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L’Inchiesta – 07.03.19, di Gaetano de Angeslis-Curtis
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Il 17 gennaio 1861 la Luogotenenza generale del regno nelle province napoletane pubblicò con decreto il nuovo Ordinamento giudiziario del Mezzogiorno d’Italia e il Comune di San Germano, oggi Cassino, fu prescelto come sede di un «Tribunale Collegiale di Circondario». Come «luogo più opportuno» per ospitare il nuovo organo giudiziario fu individuato il «Palazzo vescovile» di proprietà del monastero di Montecassino, di cui era allora abate d. Simplicio Pappalettere. All’edificio, che formava un vasto quadrilatero al cui interno si trovava una spaziosa corte, si accedeva tramite un ingresso principale che dava su una «bella piazza». In quei momenti alcuni ambienti dell’immobile ospitavano gli uffici di Montecassino, altri erano «occupat[i] da parecchi inquilini», in altri ancora vi era insediata la Stazione dei Reali Carabinieri. La ristrutturazione e la riattazione dei locali del «Palazzo vescovile», nonché il trasferimento degli inquilini in «novelle abitazioni», consentiva all’edificio di risultare sufficiente a ospitare vari uffici pubblici con l’abbazia di Montecassino che si assumeva l’onere finanziario «di mettere tutto il locale in buone condizioni locative», facendo «a sue spese le necessarie sistemazioni» e i «restauri necessari» per tutte le opere di trasformazione. La parte che si intendeva adibire a Tribunale, e a cui si accedeva per mezzo di una spaziosa e bella scala di pietra, costituiva l’«ala occidentale e parte di quella a mezzogiorno» del palazzo. Essa risultava totalmente separata «dagl’appartamenti del Rev. Ordinario provveduti d’un altro ingresso e di una scala diversa». Invece nel lato sinistro del primo piano, in luogo del tutto separato da quello destinato al Tribunale, venivano collocati gli uffici della «Regia Giustizia», cioè del giudicato regio (poi pretura), già operante a Cassino in alcuni ambienti dell’ex convento di S. Domenico con quest’ultima sede che sarebbe stata adibita, «nella sua totalità, ad uso di carcere». Infine la Stazione dei Reali Carabinieri andava spostata nella parte superiore del secondo piano dell’ala occidentale. Il 24 dicembre 1861 furono trasmesse al Comando di divisione dell’arma dei Carabinieri in Caserta e al prefetto della provincia di Terra di Lavoro, le richieste per l’«immediato passaggio» della Stazione dei Carabinieri nei nuovi locali. Quindi il comandante dei Carabinieri di Napoli, il 19 gennaio 1862, comunicò che non aveva nulla da obiettare al «progettato» trasferimento per cui aveva trasmesso la pratica al Comando di Caserta e al prefetto. Poi il 24 gennaio, per telegramma, autorizzò l’immediata esecuzione del «passaggio» dei Reali Carabinieri nei nuovi locali, salvo il diritto di ricercare un’altra caserma. Tuttavia l’ordine di spostamento tardava ad arrivare a Cassino sebbene la nuova sede fosse completata e «perfettamente all’ordine» e fosse «più bella e più ampia» di quella fin lì utilizzata tanto che lo stesso comandante della stazione di S. Germano l’aveva reputata migliore della precedente. Ancora all’inizio di febbraio del 1862 le autorità giudiziarie tornarono a sollecitare il colonnello comandante la Legione in Napoli affinché disponesse, «nello interesse del pubblico servizio», il trasferimento dei Carabinieri di Cassino nell’«altra caserma sita nel piano superiore dello stesso stabile». Infatti il mancato scambio di caserme aveva finito per ostacolare «il più che celere sviluppo delle opere» e dei lavori nei locali da adibire a Tribunale. Inoltre il trasferimento dei Carabinieri avrebbe dato la possibilità al Comune di «trarsi fuori dal prio imbarazzo di ricercare un locale più adatto o più prontamente riducibile all’uso di Tribunale» con il timore, non dichiarato espressamente, del rischio che Cassino