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«Studi Cassinati», anno 2018, n. 3
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di Marco Sbardella
Numerose e di pregevole qualità sono le sculture lignee a soggetto sacro che tra il secolo XVIII e la seconda metà del XIX furono realizzate da artisti riconducibili tutti ad un unico ceppo famigliare originario di San Germano (l’odierna Cassino): i Petronzio.
Nonostante, il valore delle opere di questa bottega d’arte assicurato anche dalla ampia diffusione delle loro produzioni, da Paliano, a Scicli (Rg), da Cassino, a Circello (Bn), a Canneto (Settefrati), a Pontecorvo, a San Giovanni Incarico, ad oggi uno studio approfondito e completo sulla biografia, sullo stile e le caratteristiche dei lavori dei Petronzio non è ancora disponibile.
In alcuni recenti contributi di Acconci1 e Boscarino2 vengono alla luce significativi elementi di novità che contribuiscono ad accrescere la curiosità sui Petronzio, i quali in ogni caso meriterebbero una trattazione organica sia dal punto di vista storico-biografico che stilistico-artistico.
Ci proponiamo in questa breve disamina di fare il punto sullo stato delle conoscenze sui Petronzio, raccogliendo tutte le informazioni disponibili e cercando di offrire taluni spunti di riflessione sulla vita di questa singolare famiglia di artisti, a partire dal componente forse oggi più conosciuto: Giuseppe Petronzio.
Dal fascicolo sugli Atti di matrimonio di don Ferdinando Giuseppe Petronzio conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, numerose e interessanti sono le notizie che possono ricavarsi dai documenti che vi sono contenuti3.
Nel Processo di carte scritte n. nove per la solenne promessa di matrimonio tra Don Ferdinando Giuseppe Petronzio e Donna Maria Rosa Geltrude Carbone leggiamo che alla data del 4 agosto 1838 comparvero davanti al Duca di Bagnoli, Eletto e Ufficiale di Stato civile del quartiere di San Giuseppe di Napoli: «…Don Ferdinando Giuseppe Petronzio, nativo del Comune di San Germano in Provincia di Terra di Lavoro, di anni trentadue compiti, celibe, scultore di legno, domiciliato da più anni nella Sezione Avvocata, strada Infrascata, numero centotto, figlio maggiore di coniugi Don Francesco Petronzio, scultore, consenziente, domiciliato nella Sezione San Lorenzo, strada Arcivescovado, numero dieci e fu Donna Rosa Pio… e Donna Maria Rosa Geltrude Carbone, di Napoli, di anni diecinove compiti, nubile, domiciliata da più anni dico anni in questa Sezione dico Scaricatojo numero ventuno, figlia minore de’ coniugi Don Domenico Carbone, negoziante di carrozze, e Donna Raffaela Mele, consenzienti domiciliati colla medesima…».
Le carte accluse al fascicolo della Promessa, per le nostre finalità di ricerca, risultano di estrema importanza; tra queste infatti compare l’attestazione di battesimo di Giuseppe Petronzio rilasciata, ad uso matrimonio, dal parroco Giuseppe Natale della Chiesa di San Giovanni Battista in San Germano: «Certifico io sottoscritto Can. Parroco … che avendo perquisito il quinto volume del registro dei nati al foglio 18 ho trovato quanto segue: Anno Domini millesimo octingentesimo sexto, die trigesima Maii … D. Bartholomeus Danese de licentia baptizavit infantem natum ex coniugibus Francisco Petronzio et Rosa Pio; Ferdinandi Josephi nome impositum. Susceptores fuerunt Joannes Antonius Gentile et Maria Josepha Rosutti. Alexander Nardone Parochus. San Germano 20 luglio 1838. Giuseppe Can. Natale Parroco».
