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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 1
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di Gaetano de Angelis Curtis
Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia erano presenti sul territorio italiano circa 10.000 ebrei stranieri. Erano fuggiti dalla Germania, dall’Austria e da vari Paesi dell’est Europa ed erano giunti in Italia come meta di approdo temporaneo nel tentativo di raggiungere l’Inghilterra, gli Stati Uniti, l’America meridionale o altri Stati. L’inizio delle ostilità belliche, il 10 giugno 1940, portò il fascismo a porsi il problema degli ebrei stranieri, problema che fu risolto obbligandoli a raggiungere i campi di internamento in fase di costruzione (come quello di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza) oppure destinandoli all’internamento libero in paesi dell’entroterra scelti per la loro lontananza dalle grandi vie di comunicazioni e dalle più importanti città. Anche alcuni paesi della provincia di Frosinone furono scelti per l’internamento libero e fra essi Picinisco, Alatri e soprattutto S. Donato Val di Comino. Nel luglio 1940 un primo gruppetto di 13 donne ebree giunse a S. Donato. Poi nei tre anni successivi si venne a costituire una piccola comunità ebraica in quanto furono autorizzati anche i ricongiungimenti familiari con mariti e figli e la convivenza con la popolazione locale fu ottimale. Dopo l’8 settembre 1943 gli ebrei di S. Donato continuarono a risiedere in paese. Avrebbero potuto abbandonare S. Donato ma non lo fecero non sapendo, dopo tre anni, dove andare. Anche nel corso dei sette mesi di occupazione tedesca la situazione rimase tranquilla. La popolazione locale tentò di proteggere il gruppetto falsificando i documenti e giungendo a mettere a repentaglio anche la propria vita. Come estremo tentativo al fine di sfuggire ai tedeschi, alcuni degli ebrei decisero di farsi impartite i sacramenti cristiani, quello del battesimo dal parroco di S. Donato d. Donato Di Bona, e financo della cresima dal vescovo di Sora mons. Michele Fontevecchia a dimostrazione del tentativo di protezione operato dalla Chiesa cattolica. Pur tuttavia in seguito alla delazione di una delle ebree straniere, il 6 aprile 1944, qualche settimana prima che il paese fosse liberato dall’Esercito alleato, si giunse all’arresto da parte dei tedeschi di quasi tutto il gruppetto. Uomini, donne e bambini rastrellati a S. Donato furono portati a Roma e poi a Fossoli e da qui deportati ad Auschwitz dove il treno giunse il 23 maggio. Solo tre dei sedici arrestati nel Comune della valle di Comino sopravvissero al campo di sterminio.
Poco o nulla si sa della presenza e del rapporto venutosi a istituire, a partire dall’età medievale, tra Cassino e la comunità ebraica che vi risiedeva. La presenza di ebrei nella Cassino prebellica parrebbe essere attestata dalla toponomastica cittadina. Nel quartiere di S. Silvestro posto all’ingresso orientale della città, nei pressi della chiesa di S. Pietro in castro (nel luogo detto “lo Monte”) nella Cassino prebellica erano presenti quattro vicoli denominati: vico I ebrei, vico II ebrei, vico III ebrei e vico IV ebrei. Da ciò si può dedurre che quello fosse il ghetto sebbene non sembra avesse recinzioni e porte di accesso. Un secondo quartiere ebraico in città sembrerebbe essere la Giudecca ubicata nella vecchia piazza Fontana Rosa (anticamente detta piazza Giudea) nel cuore di Cassino. Gli ebrei potrebbero essere giunti nell’allora S. Germano, oggi Cassino, a cavallo tra la fine del primo millennio e l’inizio del secondo. Poi l’emigrazione e il trasferimento in altri luoghi, il declino economico, la conversione ecc. ne dovettero ridurre notevolmente la consistenza. Tuttavia ancora nella seconda metà dell’Ottocento era attestata la presenza di alcune famiglie ebraiche di commercianti come quella degli Efrati.
Infatti nel «Calendario del Regno» dell’anno 1882, nella scheda relativa alla città di Cassino, è riportato una vendita di tessuti all’ingrosso il cui titolare era Aron Settimio Efrati (seppur nella documentazione è indicato come Epati al posto di Efrati).