potesse perdere così la possibilità di essere sede di organi giudiziari. Quindi il 3 febbraio 1862 intervenne il generale comandante Legione CC.RR in Napoli che, scusandosi di non essere stato avvertito prima di «tale vertenza», sollecitò l’emissione da parte dei suoi sottoposti delle opportune disposizioni per lo «sgombero» della stazione Carabinieri di S. Germano. Quindi il 5 febbraio fu il colonnello comandante della 7a Legione del Corpo dei Carabinieri Reali che dispose lo «sgombro del locale che attualmente occupa[va] la stazione in San Germano», emanando «tosto l’ordine di trasferimento» al comandante della divisione in Caserta perché la «Brigata a[vesse] senz’altro a portarsi a alloggiare il nuovo locale destinato salvo a fare quelle disposizioni che fossero del caso quando la nuova caserma non presentasse le comodità prescritte dal regolamento generale del Corpo». Infine in data 8 febbraio 1862 ebbe luogo il trasferimento dai vecchi locali e l’insediamento nella nuova caserma. Nel corso del 1872 si giunse al rinnovo del contratto d’affitto della porzione del palazzo badiale adibito a Caserma dei Carabinieri (inizialmente il contratto non fu vistato dall’intendente di Finanza il quale riteneva che l’abbazia fosse stata soppressa e i beni e le rendite fossero stati incamerati dal demanio). Il fitto risultava fissato in L. 1.780 l’anno. Su sollecitazione dell’abate di Montecassino, il 19 febbraio 1872 il sindaco di Cassino, avv. Benedetto Nicoletti, faceva notare al prefetto che, probabilmente per un errore di trascrizione, sui documenti il fitto risultava indicato in L. 1.708 annue. Il funzionario provinciale interpretò ciò come una richiesta di aumento e replicò che non c’era nessuna ragione che giustificasse la variazione. Alla fine il contratto, della durata di sei anni, venne sottoscritto il 3 maggio 1872 dall’abate d. Nicola D’Orgemont e dal prefetto di Caserta, Giuseppe Colucci, Lo stabile adibito a caserma risultava costituito dal piano terreno del palazzo badiale in cui vi erano cortile, scuderia, selleria, cantine e fienile; dal primo piano con una camera uso magazzino, sette camere per domicilio, una per ufficio, due per sicurezza, e tre varie. Un problema sollevato dalle autorità militari riguardava la mancanza nella caserma di acqua potabile (la non potabilità dell’acqua era attestata da un certificato medico rilasciato dall’ufficiale sanitario del tempo, il dott. Gennaro Matrundola, nonché dal sindaco Nicoletti). Conseguentemente i Carabinieri erano costretti ad approvvigionarsi di acqua all’esterno con un aggravio di spese per il trasporto, per cui si chiedeva alla proprietà dell’immobile di intervenire facendosi carico del problema. In quegli stessi frangenti, infatti, si era venuta a porre la questione delle «condizioni d’affittanza» in sostanza se la situazione dei locali che ospitavano le caserme a Cassino e nei vari Comuni del circondario fosse rispondente ai contratti d’affitto stipulati. In una nota trasmessa dalla legione dei Carabinieri, divisione di Caserta, al prefetto di Caserta si legge che «la stipula di un nuovo contratto non [avrebbe potuto] avvenire se prima non [fossero stati] eseguiti i restauri che occorr[evano]». Ad esempio a Cervaro nel decennio 1873-1883 la locale stazione dei Carabinieri si trovava ubicata nei locali di proprietà di Matteo Curtis. In una relazione datata 13 febbraio 1881, in previsione della scadenza del contratto d’affitto fissata a fine anno, venivano elencate alcune criticità dei locali e che erano le seguenti: «… alla caserma di Cervaro manca il pozzo e la camera di sicurezza per le donne, la latrina è mal costruita e meriterebbe essere rifatta. Le finestre tutte e i balconi non chiudono bene e devono essere perciò accomodati, infine la caserma in generale abbisogna di molte riparazioni alle porte finestre, pavimenti e muri».
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