il voto che vi chiediamo sia l’espressione del più intimo convincimento, vi rendiamo conto di quanto è stato fatto per la ricerca della sorgente, e degli studi compiuti per accertare la potabilità e demanialità dell’acqua, e sottoponiamo al vostro esame il progetto di massima fatto redigere per deliberazione del Consiglio, e quello finanziario da noi elaborato.
L’opera di rigenerazione igienica, alla quale ci siamo votati, non onorerà soltanto noi, esecutori dei vostri deliberati, ma il Consiglio ed il paese insieme, e quanti con la mente, con i sacrifizii, col buon volere avranno contribuito alla sua buona riuscita».
Il piano fu approvato all’unanimità e ad esso seguirono con celerità gli atti successivi fino alla gara d’appalto dell’acquedotto comunale di Cassino.
E fu in questa fase che si svilupparono feroci polemiche animate soprattutto dall’avv. Ettore Rocchi. Agli attacchi sui costi e sulle modalità d’appalto dell’acquedotto comunale, rispose, attraverso la stampa provinciale dell’epoca, la maggioranza consiliare guidata da Caio Fuzio Pinchera, nel frattempo eletto sindaco della città, assistito dall’ing. Ciccodicola responsabile tecnico del progetto e del suo iter amministrativo, in tal modo: «pur avendo un’esatta cognizione del progetto per la costruzione dell’acquedotto di Cassino, non abbiamo mai voluto prendere sul serio la disamina che di esso, su di un giornale di costà, va facendo da tempo l’avv. Ettore Rocchi; ma giacchè pare ch’egli si giovi del nostro silenzio per levare più alta la voce, in dimostrazioni a base di cifre erronee, è d’uopo intervenire per mettere le cose a posto, e per ingannare qualche ingenuo, che per avventura potesse rimanere impressionato dai suoi ragionamenti.
Sappiamo di guastargli il sangue; ma per una volta ci lasci dire l’egregio avvocato: la colpa non è nostra, ma tutta sua, dal momento ch’egli si fa ad alterare a suo capriccio i prezzi unitari contenuti nel progetto, e a ridurre a lire 370 mila l’ammontare complessivo dei lavori, che nel progetto stesso sono preventivati per lire 418 mila 607! Non potendo con serie argomentazioni combattere il sistema d’appalto a forfait, votato dall’intero consiglio comunale, l’avv. Rocchi ricorre ad un mezzo molto comodo, quello di cambiare il preventivo del progetto, ragiona presso a poco così: per me il progetto è quello sommario riportato sulla relazione a stampa, pubblicata dalla Giunta il 26 febbraio 1907, ammontante a lire 370 mila; dei due altri suppletivi non ho cognizione, né voglio averne; di tal che, riducendo le dette lire 370 mila almeno del 12%, la società dovrebbe assumere l’esecuzione dei lavori a forfait per lire 325 mila e non più.
Ma se l’egr. avv. Ettore Rocchi alle 325 mila aggiunga altre 40 mila per i lavori della variante del 2 settembre 1907, di già approvata dall’autorità tutoria, e lire 8.607, per le opere prevedute nel progetto suppletivo del 5 dicembre 1905, che – approvato dal consiglio – trovasi ora all’esame del genio civile, nonché 30 mila, che dovrebbero pagarsi alla società delle Condotte per la compilazione dei progetti e per la direzione dei lavori, qualora questi si dessero in appalto ad altra ditta, avrebbe in totale di lire 403 mila 607, val quanto dire 3.607 in più della somma concordata col forfait».
Finalmente, archiviata ogni polemica, arriva la conclusione definitiva dell’approvazione del progetto. La stampa locale del 2 febbraio 1910 ne dà ampio risalto con questo articolo del giornale «Terra di Lavoro»: «Domenica alle ore 11 il Prefetto telegrafò al sindaco d’aver approvato e spedita al sottoprefetto di Sora la deliberazione di questo Consiglio comunale con la quale si affidano alla società Condotte di Roma i lavori a forfait per la costruzione dell’acquedotto.
Il dispaccio, nobile nella forma e lusinghiero nella sostanza, è un grande attestato di stima che il Capo della provincia ha voluto pubblicamente rendere alla civica Rappresentanza, per rifarla dei colpi forsennati, che da quattro anni in qua, le si vanno scagliando contro con temerità e ferocia inaudite. Esso rappresenta l’ultima palata di terra fatta cadere sulla fossa scavata dal genio Civile per seppellire le insane illazioni, che si facevano desumere da più insani ragionamenti, le false accuse, i livori e gli odi personali suscitati da sola ragione politica. Invio – segue ancora il telegramma – oggi sottoprefetto di Sora atti relativi costruzione acquedotto, con autorizzazione collocamento lavori a forfait alla società Condotte acque, ben augurando per ardita benefica opera, che assicura salubrità ed elevazione morale del popolo».
Le vicende politiche amministrative e le polemiche annesse come si può ben valutare non sono – malgrado l’incedere degli anni – dissimili nei tempi moderni.
Nel caso dell’acqua ciò che è motivo di riflessione è l’approccio valoriale che cambia.
Fin dai tempi antichi l’acqua è stata sempre concepita un diritto inalienabile del cittadino. Come tale non solo la sua captazione e distribuzione è sempre stata pubblica, ma anche le sorgenti dovunque esse si trovavano erano soggette a particolari protezioni. A cominciare dal diritto di ognuno ad accedervi per poter attingere senza limitazione alcuna.
Oggi in epoca moderna si fa strada – e il nuovo assetto amministrativo e gestionale in provincia di Frosinone che si estende e consolida con l’acquisizione dell’acquedotto di Cassino ne sono l’esempio – una nuova concezione della gestione e dell’uso dell’acqua che si privatizza ed entra nel grande tritacarne delle logiche multinazionali. Emergono nuove sfide che devono essere affrontate da chi ha responsabilità istituzionali e di governo a tutela dei cittadini: produttività, abbattimento di costi, salvaguardia delle sorgenti dagli inquinamenti, ristori economici per le casse degli Enti locali ecc. Sfide, inoltre, che devono conciliarsi con i diritti fondamentali dell’uomo e con il concetto dell’acqua quale «elemento di salubrità ed elevazione morale del popolo».
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Fonti di riferimento:
«Terra di Lavoro» raccolta anno 1910 (Archivio Museo Campano)
Avv. Caio Fuzio Pinchera (a cura di), Relazione Giunta al Consiglio Comunale del 26 febbraio 1907, Tipografia Lanciano e Veraldi, Napoli 1907
Achille Tari, Le acque potabili di Cassino, tipografia F. Giannini e figli, Napoli 1880
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