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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 1-2
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di Gaetano de Angelis-Curtis*
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Nel corso della Prima guerra mondiale in Italia furono allestite circa duecento strutture (appositamente costruite o con riconversione di immobili già già esistenti), dislocate in altrettanti Comuni, città e paesi lontani dai campi di battaglia, destinate all’internamento dei militari dell’Esercito austro-ungarico fatti prigionieri sui fronti di guerra.
Anche Cassino divenne sede di un Campo di concentramento che fu realizzato ex novo in un’area ubicata lungo la strada di collegamento con la frazione di Caira. Al momento della sua apertura nel Campo erano internati poco più di 4.000 uomini mentre nella primavera del 1919 ve ne erano circa 6.000 di cui 1.500 ufficiali1.
Nel Campo furono reclusi persone di diverse nazionalità provenienti dalla composita galassia dell’Impero austro-ungarico e degli Stati alleati (austriaci, ungheresi, tedeschi, dalmati, istriani, croati, sloveni, bosniaci, erzegovini, tirolesi, galiziani, boemi, slovacchi, cechi, ucraini ecc.), di diverse professioni e interessi (avvocati, medici), artisti (pittori, scultori, musicisti), architetti, uomini di cultura (docenti, poeti, scrittori), anche un cappellano militare ucraino, ecc. Il più famoso tra i prigionieri fu il tenente austriaco Ludwig Wittgenstein, uno dei più importanti filosofi europei del tempo.
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CENNI BIOGRAFICI E CARRIERE MILITARE
Ludwig Josef Johann Wittgenstein era nato il 26 aprile 1889 a Vienna in Alleegasse 16 (oggi Argentinierstrasse), nono e ultimo figlio del magnate viennese dell’industria siderurgica del ferro e dell’acciaio, Karl Wittgenstein e di sua moglie Leopoldine Kallmus2.
I suoi studi universitari si indirizzarono inizialmente verso l’ingegneria aeronautica (nel 1908 si iscrisse all’Università di Manchester in Gran Bretagna per studiare la propulsione a reazione negli aerei) ma ben presto si trasferì all’Università di Cambridge per studiare logica e filosofia e lì conobbe Bertrand Russell, matematico di fama internazionale e illustre propugnatore della logica formale. Nel settembre del 1913 si trasferì a Skjolden in Norvegia dove visse, in completa solitudine, in una piccola casa di legno a picco su un fiordo. Quando poi nell’estate del 1914 fu raggiunto dalla notizia dello scoppio della Prima guerra mondiale fece ritorno a Vienna dove fu sottoposto a visita militare, ma, nonostante fosse stato dichiarato esente dal servizio militare a causa di una operazione di ernia, volle arruolarsi come volontario nel l’Esercito austriaco e partì come soldato semplice per il fronte. La «guerra e l’obbligo della coscrizione costitui[vano] per Wittgenstein molto più di un semplice dovere nazionale». Infatti l’arruolamento non era per lui «solo una questione che avesse a che fare con la difesa della patria» poiché egli «aveva il vivo desiderio di prendere su di sé qualcosa di pesante, e in qualche modo altro dal puro lavoro intellettuale (geistlich)». Come egli stesso ebbe a scrivere qualche tempo dopo, «il trovarsi a viso scoperto di fronte alla morte gli sembrava un modo possibile di dimostrare d’esser “un uomo decente” (ein anständiger Mann)»3.