Inoltre dalle dichiarazioni di onorabilità di Giuseppe rilasciate dal padre Francesco il 12 giugno 1838 al notaio Angelo Guerra di Napoli, si rilevano importanti informazioni sia sullo sposo che sui genitori: «D. Francesco Petronzio, fu Gregorio, di anni sessanta, vedovo di D. Rosa Pio, nativo di S. Germano, ora domiciliato in Napoli, nella sezione San Lorenzo, e da tre mesi strada Arcivescovado n. 10. … Il medesimo presta il suo formale consenso che D. Ferdinando Giuseppe Petronzio, suo figlio, nativo di Sangermano di anni trentadue compiti, di condizione scultore di legno, domiciliato nel circondario Avvocata e da più anni strada Infrascata n. 108 contragga solenne matrimonio secondo il rito civile e ecclesiastico colla sig.ra Maria Rosa Gertrude Carbone, nativa di Napoli, di anni diciannove compiti, domiciliata nel circondario di San Giuseppe e da più anni Vico Scaricatojo all’Incoronata n. 21, figlia delli coniugi D. Domenico Carbone e D. Raffaela Mele. Avendo dichiarato che detto mio figlio non è stato mai soldato, né attualmente appartiene ad alcun corpo d’armata si di mare che di terra, né volontario, né militare né prete, né ordinato in sacris, né mai ha fatto verun voto sacro, mai casato, né impiegato al Supremo Comando, né all’Intendenza Generale dell’esercito né alle Officine subalterne dipendenti dal Ministero di Guerra… non è sottoposto a giudizi criminali o correzionali né servo di pene e che niun grado di parentela o affinità neanche in linea di adozione o ramo di tutela passa tra detti futuri sposi. …».
Da queste notazioni possiamo provare a tracciare un profilo biografico per almeno due dei componenti della famiglia.
Ferdinando Giuseppe «di condizione scultore di legno» era il figlio maggiore di Francesco Petronzio, scultore anch’egli, e di Rosa Pio. Era nato a San Germano nel 1806 ed essendo stato battezzato il giorno 30 maggio, possiamo ipotizzare che la nascita sia avvenuta il giorno prima o lo stesso giorno in cui si celebrò il sacramento come era uso in quei tempi. Padrini del bambino furono Giovanni Antonio Gentile e Maria Giuseppa Rosutti e il battesimo fu amministrato da don Bartolomeo Danese presso la chiesa di San Giovanni Battista in San Germano.
Nel documento risulta che nel 1838 Francesco aveva sessanta anni – doveva essere quindi nato nel 1778 -, e che era «nativo di San Germano». I genitori di Francesco erano Gregorio e Fioralba Aloisio, morti entrambi a San Germano. A quella data era già vedovo della moglie Rosa Pio e risiedeva a Napoli, Quartiere San Lorenzo, Via dell’Arcivescovado, n. 10.
Francesco, come emerge dal Registro di Morte della Chiesa di San Giovanni Battista in Cassino4, dopo la morte di Rosa Pia aveva sposato in seconde nozze Alessandra Monti e ambedue le mogli erano originarie di San Germano. Qui morì il 6 agosto 1847.
Egli è ricordato come autore della Madonna bianca di Canneto5. La statua sarebbe stata realizzata nel 1842: essa è custodita a Settefrati e viene portata in processione il 18 agosto verso il Santuario di Canneto, dove si venera la famosa Madonna nera.
Allo stesso autore6 sono attribuiti anche gli angeli originali datati al 1837 che adornavano la statua della Madonna dell’Assunta della Chiesa Madre di Cassino (trafugati e oggi sostituiti da una copia) e un restauro complessivo della statua7. Lo si ritrova anche a Cervaro come autore della statua di San Luigi Gonzaga8 eseguita nel 1840.
Il figlio di Francesco, Ferdinando Giuseppe, nel 1838 risiedeva «da più anni» a Napoli, nel quartiere «Avvocata», via Infrascata n. 108. Con il consenso del padre, avrebbe sposato il 4 agosto del 1838 presso la Chiesa di San Giuseppe e Cristoforo la diciannovenne napoletana Maria Rosa Gertrude Carbone, figlia di d. Raffaela Mele e di d. Domenico Carbone, «negoziante di carrozze» e, precedentemente, «maniscalco di Sua Altezza Reale».
Dalla loro unione nacquero almeno due figlie: Maria Giovanna Filomena Francesca Di Girolamo il 15 maggio 1839 e Maria Luisa Fioralba il 5 febbraio 1848.
