Ancora morte nel dopoguerra. Rosato Capitanio e la preziosa opera degli sminatori nel Cassinate

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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 3
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di Giovanni Petrucci

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Siamo a fine marzo 1945, ma già si fa sentire il caldo, un caldo certo sopportabile. Sotto il Comune hanno riattivato la fontana a due cannelle e possiamo bere a piacimento l’acqua fresca.

Molti miei compaesani sono riuniti in crocchi in Piazza Risi dal Bar di Antonio, gliu postiere, a quello di Elia, gliu capone. Si commentano gli avvenimenti del giorno.

All’imbrunire cominciano a rientrare i contadini dalla campagna, con la zappa e la roncola poggiata sulla giacca piegata alla sinistra: il loro incedere è lento ed affaticato.

Più tardi, tutti si voltano verso il Riomacchio: sale lentamente il camion americano, il dodge a dieci ruote, che riporta gli sminatori1. È stracarico, con tante mani che si agitano salutando e le aste dei detectors che fuoriescono dalle sponde. Cantano e la voce, portata dal venticello della sera, giunge fino a noi:
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Aprite le porte

che entrano

che entrano gli sminatori;

hanno l’animo forte

hanno l’animo forte

non temono la morte…
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Sono quasi tutti giovani e portano una ventata di allegria, se allegria si può definire quella che aleggia nei nostri volti. Dal gennaio del 1945 vivono in Sant’Elia, in quanto a Cassino imperversa la malaria. Si riuniscono e consumano lietamente la cena alla trattoria di Luigi Facchini, alzando un vociare assordante; forse sono alloggiati anche nel palazzo Gagliardi vicino: di solito si trattengono nel piccolo atrio del Bar e lo affollano; affollano tutta la piazza che termina ai gradini della Chiesa di S. Maria Nova, che vive in certe ore della giornata un’animazione insolita; non di rado rendendo difficoltoso il passaggio.

Sono gioviali, sempre sorridenti e vogliono sminare anche dal nostro intimo in tutti i modi le angosce dei lutti e delle privazioni.

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Il «Club ‘dei’ sminatori» a S. Elia Fiumerapido e alcune pitture murali dell’interno.

Un sabato di ottobre dello stesso anno allestiscono uno spettacolo, ripetuto la domenica, nel seminterrato di ‘Gnora Giulia, in Via 4 Novembre. Ripuliscono per bene i locali, che avevano ospitato qualche anno prima soldati francesi durante le battaglie di Cassino, abbelliscono le pareti con silhouettes ottenute con spolvero di vari colori sulle pareti, costruiscono una sorta di mini palcoscenico con cassette di ferro vuote di munizioni in fondo e nel tardo pomeriggio si può assistere finalmente allo spettacolo. È affollatissimo di molti santeliani in piedi ed attenti ad ogni battuta.

Diviene divertente, specialmente quando compare un angelo con la mano aperta e tesa, nella quale, dal fondo del coperchio di un barattolo, si leva una fiamma da gocce di benzina precedentemente versate. Improvvisamente la ritrae e prende fuoco il lenzuolo nel quale l’attore improvvisato è avvolto. Il fuoriprogramma inaspettato genera ilarità spontanea e il terzo atto si conclude con un battimani irrefrenabile.

Escono la mattina presto per raggiungere la Cassino-città e i paesi vicini, ma per lo più in questo inizio primavera si recano a S. Angelo in Theodice, dove, lungo gli argini della profonda corrente del Gari, qualche anno prima la battaglia per l’attraversamento del fiume costò agli Americani della Texas la perdita di circa duemila uomini.

Nei campi della riva sinistra sono sepolti mimetizzati nella terra gli ordigni: qui gli sminatori lavorano febbrilmente e con massima concentrazione.

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Altre pitture murali del Club. «Cerca Con Ansia Ma Non Trema».

Li hai visti qualche volta all’opera?

