Ricordi: l’estate del 1943 a Cassino

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Studi Cassinati, anno 2017, n. 3
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di Manlio Del Foco*

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Prof. Manlio Del Foco 10 settembre 2017Eravamo divisi, come tutti gli scolari del’43, tra fautori della Marina e fautori dell’Aviazione, l’arma azzurra, l’arma giovane. Io, affascinato dalla potenza di fuoco delle corazzate e degli incrociatori, dalle imprese dei sommergibili e dei sommozzatori vantate alla radio nei bollettini di guerra e mostrate nei «Film Luce», parteggiavo per la Marina. I più erano per l’aviazione e anche essi avevano imprese gloriose da opporre alle nostre. Godevano, però, di due vantaggi: il primo dovuto ad una canzoncina con la quale troncavano le discussioni quando erano in difficoltà:

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Della Marina ce ne freghiamo, / Perché dall’alto la bombardiamo.

E gira gira l’elica / Romba il motor. / Questa è la vita bella. / La bella vita dell’aviator.

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Il secondo vantaggio era dato dal maresciallo pilota Solari, che, di stanza all’aeroporto militare di Aquino, di tanto in tanto si presentava su Cassino e si esibiva in acrobazie degne delle moderne Frecce Tricolori: a motore spento scendeva a vite in picchiata per riprendere quota all’ultimo momento, giri della morte, passaggi a testa in giù, lunghi avvitamenti orizzontali per allontanarsi alla fine battendo le ali in segno di saluto.

Quando questo avveniva tutti, grandi e piccoli, rimanevano ammirati ed io ero convinto che fin quando il maresciallo Solari fosse rimasto ad Aquino nessun aereo nemico si sarebbe avventurato su Cassino. Il giorno dopo l’esibizione, però, entrando in classe, potevo rispondere solo con un sorriso al ritornello accennato a bassa voce: E gira gira l’elica …

Frequentavo la quinta elementare presso le Suore di Carità e Suor Immacolata, molto brava ed esigente, ci preparava a sostenere il difficile esame di ammissione al Ginnasio. Quell’anno le prove di esame furono tenute presso le scuole elementari «Scuole Pie» site vicino al carcere di Cassino perché alcune strutture scolastiche (come il Liceo-Ginnasio e altre scuole del centro) erano state concesse “provvisoriamente” ai tedeschi che erano venuti, da alleati, in Italia per contrastare l’avanzata degli Alleati, sbarcati in Sicilia.

Tutti ne ammiravano l’ordine, la disciplina, le canzoni che cantavano marciando, i blindati che provvisoriamente stazionavano sotto gli alberi della villa comunale e, per noi ragazzi, impressionante era il piglio marziale di quei soldati che, con una targa di metallo sul torace, dirigevano il traffico delle unità che arrivavano o partivano.

Intanto la radio italiana, l’EIAR, cantava: «CAMERATA RICHARD benvenuto … Divideremo pane e morte per la nostra libertà». Molti giovanotti adottarono il taglio dei capelli alla tedesca: corti e cortissimi sulle tempie e sulla nuca.

E arrivò l’otto settembre. L’improvviso annuncio dell’armistizio diede l’illusione della fine della guerra e la speranza alle donne che presto i loro mariti, i loro figli sarebbero ritornati dall’Africa, dalla Grecia, dalla Iugoslavia, dalla Russia .

I tedeschi, dal canto loro, interruppero quasi del tutto i rapporti con la popolazione e nei loro sguardi non c’era più simpatia ma freddezza e disprezzo.

Si sentivano traditi e non più in territorio amico.

Un giovane militare che di tanto in tanto, scendendo dalla Rocca Ianula, si fermava a parlare con delle ragazze di via San Matteo, rione Tre colonne, dove io abitavo e dove avevo tanti compagni e compagne di giochi, facendo capire la sua imminente partenza per il fronte disse: «Voi andare via, Cassino kaputt».

Due giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, nel cielo di Cassino arrivarono i quadrimotori in formazione: «Sono belli! Si ritirano! La guerra è finita!» e si scatenò l’inferno.

La guerra per i cassinati cominciava.

Avevo dieci anni e la mia infanzia felice stava tragicamente per finire.

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*Manlio Del Foco ha narrato la sua toccante vicenda in una lunga nota inserita nella sezione Testimonianze del libro di Antonio Grazio Ferraro, Cassino dalla distruzione della guerra alla rinascita nella pace – Una esperienza che si fa memoria, Cdsc-Olus 2007, pp. 155-166. La testimonianza è stata poi stampata dallo stesso Manlio Del Foco con il titolo La mia … la nostra guerra, in modalità pro manuscripto (54 pagine) dalla Tipografia F. Ciolfi nel 2013.

Dal racconto della drammatica esperienza vissuta dalla famiglia di Manlio Del Foco, profondamente provata dalla guerra, con il nonno Domenico Baccari, avvocato, morto nel corso del primo bombardamento di Cassino del 10 settembre 1943, con il padre Ottorino, medico chirurgo, e lo zio Edoardo, ottantaduenne, morti nel corso del bombardamento di Terelle del 24 gennaio 1944 quando fu ferito gravemente il fratello Oreste di 11 anni, emerge fortemente e giganteggia la figura della madre Bianca Maria Baccari con la sua profonda umanità, trovatasi all’interno del vortice dei più cruenti eventi bellici dai quali però non si lasciò travolgere. Sotto i continui bombardamenti e cannoneggiamenti, tra i rastrellamenti tedeschi, nel corso di un inverno tra i più freddi, con scarsis-sime risorse alimentari ed economiche, scampata lei stessa miracolosamente alla morte quel 24 gennaio, la signora Bianca Maria improvvisamente si ritrovò da sola dopo la perdita del padre e, sopratutto, del marito, che aveva visto spirare tra le sue braccia mentre continuavano intense le esplosioni delle bombe aeree, con un figlio in serio pericolo di vita e dovendo accudirne un altro di due anni sempre in braccio e altri due, rispettivamente di 10 e 9 anni, improvvisamente fattisi adulti per aver perso la loro adolescenza, la spensieratezza e la serenità proprie di ogni giovane. L’amore materno e il dovere di mettere in salvo i figli non le permisero di cedere, di abbattersi, di disperarsi. Nel trasferimento coatto imposto dai tedeschi il 21 marzo fu obbligata, con ciò che rimaneva della sua famiglia, a incamminarsi sulle montagne di Caira. A causa delle asperità del sentiero e dell’alta neve in cui si affondava, i militari germanici impartivano ordini per lasciare gli inabili, feriti e anziani, sul posto. La si può immaginare mentre si avvicinava ai militari chiedendo, invocando, implorando aiuto per il figlio Oreste. Neanche i loro rifiuti furono in grado di farla desistere finché «gridando, supplicando di non abbandonarlo» riuscì a far breccia nel cuore di un soldato che prese sulle proprie spalle il piccolo ferito. Finalmente giunta a Colle San Magno, la famiglia Del Foco, assieme ad altre, fu portata prima a Frosinone, poi a Fiuggi quindi raggiunse Roma riparando presso parenti e amici. Passata la furia della guerra, sfondata la Linea Gustav e liberata Roma, i Del Foco tornarono a Cassino, cioè in quel che restava della «città martire». Neanche in quei momenti la signora Bianca Maria si fece sopraffare dalle difficoltà, anzi, armata di formidabile forza d’animo e di notevole coraggio volle tornare a Terelle a recuperare i resti del marito Ottorino, sepolto in una fossa comune, affinché potessero riposare per sempre nel cimitero di Cassino (gdac).

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