La produzione artistica di (Ferdinando) Giuseppe è notevole e di elevata qualità. Oltre alle opere realizzate per la Chiesa di San Giovanni Incarico, di cui diremo a breve, alla sua mano sono da attribuirsi la statua di Maria SS.ma Assunta del 1854, venerata nella Chiesa della SS.ma Annunziata a Circiello9, in provincia di Benevento, la Statua di Maria SS.ma di Pugliano, detta «La Puglianella»10, del 1847, custodita nel Convento dei Passionisti di Paliano (Fr) e, secondo la testimonianza di un anonimo autore11 del 1885, la Statua lignea di Maria SS.ma Immacolata, nella Chiesa di Santa Maria La Nova a Scicli, nel ragusano, scolpita a Napoli nel 1843 e rivestita in argento nell’anno successivo 1844 da altro artista.
Altro membro della famiglia fu Giovanni che visse a San Giovanni Incarico e vi morì nel 1848. Secondo i registri parrocchiali sangiovannesi (in particolare quello di morte), Giovanni sarebbe nato a San Germano nel 1770, da Agostino e Maddalena Anilletti, e sposò la sangiovannese Maria Grazia Tasciotti. Forse per tale ragione andò a vivere nel paese i cui amministratori dell’epoca erano i Cayro, importante famiglia del patriziato anagnino, il cui rappresentante più famoso fu lo storico Pasquale12. La coppia ebbe il primo figlio nel 1803 e successivamente altri 11 (l’ultima nata nel 1822).
Nel catasto provvisorio terreni (detto «murattiano»), realizzato in ossequio alle leggi del 8 novembre del 1806 e del 4 aprile 1809, in sostituzione del vecchio catasto onciario, quale strumento di attuazione della nuova disciplina fiscale inaugurata dai francesi, ritroviamo l’indicazione13 che, all’epoca di compilazione, ai numeri di proprietà 230 e 231 dello Stato di Sezione dei quartieri Piazza e Castello14 risultava impiantato a San Giovanni Incarico, in via Pila Pugliese15, il nucleo familiare di Giovanni Petronzio, imparentato con gli artisti del legno provenienti da San Germano. La famiglia, di quattro membri (in realtà secondo i registri parrocchiali nel 1809 Giovanni e Maria Grazia, a quella data, avevano almeno 4 figli e quindi il nucleo era costituito da 6 componenti), possedeva una casa per cui si registrava una rendita netta imponibile di 5,10 ducati, e una cantina di 1,20 ducati.
Il loro legame con i Petronzio di San Germano è veicolato dalla importante testimonianza di un discendente del ramo sangiovannese, Raffaele Petronzio (1892-1974) fu Giovanni, Comandante di Marina, che lasciò tra le sue carte un autografo del seguente tenore: «Ai posteri – Molto anticamente a casa ci fu un Giuseppe Petronzio (vedete carte nascita). La statua di San Michele e altre fu fatta da lui e teneteci che non venga sfasciata e non fate togliere la dicitura che c’è sotto il pulpito dove fanno le prediche ed anche il coro dietro l’altare fu fatto da lui, ma fu demolito per ampliamento e allungamento della chiesa».
Il manoscritto, breve ma di estremo interesse in quanto consente di arricchire le conoscenze dei lavori dei Petronzio nell’area, è stato recuperato dalla figlia, sig.ra Adelaide Petronzio, alla cui solerzia si devono le sollecitazioni per il percorso di recente riscoperta degli artisti; inoltre grazie al suo interessamento, la competente Sopraintendenza autorizzò il ripristino della attribuzione originaria a (Ferdinando) Giuseppe Petronzio sulla statua di San Michele custodita nella parrocchiale di San Giovanni Incarico, trafugata nel 2002 e recuperata – senza scritte di identificazione – nel 2008, e il riconoscimento della paternità dello stesso scultore per il pulpito ligneo della Chiesa.
A questo punto è lecito chiedersi quali affinità intercorressero tra Giovanni di San Giovanni Incarico e Ferdinando Giuseppe di San Germano, ma residente, a partire da un anno imprecisato tra il 1806 e il 1838, a Napoli in Via dell’Arcivescovado, n. 10.
Sappiamo che Ferdinando Giuseppe era il primogenito di Francesco, noto scultore, che nel 1825, insieme al figlio, affrescava la volta della Biblioteca di Montecassino16. In realtà possiamo ipotizzare che il figlio, aiutante scultore, di cui parla il Leccisotti, fosse proprio il primogenito Ferdinando Giuseppe, che nel 1825 aveva 19 anni: un eventuale altro figlio di Francesco, di cui non si ha notizia, doveva essere necessariamente più giovane e quindi meno esperto di cose d’arte.
