Dalla cultura di nicchia al populismo

«Studi Cassinati», anno 2019, n. 4
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di Francesco De Napoli*

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Fin dagli anni del Ginnasio fui un appassionato frequentatore del Centro Servizi Culturali (C.S.C.) di Cassino, dove mi recavo, nelle ore libere, quasi ogni pomeriggio. Occorre ricordare che i Centri Servizi Culturali sorti in svariate realtà del Centro-Sud erano finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ). La struttura operò nella Città Martire dal 1967 al 1973, ossia fino a quando, a partire dal dicembre 1972, tutti i C.S.C. esistenti nel Mezzogiorno d’Italia furono trasferiti alle regioni a statuto ordinario, istituite nel 1970. A loro volta, le regioni ne affidarono la gestione ai rispettivi Comuni. Il C.S.C. di Cassino, una volta passato all’Amministrazione Comunale, fu ribattezzato «Biblioteca Comunale», la quale, nel 2005, venne intitolata all’ex-sindaco Pietro Malatesta. Il passaggio di gestione causò non pochi problemi ed incognite, in primis ai danni del personale dipendente – che fu sostituito con altri impiegati -, ma anche per gli ordinari habitués del C.S.C., i quali prediligevano proposte culturali di ben altro stampo. Riguardo a quella contrastata transizione, durante la quale l’intera struttura rimase a lungo chiusa al pubblico, ho pubblicato diversi saggi e articoli. Cito un passaggio dal pamphlet Per una cultura del libro:

«Sulla Biblioteca gravava, nel periodo più cupo della contrapposizione politica D.C.-P.C.I., un’atmosfera molto pesante, o comunque assai chiacchierata, dovuta al recente cambio di gestione della Biblioteca stessa. Un passaggio assolutamente traumatico stabilito da una recente delibera del C.I.P.E., in base alla quale tutti i Centri Servizi Culturali sorti nel Mezzogiorno d’Italia dovevano passare, per motivi di gestione, dalla Cassa per il Mezzogiorno alle rispettive regioni di appartenenza (…) Fioccarono denunce, ricorsi al TAR, polemiche, risentimenti, finanche scioperi e prese di posizione sindacali»1.
Ma quella catena di ricorsi, a colpi di carta bollata, mosse soprattutto i sindacati coinvolti ma, in ultima analisi, i soli addetti ai lavori, i quali si lamentarono per anni d’essere stati abbandonati al loro destino. La città ne rimase assolutamente estranea e indifferente.
Di recente su «Studi Cassinati» è stato pubblicato l’interessante studio di Francesco Di Giorgio: Le politiche culturali della Cassa per il Mezzogiorno. Il Centro Servizi Culturali di Cassino: un’esperienza dimenticata?2. Il giudizio finale formulato dall’autore è duro e severo: «Nel 1973 il Centro Servizi Culturali di Cassino fu decentrato dalla Regione Lazio e le funzioni assegnate al Comune di Cassino. Fu la fine di una eccellente esperienza, ma fu la fine anche della biblioteca che da allora ha smesso di essere elemento propulsore della vita culturale della città e del territorio»3.
È fuori discussione l’«eccellenza» qualitativa del pionieristico servizio bibliotecario offerto agli utenti dal C.S.C., specie ove si consideri che il Centro era nato da poco. Il patrimonio librario, pur non essendo molto ampio, veniva potenziato di continuo attraverso l’acquisto delle più valide e impegnative novità librarie. Le numerose iniziative realizzate – che Di Giorgio elenca nei dettagli – non soltanto erano di primissimo piano, ma si ponevano come un fattore di “controinformazione” e di “rottura” in un ambiente di provincia abbastanza chiuso e retrivo qual era la Cassino uscita dalla guerra. Ma se questo risultato fu effettivamente raggiunto, è tutto da vedersi.
Il problema, in effetti, è un altro. Per capire veramente cosa avvenne in quegli anni nella Città Martire e nelle località limitrofe coinvolte, occorre esaminare la “temperie” nonché il “contesto” umano, sociale e culturale nel quale si consumò la tormentata vicenda del Centro Servizi Culturali.
Anzitutto, l’aver collocato il C.S.C. al primo piano d’un palazzo condominiale di Largo Dante – come ricorda Di Giorgio – diede subito, ai più, l’impressione d’un esclusivo circolo ad uso d’una élite di studiosi. Sin dal primo momento, l’impatto del C.S.C. con la realtà cassinate fu alquanto infelice. Mi risuonano ancora nelle orecchie i commenti negativi che venivano fatti per strada e tra i miei compagni di liceo, allorché provavo a parlarne. Il Centro era considerato un “covo di comunisti” – si perdoni la cruda espressione –, e per una città come Cassino, all’epoca dominata da una Democrazia Cristiana smaccatamente sbilanciata a destra, portare avanti discorsi culturali come, ad esempio, la Legge Basaglia sulla volgarmente detta “chiusura dei manicomi”, costituiva una insopportabile provocazione.
Come qualcuno ricorderà, io ero annoverato tra i più assidui utenti del servizio librario del C.S.C., ed inoltre un ospite fisso dei cicli di convegni e cineforum tenutisi presso quella sede, al punto che, se qualche volta mancavo all’appello, nei giorni successivi venivo subito redarguito: «Perché l’altra sera non sei venuto alla conferenza?». Eravamo “pecore contate”, e ciò mi dava terribilmente fastidio.
Si trattava di iniziative di innegabile valore al di là del modo di pensare dei singoli, epperò nettamente volte a diffondere idee e progettualità spiccatamente di sinistra. Anche il pubblico era formato, quasi sempre, da piccoli gruppi di persone note per il loro impegno a sinistra. Di conseguenza la città di Cassino, con le sue decine di migliaia di abitanti, si manteneva lontana, se non diffidente e ostile, da quell’appartamento di Largo Dante. Certo, la stampa locale si occupava con dovizia di particolari di ognuna di quelle iniziative, ma in Italia chi legge i giornali?
Il paradosso è che la sinistra, che si è sempre sforzata di parlare a nome dei ceti più disagiati, ogni volta che ha sollevato discorsi un po’ più elevati e complessi, ha finito per interloquire e interagire con delle “nicchie” di intellettuali. Ciò perché, a decidere per noi, è il “substrato” socio-culturale e ambientale nel quale ci muoviamo.
Con la nuova gestione della struttura, la musica cambiò completamente, e vedremo come. Nei primi mesi del 1979 il sottoscritto, assunto al Comune di Cassino ai sensi della Legge ex-285/1977, apprese da alcuni colleghi, con sua grande sorpresa, che nessun dipendente del Comune era disposto ad essere trasferito e a prendere servizio in Biblioteca. Ciò per un motivo banalissimo: in Biblioteca si lavorava anche, e soprattutto, nelle ore pomeridiane di tutti i giorni feriali, mentre normalmente negli uffici comunali si era occupati solo di mattina. Una triste metafora circa lo “status” della cultura nella Città Martire. A quel punto, mi offrii volontario per essere trasferito in Biblioteca, proposta che fu immediatamente accolta. Ne parlai in un articolo pubblicato sul quotidiano «L’inchiesta»:
«Nel 1978, assunto alle dipendenze del Comune di Cassino e assegnato alla Biblioteca Comunale, chi scrive venne coinvolto in prima persona nella realizzazione di importanti iniziative culturali, alcune molto impegnative, indette dall’Assessorato alla Cultura. Immediatamente lo scrivente, grazie alla circostanza di operare all’interno delle istituzioni, ebbe la netta percezione del pesante clima culturale che si respirava in città: egoismo, rivalità, narcisismo, alterigia, superficialità e improvvisazione regnavano incontrastate finanche tra gli stessi aderenti alle varie associazioni culturali. Gli atteggiamenti di reciproca diffidenza erano esasperati dal fatto che ancora non s’erano spente le polemiche provocate dal traumatico passaggio di gestione della struttura (…) Un cambiamento emblematico ed epocale che, in nome dell’establishment, segnò la fine di ogni aspirazione di cambiamento in senso popolare e ‘gramsciano’. Fu quello un cruciale periodo di transizione politico-culturale nella storia recente non solo del Lazio Meridionale, ma dell’intero Mezzogiorno d’Italia4.
In seguito, volli approfondire la questione in un intervento apparso sulla rivista «Storia, antropologia e scienze del linguaggio»:
«(…) Questo momento segnò una ulteriore fase in cui avvenne una vera e propria scelta di campo, non saprei dire se in maniera deliberata e razionale, o invece sotterranea e strisciante. Dovendo dare una risposta alla cittadinanza, si fece in modo che la Biblioteca (…) dovesse svolgere un ruolo diverso, da intendere come generico centro di aggregazione per lo svolgimento di manifestazioni di varia natura. (…) La vecchia sede di Via Lombardia, e successivamente quella di Via Tommaso Piano, cominciarono ad ospitare non tanto iniziative culturali in senso stretto, quanto raduni nel migliore dei casi ricreativi (…) L’attuale sede di Via del Carmine, collocata al piano terra dell’ex-Cinema Teatro Arcobaleno, ricalca sostanzialmente questo tipo di impostazione»5.
In definitiva, rispetto agli intellettualismi del Centro Servizi Culturali, l’andazzo si capovolse: anziché l’impegno, il disimpegno; al posto della cultura di nicchia, il populismo. Ma anche così, i cittadini seguitarono a rimanere estranei ad eventi di cui avvertivano solo la forte carica di esibizionismo narcisistico da parte degli organizzatori. Si è trattato quasi sempre di manifestazioni sentite non come espressione diretta e autentica della realtà locale, né come problematiche a più ampio raggio che potevano riguardare anche il territorio. E non fa differenza se nella saletta al primo piano di Largo Dante si riunivano al massimo una cinquantina di persone (tra coloro che trovavano posto a sedere e chi rimaneva in piedi), mentre la Sala Polivalente d’un ex-cinema (l’ex-«Arcobaleno») può ospitarne oltre un centinaio. Una Sala Multiuso per l’appunto destinata a qualsiasi uso, sovente disordinato e confuso:
«Non di rado si verificano scoppiettanti scaramucce fra i beneficiari della Sala, ad esempio tra i pittori da una parte e i conferenzieri dall’altra (…) Al di là del cancan messo in atto, i fruitori del prodotto culturale rimangono gli stessi attivisti, che sono sempre le stesse persone; ciò nonostante, tra costoro non sboccia mai un positivo feeling…»6.
Mi sono soffermato più volte intorno al concetto, oggi tanto di moda, di “sala polivalente”. In uno studio che è tutto un programma, intitolato Il punto sulle biblioteche pubbliche in Italia, compii una ricerca approfondita prendendo in esame, tra l’altro, gli aspetti logistici delle numerose biblioteche sparse per la Penisola che avevo frequentato. Il proverbio “mal comune, mezzo gaudio”, stavolta mi fu di conforto:
«(…) Nei comuni più grandi, ci si sforza talvolta di realizzare decorose strutture dotate di ampie e accoglienti sale: qui però l’inghippo è un altro… Frequentando biblioteche del genere, ci si rende conto che la suddivisione e disposizione dei locali risponde, in maniera inequivocabile, ad altri tipi di scelte certamente discutibili e pacchiane. Si verifica, infatti, che mentre la Sala Lettura e il cosiddetto Magazzino libri sono sacrificati in spazi ristretti, la Sala Convegni – il più delle volte ribattezzata Sala Polivalente – è di dimensioni enormi, grande quasi come un auditorium. Tutto ciò ha una spiegazione: l’indirizzo prevalente assegnato alla struttura intende privilegiare le attività alternative e parallele, a discapito del servizio librario in senso stretto»7.
Riguardo al servizio librario, il “nuovo corso” comunale, volente o nolente, dovette provvedere – sia pure con il contagocce – all’acquisto di nuovi volumi. Così, se il patrimonio librario ereditato dall’ex-C.S.C. ammontava a circa 5.000 volumi, la dotazione attuale, tra acquisti e donazioni, conta non meno di 16.000 volumi. Certo, in oltre quarant’anni di gestione l’aver appena triplicato la quantità di testi posseduti è davvero poco, ma sussistono i problemi di spazio sopra evidenziati, riconducibili al vizio di fondo di privilegiare la Sala Polivalente nel suddividere la superficie totale disponibile.
L’attuale degrado populistico – a livello nazionale e locale – fu preconizzato non di rado nel corso dei dimessi incontri che ebbero luogo nella sede C.S.C. di Cassino. Ma ad ascoltare quei preziosi insegnamenti era la solita cerchia di appassionati, impotente di fronte all’inarrestabile processo involutivo della società:
«Spesso mi capita di ricordare i tanti convegni che, sul finire degli anni Sessanta, si svolgevano nel Centro Servizi Culturali di Largo Dante. Molti autorevoli relatori erano soliti illustrare, con profetica lungimiranza, il qualunquistico decadimento etico-culturale che si sarebbe verificato nel nostro Paese, di lì a qualche anno, qualora non si fosse riusciti ad educare i cittadini ai superiori valori di umanità, umiltà, spirito di sacrificio e comprensione reciproca»8.