«Sì, a lato della strada Sferracavalli, che porta al mio paese, nei pressi della Trattoria Gaetanella».

Dividono il terreno loro assegnato all’inizio della giornata, ampio quanto la metà di un campo sportivo con diverse fettucce bianche di un paio di metri di larghezza e una cinquantina di lunghezza. Piantano alle estremità dei paletti e allungano lateralmente dei nastri bianchi ben visibili.

Ad ogni artificiere viene assegnato un settore situato a distanza di sicurezza dal vicino ed egli può operare adagio, spostandosi di un palmo alla volta, procedendo lentamente con il metal detector, simile ad un piatto posto alla estremità di un bastone e collegato ad una cuffia aderente alle orecchie; lo fa scivolare delicatamente sulla superficie. Quando sente il sibilo, è il segnale che in profondità è stato sotterrato il congegno micidiale, allora occorre la sua abilità: egli deve osservare attentamente, avere il fiuto di un segugio insuperabile, l’intuito eccezionale; infila nel terreno obliquamente un ferro sottile come un’asta di ombrello e sente a quale profondità si trova, evitando di toccare l’innesco, che deflagra con la pressione anche di una ventina di chilogrammi; toglie poi il materiale che vi è sopra, usando la massima cautela. Se la mina si è ossidata col tempo, il pericolo diviene maggiore.

Non deve essere incerto, ma procedere con sicurezza: un minimo errore produce lo scoppio!

La sera del 1° e del 2 marzo 1945, noi ragazzi aspettiamo con ansia il loro arrivo Fuorilaporta, ma tardano; finalmente li vediamo saltare dal pianale stanchi, inavvicinabili, stravolti e tutti con gli occhi appiccicosi. Sappiamo che sono morti nelle campagne di S. Angelo in Theodice due loro compagni.

Tre anni dopo, il 17 marzo 1948 si ripete l’analogo ritardo che avevamo ormai dimenticato. Scendiamo fino al ponte del Rio Macchio per precederli con fare festoso in un breve tratto di strada fino alla piazzetta di Santa Maria Nova: è una maniera per dimostrare la nostra amicizia; ma sappiamo subito che è avvenuta la solita inenarrabile tragedia per tutti noi assai dolorosa, perché conoscevamo il giovane.

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Sminatori deceduti a Cassino
(Civili militarizzati della B.C.M., Bonifica Campi Minati)2:

Qualifica Cognome, nome, data di nascita Località, data infortunio
1) Rastrellatore

2) Rastrellatore

3) Rastrellatore

4) Rastrellatore scelto

Buione Sebastiano, 16.5.1909, S. Angelo in Theodice, Sassari

Girasoli Angelo, 3.10.1911, Firenze

Ronchetti Silvestro, 29.3.1926, Roma

Capitanio Rosato, 22.10.1923, S. Angelo in Theodice

S. Angelo in Theodice, 01.03.1945

S. Angelo in Theodice, 02.03.1945

S. Angelo in Theodice, 02.03.1945

S. Angelo in Theodice, 17.03.1948

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In paese, ad Olivella e a Valleluce, a causa proprio dello scoppio delle mine traditrici, interrate durante la costruzione della linea Gustav, morirono molti contadini dopo l’immediato rientro dallo sfollamento, mentre con lena affannosa tentavano di dissodare i campi. Da noi, nei territori montuosi non arrivarono gli sminatori, né un lungimirante si preoccupò di avvertire, di dare istruzioni del caso. Le vicende luttuose erano frequenti; molti ancora oggi portano i segni di quanto accadde. Non furono date con immediatezza le dovute informazioni; queste arrivarono in ritardo, quando da anni funzionavano le scuole; alle pareti delle aule vennero attaccati grandi manifesti.

Le accuratissime fortificazioni lungo lo sbarramento, realizzate in ogni particolare dai Tedeschi a partire da monte San Martino fino ai terreni intorno a Cifalco, Terelle arrecarono tanti lutti agli ignari, che si affaticavano a riprendere le loro attività abituali, interrotte per nove mesi dall’infuriare della battaglia.