In effetti Raffaele Petronzio dice, testualmente, che «… Molto anticamente a casa ci fu un Giuseppe Petronzio». Non che vi nacque, ma che vi dimorò, vi fu alloggiato temporaneamente, presumibilmente per il tempo che dovette lavorare alle opere commissionategli dalla «Università» di San Giovanni Incarico. A questo punto si può pensare che Giovanni fosse primo cugino di Francesco e che Ferdinando Giuseppe fosse nipote di secondo grado e che, per interessamento dei parenti sangiovannesi, fosse stato incaricato delle sculture lignee nella chiesa parrocchiale.
Le opere sicuramente realizzate da Ferdinando Giuseppe a San Giovanni Incarico, in quanto segnalate da specifica iscrizione, sono la statua di San Michele Arcangelo, «…figura in lorica, clamide svolazzante e cimiero è sbilanciata, di impostazione leggermente diagonale e in attitudine quasi danzante…»17, e la statua di Sant’Antonio Abate, entrambe commissionategli nel 1868, anno nel quale Ferdinando Giuseppe aveva 65 anni e sia il padre Francesco che lo zio (?) Giovanni non erano più viventi da almeno un ventennio. Secondo l’autografo di Raffaele Petronzio sarebbero di mano dello stesso scultore «altre statue» oltre al pulpito in legno innalzato su un pilastro di destra della navata centrale della Chiesa parrocchiale e al «coro dietro l’altare», successivamente demolito. Notazioni molto generiche che non bastano ad attribuire a Ferdinando Giuseppe anche gli altri simulacri, più o meno coevi dei precedenti, presenti nella chiesa – quali la Madonna del Sacro Cuore (oggi fortemente deteriorata), Santa Lucia, l’Assunta, San Rocco, San Giovanni Battista -, senza una specifica analisi e studio di comparazione delle opere.
Per quanto riguarda lo stile18, è stata osservata, almeno per la statua di San Michele, una certa analogia, pur contrassegnata da una maggiore staticità19, con i modelli di Nicola Fumo20, un artista che ha avuto un ruolo significativo nella scultura lignea policroma di età tardo barocca, tanto da insidiare la fama prestigiosa di Giacomo Colombo21, e che doveva in ogni caso essere un punto di riferimento per coloro che si accingevano a studiare e a impegnarsi in questa straordinaria arte plastica.
Tornando alla biografia dei nostri artisti, non possono sfuggire talune incongruenza cronologiche: gli storici locali ricordano come nel XVIII secolo, i «fratelli Petronzio di Portici», abbiano realizzato statue lignee per la città di Pontecorvo: quella della Madonna della Libera, della Madonna delle Grazie, della Madonna di Monte Leuci, di Sant’Oliva.
Possiamo ipotizzare che la commessa per queste opere realizzate per le chiese pontecorvesi sia all’origine della presenza dei Petronzio provenienti da Portici nell’area cassinate ovvero di un vero e proprio trasferimento.
L’8 giugno del 1723, infatti, a Pontecorvo si verificò l’apparizione miracolosa della Vergine Maria22 alla piccola Scolastica Ciccone nei pressi di un’edicola a Lei dedicata, sulla sponda destra del Liri; in seguito a ciò furono iniziati e portati a termine i lavori per trasformare la piccola cappella esistente nella Chiesa della Madonna della Libera, oggi in rovina. Ultimati i lavori, venne commissionata una statua della Madonna proprio ai fratelli Petronzio, evidentemente provenienti da Portici (Na), dato il toponimo che viene costantemente ricordato a fianco del loro cognome. In realtà non sembrano rilevarsi opere note dei Petronzio precedenti a questo periodo, e anche la statua di Sant’Antonio, presente nella Chiesa di San Nicola di Porta di Pontecorvo che «… per antica memoria era attribuita ai “fratelli Petronzio di Portici”, e si faceva risalire al settecento, fu scolpita, in realtà nel 1847, da tal Gaetano Negri»23.