Il 7 agosto 1914 fu assegnato al Reggimento di artiglieria da campo n. 105 di stanza a Cracovia. Poi dal 19 agosto al 10 dicembre 1914 venne imbarcato sul battello «Goplana» in servizio di pattugliamento fluviale lungo la Vistola e prese parte ai combattimenti a Tarnów, città polacca della Galizia4. Quindi prestò servizio nell’officina di artiglieria di Cracovia e dal luglio del 1915 fu prima nei pressi di Sokal e poi a Leopoli. Subì una «scossa nervosa e un paio di ferite non gravi durante un’esplosione», che, tuttavia, lo costrinsero al ricovero presso il Klosterspital di Bolzano5. Nel marzo del 1916, dopo sue ripetute richieste, gli fu concesso il trasferimento al fronte e di sua iniziativa prese parte a tutte le operazioni più rischiose nel corso dell’offensiva Brusilov6. Il primo giugno 1916 fu promosso caporale e partecipò ai combattimenti a sud di Okna (città della regione di Liberec nell’attuale Repubblica Ceca). Nell’ottobre del 1916 fu inviato alla Scuola allievi ufficiali d’artiglieria di Olomouc (in tedesco Olmütz) città della Moravia (attuale Repubblica Ceca). Nel corso dello stesso mese gli furono conferite, il 6 ottobre, la «Silberne Tapferkeitsmedaille 2. Klasse» [Medaglia d’argento al Valor Militare di seconda classe] e, il 19 ottobre, la «Bronzene Tapferkeitsmemedaille» [Medaglia di bronzo al Valor Militare] per le azioni di guerra alle quali aveva partecipato nel giugno precedente. Tornato il 16 gennaio 1917 al suo reggimento, partecipò alle operazioni di contrapposizione all’offensiva Kerenskij7 in Galizia per le quali gli fu conferita, il 25 agosto successivo, la «Silberne Tapferkeitsmedaille 1. Klasse» [Medaglia d’argento al Valor Militare di prima classe]. Il primo febbraio 1918 fu promosso sottotenente e prese parte alla battaglia in Bucovina e alla rioccupazione di Czernowitz. Nel marzo del 1918 fu trasferito sul fronte italiano, assegnato all’XI Gruppo di artiglieria da montagna (Gar 11) operante nelle vicinanze di Asiago. A partire dal 15 giugno prese parte ai combattimenti dell’ultima offensiva austriaca8 nei pressi di Asiago. Il 30 luglio 1918 fu avanzata la proposta di conferimento della più alta onorificenza dell’Esercito austriaco, la «Goldene Tapferkeitsmedaille für Offiziere» [Medaglia d’oro al Valor Militare] per la sua partecipazione ai combattimenti del 15 giugno precedente con la motivazione che «si era occupato del trasporto dei feriti sotto il fuoco, per poi ritornare indietro all’assalto e prendere il comando dopo che il primo ufficiale era stato colpito, sino a portare le truppe in salvo, una volta dato il comando di ritirata»9. Invece il 22 settembre gli fu conferita la «Militär-Verdienstmedaille am Band der Tapferkeit-smedaille mit Schwertern» [Medaglia al merito militare]. Nell’agosto trascorse un breve periodo di riposo in casa dello zio Paul ad Hallein presso Salisburgo per poi far ritorno al fronte. Di lì a poco il dissolvimento degli Eserciti degli imperi centrali portò alla cattura da parte italiana di circa 400.000 militari e fra essi anche Ludwig Wittgenstein che fu fatto prigioniero nei pressi di Trento il 3 novembre 1918.
La sua iniziale destinazione fu il campo di raccolta prigionieri di Como. Nel gennaio del 1919 fu quindi trasferito, via ferrovia con altri commilitoni, su un carro bestiame, nel Campo di concentramento di Cassino-Caira dove rimase fino al rilascio avvenuto il 21 agosto 191910.
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VITA NEL CAMPO
Il periodo di internamento di Wittgenstein a Cassino-Caira è stato raccontato da Franz Parak, un insegnante austriaco anch’egli internato, nel libro Wittgenstein prigioniero a Cassino11. Parak incontrò per la prima volta Wittgenstein mentre il filosofo, appena arrivato al Concentramento, passeggiava su e giù per la strada del Campo. Lo descrive come un uomo «di discendenza nobile», dal «volto scarno dal profilo distinto», «di media statura e, a guardarlo, non pareva avere ancora trent’anni. Indossava una giacca verde con il collo aperto e sopra a questo c’era il colletto della camicia. I suoi calzoni alla zuava erano infilzati nelle mollettiere. Camminava a capo scoperto, i suoi capelli castani apparivano un pochino ondulati. Ma là dove l’aspetto di questa persona colpiva era soprattutto il suo modo di parlare, che esprimeva un’eccezionale determinatezza e risolutezza, e un gesto del capo, che di solito teneva chinato, ma che alzava di tanto in tanto volgendo lo sguardo in lontananza».