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* Volentieri «Studi Cassinati» ospita la riflessione del dott. Francesco De Napoli sollecitata dall’articolo di Francesco Di Giorgio sull’esperienza del Centro servizi culturali di Cassino.
1 F. De Napoli, Per una cultura del libro, Edizioni Eva, Venafro, 2003, p. 52.
2 F. Di Giorgio, Le politiche culturali della Cassa per il Mezzogiorno. Il Centro Servizi Culturali di Cassino: un’esperienza dimenticata?, in «Studi Cassinati», anno XIX, n. 2, aprile-giugno 2019.
3 Ibidem.
4 F. De Napoli, La questione culturale e gli anni dei Centri Servizi Culturali al Sud, in «L’inchiesta», Quotidiano del Lazio Meridionale, anno V, n. 188, sabato 27–domenica 28 settembre 2014.
5 F. De Napoli, La Cultura a Cassino. Noterelle di varia umanità, in «Storia, antropologia e scienze del linguaggio», Domograf, Roma, anno XXV, fasc. n. 1, 2010.
6 Ibidem.
7 F. De Napoli, Il punto sulle biblioteche pubbliche in Italia, in «Il piede e l’orma. Contaminazioni meridiane», Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, anno IV, n. 7, gennaio-giugno 2013.
8 F. De Napoli, La questione culturale e gli anni dei Centri Servizi Culturali … cit.

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