A Sant’Elia, oltre ai cinquecento civili scomparsi durante l’infuriare dei combattimenti, perirono, al rientro dallo sfollamento, quando si doveva essere al sicuro, diciassette contadini, 2 del Centro, 4 di Olivella e 11 di Valleluce, per i quali le famiglie forse non ebbero dallo Stato nessun indennizzo.

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Civili deceduti per lo scoppio di mine a Sant’Elia Fiumerapido:

Sant’Elia centro:

1) Arpino Raffaele
2) Cuozzo Giovanni
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Olivella:

1) Di Ponio Giuseppe
3) Fortuna Michele
2) Fortuna Luigi
4) Valente Domenica

Valleluce:

1) Di Cicco Antonio
2) Di Cicco Nicola
3) Fella Francesco
4) Palombo Pasquale

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5) Persechini Antonio
6) Persechini Ferdinando
7) Rizza Benedetto
8) Soave Angelo

 

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9) Soave Aniello
10) Soave Domenico
11) Soave Donata
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Rosato Capitanio, rastrellatore scelto.

La sera del 17 marzo 1948 si diffonde la notizia della fine straziante del nostro compaesano, Rosato Capitanio: una mina impietosa…

È sicuro che la sciagura è avvenuta in Sant’Angelo in Theodice, in Colle San Germano.

Ormai lo dicono tutti. Riferiscono pure che mamma Giuseppina, una contadina del campo vicino, lo ha salutato qualche attimo prima della disgrazia; rimasta colpita dal suo fare aperto, gioviale, gli mostra tutta la sua riconoscenza per quanto sta operando nel terreno vicino per eliminarne le insidie.

Si riconosce fra mille, robusto come è, aitante, con le spalle squadrate, lento nel sorriso che accompagna con brevi colpi di tosse, una nota caratteristica dei Capitanio, mentre socchiude sveltamente gli occhi.

È circa mezzogiorno: i giovani colleghi vicini gli fanno segno di dover staccare per andare a pranzo; lui risponde che sta per finire la pulitura dell’involucro delle mine: sono due collegate da fili sottili e la prima è coperta da legno; le ha messe tutte completamente fuori e intende ultimare il lavoro prima della sospensione, per non commettere poi imprudenze alla ripresa del lavoro. Alcune sono appese agli alberi, in punti impensabili ed assai pericolosi, perciò occorre essere previdenti.

Sono mozziconi di tubo di ferro del diametro di una decina di centimetri e alti poco più con innesco a pressione. Se non che questo gruppo micidiale è collegato con un altro ordigno più distante mediante un filo a strappo di nuova invenzione rimasto sotto terra da tanti anni ed ormai invisibile per l’incrostazione del terriccio.

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Rosato Capitanio.

Le prime due mine dalla terra fresca ammucchiata dove sono state dissepolte, a causa del peso di circa cinque chilogrammi ognuna, scivolano inaspettatamente tirando il collegamento invisibile con la terza e il trascinamento determina lo scoppio; così Rosato se ne vola via in alto. È un eufemismo, perché la vera descrizione con parole scritte non si può stendere. Cesare3 nel riferirmi quanto vide qualche minuto dopo, all’uscita dalla scuola, a settanta anni di distanza, si pone le mani sugli occhi per nascondermi il suo raccapriccio: si commuove e per attimi ammutolisce e resta immobile.

Il fratellino Antonio, sfuggito all’attento controllo della mamma, tutta presa nell’impastare il pane, si trova proprio nei pressi dell’esplosione e rimane sepolto sotto la terra innalzatasi e piovutagli addosso; il peso del mucchio e lo spavento lo bloccano nei movimenti. Le parole strazianti della madre gli rintronano ancora oggi nella mente:

– vivo, è vivo!

Ma Rosato no!