Oltre a Parak, che fu uno dei primi a conoscerlo in quanto il filosofo volle leggere alcune pagine di ricordi personali scritti dallo stesso Parak e appuntati su un «quaderno – o forse si trattava di più quaderni» e cui dimostrò un «interesse particolare» essendo un insegnante per cui i due discussero molto di didattica, attorno a Wittgenstein si venne a formare una ristretta cerchia di amici che risultava composta da Ludwig Hänsel, docente di tedesco, da Alois Jungwirth, professore di letteratura, e da Michael Drobil, disegnatore, pittore e scultore viennese il quale «si stup[ì] di rinvenire nel prigioniero Wittgenstein un erede della famiglia Wittgenstein e ancor di più il fratello di Gretl Stonborough [Margarete Wittgenstein], di cui aveva ammirato il ritratto, opera di Gustav Klimt»12. Nelle mattine trascorse al Campo, Wittgenstein e Ludwig Hänsel «portavano fuori un paio di sedie [dalla baracca] e lì, seduti all’aperto, leggevano Kant». Invece nel corso di una lunga serie di pomeriggi Wittgenstein lesse alla cerchia di amici il romanzo Raskolnikow (Delitto e castigo) di Fedor Dostoevskij, un autore molto apprezzato dal filosofo austriaco. I discorsi si incentrarono anche sul Vangelo poiché il «problema religioso [stava] in cima ai pensieri di Wittgenstein». Quella sorta «di rigorosità totale che si impone come modello di vita» aveva portato Wittgenstein «a leggere e a consigliare ad altri la lettura dell’Evangelium di Tolstoj, un testo che aveva trovato in Galizia, in un paese del fronte»13, avendolo scoperto quando si trovava a Tarnów14, città polacca della Galizia, dove aveva comprato una traduzione tedesca del Kurze Darlegung des Evangelium [Breve presentazione evangelica]15. Quando poi a Cassino-Caira sopraggiunse la calura estiva, Wittgenstein preferiva stendersi sotto i lecci lungo la strada del Campo, oppure, nelle ore più calde, rimanere all’interno della sua baracca, «sdraiato sul letto, sprofondato nei suoi pensieri» In quei momenti, scrive Parak, «meditava, probabilmente sulla riformulazione di qualche proposizione del suo Trattato». In sostanza l’«intensa» meditazione logico-filosofica cui si era sottoposto Wittgenstein durante la guerra, era continuata anche nel periodo della prigionia a Cassino-Caira16. Egli aveva con sé nel Campo di Cassino-Caira, il manoscritto del suo Logisch-philosophische Abhandlung, comunemente conosciuto con il titolo latino di Tractatus logico-philosophicus, che si trovava nello zaino al momento della cattura (si trattava del «lavoro di tutta la [sua] vita», l’«opera di tutta la [sua] vita» come lo definì lo stesso Wittgenstein). Proprio quella «decenza morale» (Anstaändigkeit) che lo aveva spinto ad arruolarsi come volontario e a prendere parte alla guerra aveva tra le «preoccupazioni fondamentali» quella «di proseguire a tutti i costi il lavoro filosofico». Così era riuscito finanche a lavorare con i «russi alle calcagna» svolgendo una «gran quantità di lavoro logico». Nelle pause delle operazioni belliche aveva avuto modo di approntare quello che diventerà il Tractatus la cui stesura era stata portata a termine nei giorni di congedo trascorsi presso lo zio Paul nell’agosto del 1918. Secondo alcuni studiosi, come McGuinness, proprio le «dure circostanze della guerra sembrano avergli imposto una naturalezza e una libertà dall’artificialità che gli erano congeniali»17. Con la stesura del Tractatus egli riteneva di aver portato a termine il suo compito filosofico e aver risolto tutti i problemi filosofici. Così nel Campo iniziò a pensare a quale professione potesse essere più adatta per lui «intellettualmente e moralmente» e come potesse diventare una «persona perbene». Confidò così a Parak di volersi fare sacerdote o divenire un maestro. Tuttavia per avviarsi alla carriera ecclesiastica Wittgenstein avrebbe dovuto studiare teologia per otto semestri e proprio il periodo di preparazione ritenuto troppo lungo fece propendere, a giudizio di Parak, per la scelta della professione di insegnante18.
