La strage di Reali a Sant’Andrea del Garigliano

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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 1-2
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di Costantino Jadecola

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Sant’Andrea del Garigliano in una vecchia immagine.
Sant’Andrea del Garigliano in una vecchia immagine.

Reali, a Sant’Andrea del Garigliano, è un piccolo borgo posto quasi all’imbocco della valle del Garigliano.

Posizionato sulle più basse pendici dei monti Velscini, nello specifico di monte Garofano, altrimenti noto come monte Girofani, è a meno di un chilometro dal fiume, che scorre più in basso, ad una distanza di molto inferiore dalla anacronistica strada che mena alle terme di Suio e oltre.

Il centro «vitale» è oggi, ma probabilmente lo era anche ieri, uno spiazzo in parte delimitato da qualche nuova costruzione alternata a scorci edilizi testimoni di altri tempi ma per lo più aperto a mezzogiorno verso la campagna dove, fruendo di questo sfondo naturale, è stato posizionato un monumento in marmo di Coreno per ricordare le sei vittime di una strage che si era consumata nelle immediate vicinanze sul finire del mese di aprile del 1944.

Stando alle date incise sul monumento in corrispondenza dei nomi delle povere vittime, tre di esse sarebbero state uccise il 28 aprile 1944 e altre 3 il successivo giorno 30. Ma perché questa diversità di date? Forse, per un errore dipendente dalla originale errata trascrizione nei registri comunali avvenuta in quei caotici giorni del dopoguerra.

In realtà, la strage si sarebbe esaurita in un unico, tragico atto.

Almeno questo sarebbe un dato certo. Quanto al resto, pare di capire che i tedeschi fossero convinti che le vittime proteggessero qualcuno cui essi tenevano in modo particolare. Cosicché, di fronte all’ennesimo rifiuto, era scattata la rappresaglia che aveva avuto come scenario la cucina di una casa prossima allo spiazzo. Forse era il 30 aprile – valli a ricordare certi particolari nel contesto di una tragedia – e, comunque, doveva essere intorno all’ora di pranzo, dal momento che la polenta era ormai quasi al punto giusto per essere ‘servita a tavola’, quando si compì la strage.

Una sventagliata di mitra e la partita era stata chiusa.

Un fatto sconcertante al quale, nonostante i tempi, si interessò anche qualche giornale che, tra gli altri, ne rese partecipi alcuni sfollati del luogo che le vicende di guerra avevano catapultato nella lontana Calabria.

Poi, ma non si sa né quando né chi, qualcuno, dopo aver scavato una grossa buca nel luogo dove oggi è il monumento, si era preoccupato di seppellire gli sventurati.

Il monumento alle vittime della strage.
Il monumento alle vittime della strage.

Solo mesi dopo, nell’autunno del 1944, si fu nella condizione di poterne verificare il suo contenuto. E, in un clima che non è difficile immaginare, riemersero i corpi di due uomini e quattro donne, quasi tutti piuttosto avanti negli anni: Caterina Casale (64 anni), Filippo D’Alessandro (72), Federico Grossi (71), Maria Antonia Grossi (42), Cristina Reale (72) e Domenica Rossi (79).

All’«appello», però, mancherebbe una persona. Una bambina: Maria Domenica Reale, sui 4 anni, figlia di Luciano e di Maria Antonia Grossi il cui cadavere, come testimonia chi questa storia aveva sentito da chi era presente, venne trovata con le mani alzate che reggono il grembiule quasi a voler evitare di guardare la morte negli occhi. Che sua figlia Maria Domenica fosse della partita, era una cosa data per scontata visto che, al momento della tragedia, era di sicuro con lei. Del resto, negli atti ufficiali risulterebbe che Maria Domenica Reale, nata il 12 novembre 1940, sarebbe deceduta il 28 aprile 19441. Ne consegue che la disperazione del papà, a quel punto, viene in un certo senso attenuata da quella che per lui è una vera e propria sorpresa.

Se il corpo di Maria Domenica non c’è, allora la bambina che fine ha fatto?

Passano gli anni ed è solo intorno al 1950 che, grazie a circostanze occasionali, s’intravede un barlume di speranza.

A quel tempo, una donna del luogo, Letizia Galasso, è ricoverata presso l’ospedale di Sora. Al fratello Francesco, che va a trovarla, racconta che, parlando di cose di guerra con altri degenti, era venuta a sapere da una donna di Trivigliano, sua vicina di letto, che la bambina scampata all’eccidio di Reali era viva e si trovava a Roma.

Ma come mai? Sarebbe accaduto che un soldato tedesco, che forse era con quelli che avevano ucciso, notata la presenza della bambina sul luogo del delitto, forse le avrebbe evitato di assistere alla tragedia e se ne sarebbe successivamente preso cura affidandola infine ad una famiglia di Trivigliano con l’intento di passare a riprenderla, una volta finita la guerra, per portarla con lui in Germania.