I colleghi sono presi dal panico: gridano, piangono; accorrono persone e si fermano vicino al nastro bianco. Passano minuti interminabili, ritrovano, devono ritrovare coraggio e si accingono a ricomporlo, spostandosi di qua, di là all’intorno.

È la ricostruzione dell’accaduto del Maresciallo, ospite al Bar di Luigi, cui si deve prestare fede, dato che è un esperto; ripete sempre che Rosato, un «Rastrellatore Scelto», è uno dei migliori del reparto: lo avrà indotto in errore una mina di ultimo tipo celata in contenitore, una di quelle micidiali a strappo, collegate con altre e nascoste nel terreno4.

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In alto Rosato Capitanio. A destra la lapide di marmo

Ripete sempre a noi ragazzi che ci fermiamo a sentirlo con piacere perché ha l’accento romanesco:

«Il lavoro degli sminatori è pericoloso. Essi si adoperano con il cuore, per dare a voi sicurezza di poter vivere in queste plaghe dove si è combattuto. È una missione!

Escono la mattina presto e non sanno se rientreranno la sera. La paga è alta, ma questa non corrisponde al rischio».

Zia Giuseppina piange, piange anche in cucina quando si sposta da un punto all’altro dei fornelli nell’approntare il pranzo al marito ed esso resta sul tavolo coperto da un piatto fino al giorno seguente. Il fuoco è spento sotto il camino, le sedie restano immobili: non si sente più rumore in tutta la casa. Il lutto zittisce di dentro e di fuori!

I colleghi fanno costruire in travertino una piccola croce dal marmista Pinchera di Cassino e una lapide di marmo dove viene inciso il nome e le cementano proprio in fondo dell’angolo del campo.

Nel corso degli anni il terreno è stato arato varie volte, e i contadini di altra contrada hanno spostato i sacri cimeli ponendoli in fondo ad un fossato, in un luogo non più visibile.

Così nemmeno più i passanti sanno del tuo sacrificio!

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Si coglie l’occasione per osservare che sarebbe doveroso erigere un monumento, o porre una lapide, o almeno mettere a dimora un albero nei Giardini Pubblici, per ricordare le decine di lavoratori strappati a noi per ricostruire Cassino e i paesi vicini; o almeno fare un elenco completo delle vittime per evitare che la “forza operosa” del tempo “involva” ogni cosa.

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NOTE
1 Su una particolare riconoscenza, quella di stampo poetico, rivolta alla categoria degli sminatori per il loro prezioso ma pericoloso lavoro svolto nel Cassinate, ma in generale in tutt’Italia, cfr. G. de Angelis-Curtis, Quando la storia si fa poesia: dall’orrore della guerra e dal sacrificio degli sminatori l’auspicio in versi per una pace duratura, in «Studi Cassinati», a. X, n. 2, aprile-giugno 2010, pp. 109-111.

2 www.onorbcm.it/ElencoCadutiBCM.asp:Caduti Civili Militarizzati. Nella zona di Cassino rimase gravemente ferito Carmine Pastore, geniere della 561ª Compagnia autonoma rastrellamento, nato il 6/01/1921 a Baronissi (Sa) e deceduto presso l′ospedale militare di Napoli il 21/02/1945.

3 È il prof. Cesare Secondino, proprietario del terreno; allora aveva pochi anni e frequentava le elementari. All’uscita dalla scuola sentì un boato tremendo che tuonò nel cielo ed accorse, contribuendo alla ricomposizione.

4 Forse è una Z.Z.35 (a strappo). Viene innescata da una spoletta a pressione: bastano una ventina di chilogrammi per causare lo scoppio; è inoltre dotata di alcune antenne di una decina di centimetri; esplode all’altezza di un uomo scagliando orizzontalmente all’intorno una miriade di pallini di acciaio e shrapnel, frammenti di ferro; l’ordigno è letale nel raggio di venti metri e può procurare danni anche oltre.

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