Di fatto, come è stato giustamente osservato24, non si può stabilire «… se l’apparizione (del 1723) sia stata la causa determinante per la venuta a Pontecorvo dei fratelli Petronzio che lavorarono per molto tempo a … S. Germano», ma in ogni caso sembrano essere proprio le opere commissionate a Pontecorvo a dare ai Petronzio un significativo contributo alla loro personalità artistica e alla fama della loro arte, tanto da convincerli a stabilirsi e a dimorare in quel di Cassino. In tale contesto non è peregrina l’ipotesi che Gregorio e Agostino, rispettivamente padri di Francesco e di Giovanni, possano essere figli dei Petronzio provenienti da Portici, autori delle statue pontecorvesi (meno convincente pare la congettura che essi stessi siano da identificarsi con i Petronzio di Portici).
A testimonianza di quanto complesso sia il tentativo di ricostruire le genealogie e le relazioni della famiglia Petronzio, ricordiamo anche un Fabio, scultore e pittore di Sangermano, che nel 1850 circa riparava la statua della SS. Vergine Assunta in Cielo di Atina25, e nel 1854 affrescava la chiesa parrocchiale di S. Maria Addolorata, in Valvori (frazione di Vallerotonda)26, e un Antonio, scultore, che nel 1847 restaurò la statua della Madonna Addolorata all’interno della Chiesa di San Basilio di Caira (frazione di Cassino)27.
In conclusione possiamo fare il punto sulle conoscenze che abbiamo di questi valenti e prolifici artisti, evidenziando i dati reperiti, le informazioni sulle loro opere, e le possibili ipotesi, attraverso le schede di sintesi che seguono:
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NOTE
1 A. Acconci, Per un repertorio della scultura lignea: appunti sui materiali del basso Lazio, in «Nel Lazio, guida al patrimonio storico artistico ed etnoantropologico», Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, 3, 2012, pp. 11-33, in particolare pp. 29-30, in cui, benché alcuni elementi identificativi e biografici appaiano confusi e contraddittori, si accenna a produzioni originali riscoperte o non conosciute, anche sulla base della segnalazione della sig.ra Adelaide Petronzio di San Giovanni Incarico, discendente degli scultori.
2 M. Boscarino, Giuseppe Petronzio: autore della statua dell’Immacolata di Santa Maria la Nova?, in «Dibattito» Mensile di cultura, attualità, politica, costume, cronaca, sport, XXVI (2014), 12, dic., p. 6.
3 Archivio di Stato di Napoli, Stato civile della restaurazione, San Giuseppe – Matrimoni, processetti 04.07.1838-01.10.1838. Sono grato alla cortese disponibilità di Massimo Boscarino, sia per il riferimento sia per le indicazioni della documentazione dell’Archivio.4 Ringrazio Alberto Mangiante, attento cultore di storia locale, che ha messo a disposizione, con rara cortesia, questa ed altre preziose informazioni per la mia ricerca sui Petronzio.
5 Cfr. A. Venturini, Madonna chiara e Madonna nera. Un mistero chiarito, in http://www.settefrati.net/reliquie.htm; cfr. anche Mons. Dionigi Antonelli, La chiesa di S. Maria di Canneto: dalle antiche costruzioni all’attuale ristrutturazione generale (secc. XV-XX), in http://www.settefrati.net/ dondionigi6.PDF, p. 24.
6 Don Angelo Pantoni attribuisce a Francesco Petronzio anche il complesso della «culla con Maria Bambina, tra due angeli, in atto di omaggio, con la colomba dello Spirito Santo soprastante», della Chiesa di Vallerotonda (Fr); cfr. A. Pantoni, Vallerotonda. Ricerche storiche e artistiche, (a cura di F. Avagliano), Montecassino, 2000, p. 75.
7 Cfr. A. Acconci, Per un repertorio della scultura lignea … cit., p. 30.
8 A. Pantoni, Notizie storiche: Cervaro, VII, in «Bollettino Diocesano, Diocesi di Montecassino e prepositura di Atina», 1969, XXIV, n. 4, p. 158. Sono grato a Gaetano de Angelis-Curtis per questo e altri riferimenti.
9 Cfr. F. G. Miele, Santi a Circello. Iconografia sacra dal XVI al XIX secolo, Circello 1996, p. 45.
10 Cfr. P. Filippo della S. Famiglia C. P., Una gemma nascosta nel giardino di Maria – P. Sebastiano di S. Giuseppe (sacerdote passionista), Casamari 1955, p. 139; G. De Sanctis CP, Santa Maria di Pugliano / presso Paliano, Casamari 1974, che rileva la perizia del Petronzio nella realizzazione della statua.