Aron Settimio Efrati ebbe vari figli fra cui, probabilmente, Settimio e sicuramente Giuseppe. Quest’ultimo sposò Enrichetta Sonnino da cui ebbe Rosa e Settimio, nato a Cassino il 27 settembre 1879. Rosa Efrati sposò Samuel (Lello) Vitale ed ebbe quattro figli: Maria (nata a Roma), Fernanda (nata a Cassino), Elena (nata a Cassino) e Giuseppe (?). Nel 1933 la rivendita di tessuti era intestata a Samuel (Lello) Vitale, dunque l’attività commerciale sembrerebbe essere toccata a Rosa che con la sua famiglia (marito e figli) la portava avanti. Presumibilmente il resto della famiglia Efrati lasciò Cassino per trasferirsi a Roma. Infatti Settimio, il fratello di Rosa, di professione commerciante, che aveva sposato Alda Fiorentino, nata a Roma 18 aprile 1886, da cui aveva avuto una figlia, Mirella, nata anch’essa a Roma il 14 settembre 1923, con la sua famiglia alla data dell’8 settembre 1943 si trovava già da tempo nella capitale. Nonostante il 26 settembre 1943 le autorità tedesche avessero preteso dalla Comunità ebraica capitolina la raccolta del cosiddetto “oro di Roma”, 50 chili d’oro da recuperare in due giorni, al fine di scongiurare la deportazione di duecento capifamiglia, la mattina del 16 ottobre 1943 si giunse al rastrellamento del ghetto di Roma. Tuttavia i nazisti non si limitarono all’arresto degli ebrei residenti nel ghetto ma rastrellarono anche quelli di cui avevano gli indirizzi di residenza in città. Alle due del pomeriggio del 17 ottobre l’azione poteva dirsi conclusa. Anche Settimio con la moglie Alda e la figlia Mirella furono arrestati. Gli ebrei rastrellati furono portati nel Collegio Militare in via della Lungara e dopo il rilascio di 252 persone escluse dalla deportazione perché non ebree o non rientranti nelle liste in mano ai tedeschi, ne rimasero 1014, fra cui un bambino di un giorno (solo 17 furono i sopravvissuti). Dal Collegio Militare vennero portati alla stazione Tiburtina, fatti salire sul convoglio numero 02, sui ventotto vagoni complessivi diretti ad Auschwitz. Partirono da Roma il 18 ottobre 1943 e giunsero nel campo di sterminio il 23 successivo. Il giorno dopo la maggior parte degli arrestati fu destinata alle camere a gas. Fra essi Settimio Efrati, la moglie Alda e la figlia Mirella.
L’altro ramo della famiglia prende origine dall’altro Settimio Efrati (di Aron Settimio) che aveva sposato Sara Della Seta e dalla cui unione erano nati tre figli: Rosina (nata a Cassino il 4 luglio 1885 e morta a Roma l’11 gennaio 1968, sopravvissuta, dunque, alla Shoah), Vittorio Augusto e Marco Giacomo Giuseppe.
Di questi ultimi, Vittorio Augusto Efrati era nato a Cassino il 25 agosto 1887 ed è morto il 29 settembre 1918 nell’Ospedale militare di Acquaviva delle Fonti (Ba) in seguito a broncopolmonite. Era un sergente dell’Esercito Italiano, 10° Reggimento Fanteria, Brigata Regina, ed è dunque un caduto della Prima guerra mondiale.
Marco Giacomo Giuseppe era nato a Cassino il 7 maggio 1880, aveva sposato Clara Barroccio, nata a Roma il 20 settembre 1891, da cui aveva avuto due figli, Augusto e Andreina, il primo nato a Castelgandolfo il 24 agosto 1916 la seconda a Roma il 14 settembre 1923. Pure Marco Giacomo Giuseppe aveva lasciato Cassino. Era entrato nell’Esercito italiano, divenendone un ufficiale, al pari del figlio Augusto anch’egli avviatosi alla carriera militare. Tuttavia tutti e due furono posti in congedo assoluto in seguito all’entrata in vigore delle leggi razziali varate dal fascismo nel 1938 e Marco Giacomo Giuseppe si impiegò come commesso. Quando poi nel 1940 anche l’Italia entrò in guerra si presentò al Distretto militare ma non venne reintegrato. La famiglia viveva a Roma in un appartamento di un signorile palazzo al numero civico 96 di via Germanico (quartiere Prati). Con il rastrellamento del 16 ottobre 1943 anche Marco Giacomo Giuseppe Efrati e la moglie Clara furono arrestati. Anche loro furono detenuti nel Collegio Militare, poi portati alla stazione Tiburtina, messi sul convoglio numero 02 partito il 18 ottobre 1943, deportati ad Auschwitz e destinati alle camere a gas il giorno successivo al loro arrivo (accomunati nell’identico tragico destino pure la sorella di Clara Barroccio, Virginia con il marito Augusto Piperno).
Il figlio Augusto inizialmente scampò al rastrellamento operato il 16 ottobre. Tuttavia in seguito a una delazione fu arrestato a Roma il 16 aprile 1944. Imprigionato nel carcere di Regina Coeli fu consegnato ai tedeschi che lo trasferirono nel campo di raccolta di Fossoli, ubicato a Carpi in provincia di Modena, per essere deportato ad Auschwitz. Partì da Fossoli il 26 giugno 1944 con il convoglio numero 13 e giunse nel campo di sterminio il 30 giugno 1944. Venne successivamente trasferito nel campo di Gross-Rosen (odierna città di Rogoźnica in Polonia) a 60 chilometri da Breslavia, dove i prigionieri venivano sfruttati come lavoratori presso industrie di prodotti chimici e materiale bellico. Il campo fu liberato dall’Esercito russo il 14 febbraio 1945 ma Augusto, evidentemente debilitato e ammalato, morì poco tempo dopo, il 19 marzo 1945.
Solo Andreina Efrati, l’altra figlia di Marco Giacomo Giuseppe e Clara Barroccio, è sopravvissuta alla Shoah assieme al marito e alle sue due figlie.
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Foto e dati biografici tratti da: http://digital-library.cdec.it/cdec-web/
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Cfr. E. Di Vito, F. Di Giorgio, L’odissea degli Internati Militari Italiani della provincia di Frosinone nell’inferno del Terzo Reich, Cdsc-Onlus, Cassino 2017; Robert Schomacker, Quanto si sa di un passato ebraico a Cassino? Spunti per l’apertura di una storia mai ricercata, Cdsc-Onlus, Cassino 2011; Domenico Cedrone (a cura di), Gli ebrei internati a San Donato V. C. (FR) 1940-1944, Cdsc-Onlus, Cassino 2010.
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