La famiglia cui la bambina era stata affidata, che il tedesco pare avesse presentato con il nome di Vanna Shulza, si confidò con un sacerdote il quale consigliò che la cosa migliore da fare era quella di affidare Maria Domenica ad un orfanotrofio, come di fatto sarebbe poi avvenuto.

Ma il sacerdote ne parlò anche ad una sua sorella che aveva appena perso una figlia in giovane età, la quale, con il marito, fu ben felice di poter conoscere Maria Domenica e quindi, una volta espletate le formalità del caso, di adottarla.

Alla luce di queste informazioni, Luciano Reale si attiva incontrando, infine, la sua Maria Domenica che riconosce anche per via di una disfunzione che la bambina aveva ad un dito: i tempi erano quelli che erano e, visto che la figlia stava bene e non le mancava niente, Luciano preferì lasciarla dove era.

Almeno secondo le informazioni raccolte a Reali, le cose sarebbero andate più o meno così come sono state raccontate.

Ma chi era la persona cui le sventurate vittime della strage di Reali avrebbero assicurato la loro protezione pagando con la vita? Si era pensato a qualche spia nemica o, comunque, a qualcosa del genere, ma sempre brancolando nel buio, fino a quando il caso ha voluto che ci si imbattesse in un articolo2 di «Stampa Sera» risalente al 1950 che dell’intera vicenda offre una versione di tutt’altro genere, come già dal titolo si capisce: Contesa fra il padre e i tutori una bimba dispersa a Cassino.

«Una romanzesca vicenda avrà a giorni il suo epilogo al Tribunale di Cassino: un padre afferma di avere riconosciuto la sua figliola, che credeva trucidata dai tedeschi, in una bimba adottata da una ricca famiglia della provincia di Frosinone, trasferitasi a Roma. La storia si inizia nel febbraio del 1944. Durante la battaglia di Cassino fu catturato dai tedeschi il partigiano Luciano Reale; questi però riuscì a fuggire e i tedeschi uccisero per rappresaglia tutta la sua famiglia. In una profonda buca scavata in un orto adiacente la sua abitazione, Luciano Reale trovò nell’autunno del 1944 le salme dei suoi cari. Egli era certo che anche la sua bimba di 4 anni, la piccola Maria Domenica, fosse stata uccisa, e fece ogni sorta di ricerche per ritrovarne la salma. Dopo qualche tempo si venne a sapere però che un ufficiale tedesco aveva affidato la bimba al vescovo di Alatri, e da questi Maria Domenica era stata data in tutela alla famiglia Lazzari. Il padre veniva dunque a Roma, dove nel frattempo si era trasferita la famiglia Lazzari, e si trovava finalmente alla presenza della sua bimba, che ha ormai dieci anni. Ma il Lazzari e sua moglie, affermando che la bimba non era stata loro consegnata dal vescovo di Alatri come una ‘dispersa’, esigevano una prova inconfutabile prima di affidarla a colui che asseriva di esserne il padre. In un lungo e drammatico colloquio con la bimba e con i benefattori di lei, il Reale non potette in alcun modo fornire la prova richiesta e così ha dovuto rivolgersi al Tribunale di Cassino per richiedere l’istruzione di una pratica. Il Lazzari sostiene dal canto suo che la bimba affidata alla sua tutela non è la figliola di Luciano Reale».

La vicenda della bambina fu un boccone ghiotto specie per i giornali della sera tant’è che essa venne ripresa anche dall’edizione del “pomeriggio” del «Corriere d’Informazione» – Una bimba contesa tra il padre e il benefattore – che ne parlò in questo termini: «Nel febbraio del 1944 i Tedeschi, attestai sulla linea del Garigliano, trucidarono per rappresaglia la famiglia del contadino Luciano Reale che, arrestato durante un rastrellamento, era poi fuggito. Tornato al paese nell’autunno dello stesso anno, il Reale trovò nell’orto la tomba comune della madre, della moglie, del suocero, di una zia e di due altre donne della famiglia. Ritenne che anche la sua bimba di quattro anni, Maria Domenica, fosse stata uccisa, ma ne ricercò invano la salma.

«Dopo qualche tempo una donna del villaggio vicino affermò di aver visto Maria Domenica la quale era stata presa in consegna dall’ufficiale tedesco che comandava il reparto incaricato della barbara rappresaglia. Luciano Reale ricominciò le sue ansiose ricerche e già le aveva abbandonate quando un altro messaggio gli fu portato da una sua vicina di casa che aveva trascorso un periodo di ricovero nell’ospedale civile di Sora.