Nel corso del periodo di prigionia, la ristretta cerchia di amici che si era formata attorno a Wittgenstein poté leggere il testo del Tractatus e discuterne il contenuto. «Uno dei primi a leggere quelle circa cinquanta pagine dattiloscritte rilegate in una copertina di tela marrone» fu Parak il quale, terminato di leggere il libro, andò a cercare l’autore nella sua baracca. Era una giornata successiva a una di «fitta pioggia» e i due si misero «a camminare su e giù, infinite volte, lungo il piazzale pieno di fango». Wittgenstein lo «prese a braccetto» e Parak fu colto da un «sentimento di felicità» per la dimostrazione di amicizia del filosofo viennese. Poi Parak passò il manoscritto agli altri amici.
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LA CORRISPONDENZA
Nel corso della prigionia Wittgenstein ebbe una intensa attività di corrispondenza (lettere, cartoline postali ecc.) con le sorelle Margarete («Gretl»)19, Hermine («Mining») ed Helene («Lenka»)20, che ringraziava sentitamente perché la «posta» rappresentava l’«unico raggio di speranza!», e poi con alcune eminenti personalità della cultura e dell’economia anglosassone o austriaca come il filosofo e matematico Bertrand Russell21, l’economista inglese John Maynard Keynes22, oppure Paul Engelmann23 e Friedrich Ludwig Gottlob Frege. Nonostante le difficoltà nello scambio di corrispondenza, il recapito avveniva saltuariamente a causa di vari inconvenienti nella distribuzione, così come le rigide regole militari non permettevano ai prigionieri di scrivere più di due cartoline postali da quindici righe l’una alla settimana, vagliate, oltretutto, dalla censura, ma gli internati facevano ricorso anche a degli escamotages affidando le lettere a prigionieri rimpatriati (ad esempio Wittgenstein approfittò del rimpatrio di uno studente austriaco di medicina, il 6 marzo, per consegnargli una lettera da spedire a Russell), riuscì a informarli circa i temi trattati e i contenuti della sua opera. Anzi riuscì a far pervenire loro una copia del Tractatus. Inizialmente, come scrisse a Russell il 13 marzo, gli comunicò che non poteva mandargli la copia del manoscritto ma nel giugno successivo lo avvertì che glielo aveva inviato tramite John Maynard Keynes, con la raccomandazione di rispedirglielo perché si trattava «dell’unico esemplare» corretto in suo possesso. Infatti Parak racconta che un giorno giunse al Campo un emissario della Delegazione italiana di pace venuto appositamente a ritirare il manoscritto da portare a Versailles dove era in corso la Conferenza di pace. A Parigi, tra i componenti della Delegazione britannica, c’era John Maynard Keynes che nel maggio si era attivato presso le autorità italiane al fine di «ottenere un’attenuazione» delle rigide regole militari. Così a fino giugno il libro giunse «sano e salvo» nelle mani di Keynes, e, attraverso la sua mediazione, a Russell a Cambridge. Da Cassino Wittgenstein riuscì pure a far pervenire altre due copie del manoscritto in Austria, una a Paul Engelmann e l’altra a Friedrich Ludwig Gottlob Frege24.
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TENTATIVO DI LIBERAZIONE ANTICIPATA
Mentre Wittgenstein si trovava prigioniero a Cassino-Caira fu operato un tentativo finalizzato ad anticipare il rilascio e il rientro del filosofo in Austria, che vide il coinvolgimento di alte personalità del mondo cattolico italiano. Varie lettere furono scambiate a tal proposito tra la signora Elisabetta Gräzer25, il segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Gasparri26, l’abate di Montecassino, mons. Gregorio Diamare27 e il direttore generale del Fondo per il culto, il barone Carlo Monti28.
