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Studi Cassinati, anno 2017, n. 3
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di Sergio Saragosa
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In fondo alla parte vecchia del cimitero civile di Caira, a ridosso del muro di cinta, c’è un monumento sepolcrale con al centro la scritta in latino
Hic resurrectionem expectant corpora captivorum
qui in exercitu austro hungarico fuerunt
che ricorda i soldati austro-ungarici, presi prigionieri durante la Prima guerra mondiale, morti nel campo di Concentramento della contrada Monterotondo, nel Comune di Cassino.
Sul lato sinistro del monumento è situata una lapide col nome ed il cognome di un ufficiale austriaco: Otto Schmidt. Da anni tutti i visitatori che si sono recati nel nostro cimitero, compresi gli abitanti di Caira, si sono domandati chi era questo soldato e perché solo il suo nome figura scolpito sulla lapide. Oggi, finalmente grazie alle ricerche storiche compiute dall’amico Carlo Nardone su diversi siti internet, siamo in grado di fornire notizie precise e documentate sul Tenente Otto Schmidt e, probabilmente, sul perché il suo nome è inciso su quella lapide.
Otto Schmidt era un tenente del «2° Regiment der Tiroler Kaiserjager» deceduto il 25 marzo 1918 nel campo di concentramento del Monterotondo. Morì di tifo all’età di 26 anni, quindi era nato nel 1892. Fu insignito della Medaglia di argento e di bronzo al Merito Militare con spade, della Medaglia di argento al valor militare di prima classe e della «Croce di Carlo per la truppa». Quasi sicuramente per tutti questi riconoscimenti il suo nome venne indicato come simbolo per tutti i morti austro-ungarici del Concentramento che vennero sepolti nel cimitero di Caira.
Nel suo ultimo lavoro, La Prima Guerra Mondiale e l’alta Terra di Lavoro Gaetano de Angelis-Curtis delinea minutamente le condizioni in cui vivevano i prigionieri nel campo di concentramento del Monterotondo e cita la relazione del medico dott. Francesco Savà, responsabile della salute dei prigionieri, che descrive minuziosamente l’evolversi dell’epidemia di tifo che mieté numerose vittime specialmente tra i 4500 soldati semplici presenti nel campo nel 1918 e nel 1919. Dopo l’armistizio, con l’arrivo di numerosi prigionieri appartenenti alle diverse etnie che componevano l’impero austriaco le condizioni igieniche del campo peggiorarono e si registrò il più alto numero di decessi in particolar modo tra la truppa. Inferiore fu il numero dei decessi tra i 1500 ufficiali detenuti perché le loro condizioni igieniche e alimentari in genere e il loro stile di vita erano di gran lunga migliori. Otto Schmidt, pur essendo un ufficiale e ancor prima che l’epidemia colpisse in modo virulento i prigionieri, fu una delle prime vittime della malattia.
Singolare e intrigante resta il fatto che sia stato proprio quel “messaggio”, scritto poco più di un secolo fa da Antonio Vecchiarino a farlo “ritornare in vita”, metaforicamente parlando, consentendo alla famiglia e alla comunità sampietrese di ricordarlo e di sapere con certezza dove si trovano sepolte le sue spoglie mortali. Un ricordo doveroso specie per chi si è immolato per la Patria.
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