«Questa donna, tale Letizia Galasso, chiacchierando in corsia con un’altra degente, aveva sentito dire che la famiglia del comm. Filippo Lazzari, da Trevignano (Trivigliano, nda), trasferendosi a Roma, aveva condotto seco una bimba ricevuta in custodia dal Vescovo di Frosinone.

«Il Reale si recò a Roma, in casa del Lazzari, in via Felice Cavallotti 26, e vi trovò la figlia che ha ormai dieci anni.

«Il comm. Lazzari e sua moglie affermarono che la bimba non era stata loro consegnata come un ‘dispersa’ e chiesero una prova inconfutabile prima di affidarla a colui che asserisce di essere suo padre. In un lungo e drammatico colloquio con la bambina e coi Lazzari, il Reale non poté dare la prova richiesta.

«Luciano Reale si è rivolto al tribunale di Cassino per ottenere una sentenza di riconoscimento»3.

Il giorno dopo, lo stesso giornale ritorna sulla notizia chiedendosi stavolta: «La dispersa di Cassino è figlia di due spie austriache?».

E scrive: «La vicenda della bimba contesa tra un contadino cassinate e una famiglia romana si complica ora di una nuova ipotesi: con molta probabilità, la piccina è figlia di due coniugi austriaci fucilati nel 1944 dai Tedeschi per spionaggio.

«La bimba, che conta nove anni e si chiama Giovanna, fu accolta, come si sa, dal comm. Filippo Lazzari, funzionario del ministero della Pubblica Istruzione: egli l’aveva presa in consegna da un Istituto di assistenza.

Nemmeno Giovanna aveva un nome. Nella casa del Lazzari cominciò per lei una vita tranquilla, circondata da persone che le volevano bene e da tre ragazzi più grandicelli che essa imparò a chiamare fratelli.

«Ma ora un uomo che ha avuto la famiglia sterminata dai Tedeschi – Luciano Reale – crede fermamente di aver ritrovato in lei la figliola scampata all’eccidio. E la piccola Giovanna dalla cui tenera mente gli orrori della guerra cancellarono ogni ricordo familiare, non è in grado di giudicare se il Reale sia veramente suo padre.

«Dal canto suo, il Lazzari ha così narrato ai giornalisti la storia della figlia adottiva. Ai primi di marzo 1944 una contadina di vent’anni che viveva in una casupola di campagna presso Tecchiena (Alatri), ebbe la visita di un soldato austriaco che portava in braccio una bimba di tre anni; la piccola indossava una camiciola sudicia ed una pelliccia sbrindellata. Il soldato consegnandola alla contadina, le disse che un suo ufficiale l’aveva trovata nelle campagne di Cassino. Qualche giorno dopo, la contadina, interrogando i soldati tedeschi, seppe che la bambina si chiamava Vilma Schutze, figlia di una coppia austriaca fucilata per ‘intelligenza col nemico’ a Cassino.

Particolare del monumento, con i nomi delle vittime.
Particolare del monumento, con i nomi delle vittime.

«Il vescovo di Alatri, mons. Facchini, intervenne ottenendo che la bambina fosse affidata ad un più sicuro asilo. Ma il comando tedesco del luogo insistette affinché la contadina continuasse a tenerla. Sennonché, dopo qualche mese, fu la contadina stessa ad invocare l’aiuto del vescovo, il quale fece ricoverare la bimba in un asilo delle suore. E qui nel 1945 il comm. Lazzari adottò la bimba che venne chiamata Giovanna»4.

Se si è riusciti a malapena a ricostruire l’evolversi degli eventi, sull’esito della vicenda giudiziaria, però, non è stato facile venirne a capo, ammesso che una vicenda giudiziaria ci sia stata.

Sta di fatto che Maria Domenica, ovvero Vanna Shulza e poi Giovanna, è una bella signora cui il destino ha riservato una vita diversa da quella che avrebbe vissuto rimanendo a Reali dove ancora vivevano i fratelli Giovanni e Giuseppe e dove è tornata per la prima volta, dai tempi della guerra, circa mezzo secolo dopo la forzata partenza. E, poi, al di là di visite occasionali, anche in occasione dell’inaugurazione del monumento, agli inizi del 2008, quando, ha scritto Claudio Ercolano, «ha voluto rendere una testimonianza forte e straziante, sotto lo sguardo tenero e amorevole del marito, interrotta da lacrime e lunghe pause nel ricordo di quel maledetto 30 aprile 1944»5.

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NOTE

1 L. Mazzarella, Sant’Andrea del Garigliano. Ricordanze della guerra, Edizione Prospettiva Vellefreddana, Vallemaio 2007, p. 95.
2 «Stampa Sera», 23 maggio 1950.
3 «Corriere d’Informazione» (Pomeriggio), 23-24 maggio 1950.
4 Ibidem.
5 «Ciociaria Oggi», 26 gennaio 2008.

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