Il 23 marzo 1919 la signora Elisabetta Gräzer, su consiglio della «veneranda madre Antonietta Mengozzi» dell’Istituto Beata Vergine Maria di Vicenza, inviò una lettera al card. Pietro Gasparri nella quale pregava l’alto prelato di adoperarsi per il rilascio anticipato del filosofo. La signora Gräzer, che scriveva da Küsnacht, città svizzera presso Zurigo, doveva essere, evidentemente, un’amica di Leopoldine Kallmus, la madre di Ludwig Wittgenstein, e conosceva «bene» il lutto esistente in casa Wittgenstein così come «fin da principio della guerra» aveva provveduto a trasmettere la «corrispondenza della povera donna coi suoi figli e parenti che si trova[vano] in paesi nemici». La preghiera rivolta al card. Gasparri nasceva da un senso di «pietà» provato nei confronti di quella «madre settantenne» che pativa «tanti dolori» in quanto da anni era «quasi impedita di camminare da una malattia ai piedi», inoltre otto settimane prima si era dovuta sottoporre a un’operazione agli occhi e dei suoi cinque figli non le rimaneva, «se si eccettua il prigioniero in Cassino, che uno, e questi fu straziato in guerra». Dunque la signora Gräzer faceva riferimento ai cinque maschi di casa Wittgenstein, di cui tre si erano suicidati (Hans nel 1902 a New York, Rudolf nel 1914 a Vienna e Kurt nel 1918, in guerra, per evitare d’essere fatto prigioniero) mentre Paul29, anch’egli soldato dell’Esercito austro-ungarico, era stato ferito durante un’azione in Polonia contro l’esercito russo e, dopo la sua cattura, aveva dovuto subire l’amputazione del braccio destro30.
Sollecitato dalla signora Gräzer, il 16 aprile 1919 il cardinal Gasparri scrisse tre lettere, una indirizzata all’abate di Montecassino, una al direttore generale del Fondo per il culto e l’ultima, infine, di risposta.
Nella prima si rivolse all’abate Diamare pregandolo di intervenire presso le autorità locali al fine di «agevolare» le pratiche di rimpatrio in Austria del filosofo: «Alle cure della Rev.ma vorrei raccomandare oggi il tenente Ludwig Wittgenstein del concentramento di Cassino. La madre, settantenne, è gravemente ammalata e dei cinque figli che aveva non le resta – all’infuori di questo prigioniero – che uno solo, storpiato in guerra. Se la P.V. credesse anche questa volta di poter interporsi presso le autorità del luogo e agevolare così le pratiche di rimpatrio da me iniziate presso le Autorità centrali, gliene sarei particolarmente grato. Coi ringraziamenti anticipati gradisca la P.V. i sensi di vera e sincera stima coi quali godo riaffermarmi»31.
Nella seconda lettera il card. Gasparri scrisse al barone Monti per chiedere i suoi buoni uffici per il rimpatrio di Wittgenstein adducendo gli stessi motivi delle condizioni familiari del filosofo. Nella terza lettera rassicurava la signora Gräzer in merito all’interessamento operato dalla Santa Sede.
Il 10 maggio 1919 il barone Monti comunicò al card. Gasparri che sulla questione del rilascio di alcuni prigionieri di guerra (oltre a Wittgenstein, c’erano altri militari come l’alfiere Stefano Lapes e il ten. Guido Muller), si era pronunciata la presidenza del Consiglio dei ministri. Poiché però non potevano essere prese in considerazione motivazioni di tipo familiare, erano «state impartite disposizioni perché i predetti prigionieri [fossero] sottoposti, con larghezza di criteri, ad accertamenti sanitari per un possibile rimpatrio».
Il 26 maggio 1919 il card. Gasparri ringraziò il barone Monti, prendendo «atto con viva soddisfazione» del «criterio largo e caritatevole col quale le Autorità [erano] disposte a prendere in esame i detti casi per accertare possibilmente motivi sanitari e favorire i raccomandati», assicurando che «di tale carità la Santa Sede [era] vivamente grata». Nello stesso giorno rassicurò la signora Gräzer dell’interessamento del barone Monti.
Il 6 giugno 1919 la signora Gräzer inviò al card. Gasparri una lettera di ringraziamenti «più caldi anche a nome della madre» del prigioniero alla quale aveva «trasmesso immediatamente la bona notizia». In sostanza tutte le «pratiche benevoli» messe in atto sembravano offrire la speranza di un «buon esito»32.