11 Cfr. M. Boscarino, Giuseppe Petronzio … cit., p. 6.
12 Pasquale Cayro fu oltre che valente storico e archeologo anche accorto amministratore: nel 1777 era sindaco del paese; cfr. M. Sbardella, Pasquale Cayro autore dell’epigrafe borbonica di San Giovanni Incarico?, in «Civiltà Aurunca», a. XVII (apr./giu. 2001), n. 42, pp. 27-35.
13 Archivio di Stato di Frosinone, Catasto Provvisorio Terreni, Comune di San Giovanni Incarico, Registro Stato di Sezione, Sesta sezione, lettera F, Piazza e Castello.
14 Gli Stati di sezione registravano le singole partite elencate nella loro successione topografica, interessando tutta la superficie del Comune, rilevando per ognuna di esse le generalità del contribuente, la natura e l’estensione della proprietà e la sua rendita netta.
15 Il toponimo Pila deriva dal lat. pīla «pilastro; mortaio», ovvero otre [v. DU CANGE, t. 6, col. 320b, s.v. 5 «Pila»] e potrebbe indicare un abbeveratoio in pietra esistente nella zona all’epoca. Nella planimetria del Progetto per la sistemazione delle strade interne – Planimetria, Scala 1:500, Studio tecnico Ing. Cav. Uff. Pasquale Pistilli – Napoli, del 1925, reperita tra le carte d’archivio, purtroppo non catalogate e in stato di abbandono, di San Giovanni Incarico – ora custodite, verosimilmente, presso i locali comunali della frazione di San Cataldo -, risulta una via Pugliese sul lato sud della chiesa (ancora oggi esistente) e una via Madonnella sui lati nord (oggi via Fregelle) e ovest (sul retro dell’edificio): potrebbe darsi che proprio l’attività artistica dei Petronzio a San Giovanni Incarico abbia indotto, nel classico pragmatismo dell’uso popolare, la modifica del nome della via Pila Pugliese nella via della Madonnella (icona, statuina), e ciò limitatamente ai soli lati nord e ovest della chiesa forse perché era proprio quella la parte di strada su cui insisteva la casa dei Petronzio (ubicata a ridosso della attuale via Pasquale Cayro), come se nel corso degli anni la rinomata attività artistica dei Petronzio avesse finito per caratterizzare il luogo. Il toponimo «Madonnella» residua oggi nel Vicolo delle Madonnelle, che è una traversa cieca di Via Fregelle.
16 Cfr. T. Leccisotti, F. Avagliano (a cura di), I Regesti, vol. X, Roma 1975, p. LXVI.
17 A. Acconci, Per un repertorio della scultura lignea … cit., p. 30.
18 Sul valore artistico dei loro lavori si veda, su questo stesso bollettino, il pregevole e accurato lavoro di F. Di Traglia, Stile, metodologia e modelli di riferimento dei Petronzio, scultori di arte sacra.
19 A. Acconci, Per un repertorio della scultura lignea … cit., p. 30.
20 Saragnano di Baronissi (Sa), 1647 – Napoli, 1725.
21 Este, 1663 – Napoli, 1731.
22 Cfr. A. Sdoia, La SS. ma Annunziata di Pontecorvo dalle origini ai nostri giorni, Formia 2000, pp. 35, 73-77.
23 Cfr. M. Maglione, Il culto e la devozione di sant’Antonio di Padova a Pontecorvo, in http://www.diocesisora.it/pdigitale/il-culto-e-la-devozione-di-santantonio-di-padova-a-pontecorvo/.
24 Cfr. F. Di Traglia, A. Fresilli (a cura di), Oliva simbolo di pace: la storia del Casale attraverso tradizioni, documenti e inedite note d’archivio, Roccasecca 2010, p. 95.
25 Cfr. G. de Angelis-Curtis, Giacinto Visocchi e aspetti di vita politica ad Atina tra il 1848 e il 1860, Arbor Sapientiae, Roma 2018, p. 122, n. 246.
26 Cfr. F. Valente (a cura di), Relazione tecnica sugli interventi di restauro della Chiesa della SS. Vergine Addolorata, Valvori 2004.
27 Cfr. S. Saragosa, C. Nardone, La Chiesa di San Basilio Vescovo di Caira, Cdsc, Cassino 2018, p. 34.
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