Anche Parak, nel suo volume, ricorda che in seguito «a un intervento del Vaticano, su richiesta della famiglia», Wittgenstein «avrebbe potuto tornare a casa» in anticipo rispetto agli altri militari. Tuttavia il filosofo intese respingere «un tale privilegio di netta marca favoritistica» e fu molto «irritato» dall’intervento della madre, «biasimandola per il suo comportamento» e facendole sapere che non avrebbe abbandonato i compagni. Tale fermo diniego parrebbe, a giudizio di Liliana Albertazzi, «molto probabile», considerato il «rigore anche morale dal punto di vista delle azioni, a cui si sottoponeva Wittgenstein»33. In sostanza il filosofo rifiutò l’aiuto volendo seguire identico destino degli altri internati nel Campo di Cassino-Caira ed «essere solidale» con i suoi commilitoni internati.
In una lettera del 19 luglio alla sorella Hermine, Wittgenstein scriveva di ritenere che la sua prigionia sarebbe durata ancora a lungo in quanto il rilascio dei prigionieri poteva avvenire solo dopo la firma di un trattato di pace. Si augurava così di essere a casa per Natale. Tuttavia per il rilascio dei prigionieri di guerra non si dovette aspettare la firma del Trattato di pace (sottoscritto a Saint-Germain-en-Laye il primo settembre 1919), e nel corso dell’estate cominciarono le partenze. Ludwig Wittgenstein fu rilasciato il 21 agosto 1919. Con il treno, questa volta su comodi vagoni di seconda classe, gli ex internati raggiunsero Villach subito oltre il confine italo-austriaco e si divisero. Wittgenstein il successivo lunedì 25 raggiunse la località di Neuwaldegg, residenza estiva della famiglia a Vienna. Fu congedato ufficialmente il 26 agosto 1919.
Wittgenstein due giorni prima di essere liberato aveva scritto a Russell che si augurava di incontrarlo al più presto. Tuttavia si rendeva conto che per il momento non sarebbe stato possibile per lui raggiungere l’Inghilterra al pari per Russell andare in Austria, per cui gli appariva la migliore cosa vedersi in Olanda o in Svizzera34. L’incontro fra i due, per discutere della pubblicazione del Tractatus, si svolse all’Aia probabilmente tra il 13 e il 20 dicembre 1919. Quindi nel 1921, grazie all’interessamento di Russell, fu pubblicato negli «Annalen der Naturphilosophie» di Wilhelm Ostwald (Vol. XIV, numero 3/4) il Logisch-Philosophische Abhandlung, in lingua tedesca, ma l’edizione non soddisfece Wittgenstein che vi trovò numerosi errori. L’anno successivo, in occasione della pubblicazione della traduzione inglese, fu condotto un attento lavoro di revisione. L’opera venne pubblicata, con introduzione di Bertrand Russell, a Londra con il titolo latino di Tractatus Logico-Philosophicus.
In Austria, in quegli anni, Wittgenstein faceva il maestro elementare, poi lavorò come assistente giardiniere in un monastero nei pressi di Vienna, quindi collaborò, tra il 1926 e il 1928, con l’amico e architetto Paul Engelmann alla progettazione e alla costruzione della casa di Margarete a Vienna. Tornò a Cambridge, dove prese il dottorato di ricerca, divenne Membro (Fellow) del Trinity College e insegnò in quella Università. Quindi nel 1936-1937 fece ritorno a Skjolden in Norvegia. Nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, prese la cittadinanza inglese, rinunciando al passaporto austriaco. Nel corso della Seconda guerra mondiale prestò aiuto come volontario in Gran Bretagna, prima al Guy’s Hospital di Londra e poi presso il Royal Victoria Infirmary di Newcastle. Nel dopoguerra si trasferì in Irlanda e poi negli Stati Uniti. Fece ritorno a Cambridge dove si spense il 29 aprile 1951 in casa del suo medico, il dottor Edward Bevan, presso il quale era ospite.
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NOTE
* Vivi ringraziamenti a Carlo Nardone e alla dott.ssa Fiammetta Baldo, responsabile degli Archivi ecclesiastici dell’Archivio provinciale di Trento, per la loro disponibilità.
1 Sulle vicende del Campo di Caira-Cassino, dall’individuazione, alla progettazione, alla costruzione, alla detenzione, all’elenco di parte dei prigionieri internati, morti o rilasciati, al profilo biografico di alcuni di essi, alla trasformazione in Scuola allievi ufficiali Carabinieri Reali e poi a Deposito della Direzione di artiglieria, alla totale distruzione nel corso della Seconda guerra mondiale fino all’abbandono odierno cfr. C. Nardone, Il Campo di concentramento di Cassino-Caira nella Prima guerra mondiale. I prigionieri dell’Esercito austro-ungarico tra reduci e caduti, tra filosofi, letterati e artisti, Cdsc-Onlus, Cassino 2018 (pp. 447).
2 Cinque erano i maschi: Hans, Rudolf, Kurt, Paul e Ludwig, e poi Margarete (detta «Gretl»), Hermine (detta «Mining») ed Helene (detta («Lenka»). Sia la famiglia Wittgenstein, originaria della Sassonia e poi trasferitasi a Vienna, che quella Kallmus erano di origine ebraica e ambedue si erano convertite al Cristianesimo. I Wittgenstein da tre generazioni abbracciando il protestantesimo, i Kallmus da due generazioni abbracciando il cattolicesimo. Ludwig Wittgenstein fu battezzato con rito cattolico. Tuttavia la famiglia Wittgenstein, in base alle leggi naziste di Norimberga che entrarono in vigore in Austria in seguito all’annessione alla Germania nel 1938, veniva classificata come ebrea.
3 L. Albertazzi, Ancora sulla prigionia di Ludwig Wittgenstein: una corrispondenza inedita, in «Annali dell’Istituto Storico Italo-Germanico in Trento», n. 12/1986, Il Mulino, Bologna, p. 350.
4 A inizio del maggio 1915 l’esercito tedesco intraprese una operazione, definita offensiva di Gorlice-Tarnów, al fine di alleggerire la pressione russa sulle forze austro-ungariche sul fronte orientale e conclusasi con un collasso delle forze russe e conseguente ritirata.
5 L. Albertazzi, Ancora sulla prigionia di Ludwig Wittgenstein … cit., p. 351 (Fu il ten. Franz König a comunicare alla famiglia il ferimento).
6 L’offensiva Brusilov fu la più grande offensiva condotta dall’Impero russo. Ebbe inizio il 4 giugno 1916 e terminò il 20 settembre. I Russi inflissero gravi perdite agli austro-ungarici che persero circa 1.500.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri, costringendo gli imperi centrali a trasferire sul fronte orientale numerose truppe distogliendole dai settori occidentali quelli di Verdun in Francia e del Trentino in Italia dove era in corso la Battaglia degli Altipiani (nota come la Strafexpedition).
7 L’offensiva Kerenskij (ordinata dal ministro della guerra del governo provvisorio russo, conosciuta anche come offensiva di luglio o offensiva della Galizia) ebbe luogo nel luglio del 1917 e fu l’ultima offensiva lanciata dalla Russia nel corso della Prima guerra mondiale, conclusasi con una disfatta.
8 Si tratta di quella che Gabriele d’Annunzio definì come la «battaglia del solstizio», l’ultima grande offensiva degli imperi centrali in Italia. La mattina del 15 giugno 1918 gli austriaci conquistarono il Montello, il paese di Nervesa della Battaglia e poi riuscirono a oltrepassare il Piave in alcuni punti. Tuttavia l’offensiva austro-ungarica, che coinvolgeva sessantasei divisioni, fu fermata dalla forte controffensiva italiana, supportata dall’artiglieria francese.
9 L. Albertazzi, Ancora sulla prigionia di Ludwig Wittgenstein … cit., p. 351, n. 22. Nei rapporti militari riguardanti Wittgenstein, si riportava che sugli uomini posti «sotto il suo comando egli sortiva un buon effetto, specialmente in battaglia, poiché li calmava e riusciva a farli rendere il massimo, soprattutto grazie a quella capacità che gli permetteva di svolgere le mansioni di vedetta di artiglieria pur sotto il fuoco più pesante» (M.F. McGuinness, Appendice a P. Engelmann, Lettere di Ludwig Wittgenstein, Firenze 1970, cit. in D. Antiseri, Ludwig Wittgenstein a Cassino, in F. L. Marcolungo, a cura di, Wittgenstein a Cassino, Borla, Roma 1991, p.13).
10 Le notizie sulla vita militare di Ludwig Wittgenstein, lì dove non diversamente specificato, sono tratte da http://wk1.staatsarchiv.at/kriegseuphorie/ludwig-wittgenstein/.
11 F. Parak, Am anderen Ufer, Vienna 1969, nella versione italiana (con traduzione di Dario Antiseri), Wittgenstein prigioniero a Cassino, Armando, Roma 1978.
12 L. Albertazzi, Ancora sulla prigionia di Ludwig Wittgenstein … cit., p. 352, n. 24. Margarete Wittgenstein (1882-1958), chiamata in famiglia con il soprannome di «Gretl», era la quinta figlia di Karl Wittgenstein. Per la realizzazione della sua casa a Vienna lavorarono, tra il 1926 e il 1928, l’architetto Paul Engelmann e lo stesso Ludwig Wittgenstein. Dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nel 1938, Margarete, temendo per la sua incolumità in quanto considerata di famiglia ebrea, decise di abbandonare la sua casa viennese per riparare negli Stati Uniti d’America. Tuttavia qualche tempo dopo fece ritorno in Austria per convincere le sorelle, Hermine e Helene, a fuggire come aveva fatto anche il fratello Paul. Nel frattempo, però, era divenuto impossibile lasciare l’Austria e allora Margarete acquistò dei passaporti jugoslavi che si rilevarono falsi per cui fu arrestata assieme alle sorelle e processata. Poi con l’aiuto del fratello Ludwig (che aveva ottenuto un passaporto britannico e aveva potuto raggiungerla), riuscì a negoziare un accordo con le autorità tedesche probabilmente cedendo delle proprietà in Germania e nei territori occupati dalle truppe tedesche e consentendo alla Reichsbank di incamerare una ingente somma in valuta straniera, mentre «in cambio a Hermine e Helene sarebbe stato concesso di essere trattate come persone ariane, e dunque di rimanere in Austria, come in effetti fecero, senza correre pericoli». Margarete invece raggiunse New York. Poi nel 1947 fece ritorno a Vienna dove morì una decina d’anni più tardi (https://it.wikipedia.org/wiki/Margaret_Stonborough-Wittgenstein).
13 L. Albertazzi, Ancora sulla prigionia di Ludwig Wittgenstein … cit., p. 351.
14 Cfr. nota 4.
15 L. Tolstoj, Guerra e Rivoluzione, Feltrinelli Ed., Milano 2015.
16 D. Antiseri, Ludwig Wittgenstein a Cassino, in F. L. Marcolungo (a cura di), Wittgenstein a Cassino, Borla, Roma 1991, p. 16.
17 M.F. McGuinness, Appendice … cit., p. 12, secondo cui lo sfondo del Tractatus appare costituito dalle «gravi difficoltà» che incontrò l’Esercito austro-ungarico in Galizia (scarsi approvvigionamenti, inadeguata preparazione delle truppe, miseria della popolazione locale e dei prigionieri russi) e le «avversità delle battaglie di montagna nella zona di Asiago».
18 Wittgenstein conseguì poi nel luglio del 1920 il diploma di maestro elementare presso il Lehrerbildungsanstalt (Istituto magistrale) di Vienna e insegnò fino al 1926 come maestro di scuola elementare.
19 Margarete chiamava affettuosamente il fratello «Lukerl» e apriva le sue lettere con «Lukerl del mio cuore». Le lettere scritte da Margarete portavano come intestazione l’«Hotel National» oppure «Villa Schumacher» tutti e due ubicati a Tribschen, un quartiere della città di Lucerna dove si era trasferita con marito e figli per trascorrere il periodo di guerra. In Svizzera Margarete partecipava a concerti musicali (a quello tenuto da un violinista, Adolf Busch, ad esempio) oppure leggeva libri (si era comprato il volume di Russell Road to freedom), tuttavia considerava quel soggiorno alla stregua di un «esilio» che, nonostante le buone condizioni economiche e materiali, gli appariva «comunque opprimente e difficile da tollerare». Solo tra la fine del 1919 e l’inizio dell’anno successivo la famiglia Stonborough-Wittgenstein fu autorizzata a rientrare a Vienna.
20 Sia Hermine che Helene si trovavano a Vienna al pari della mamma. La prima si dedicava alla pittura, la seconda alla musica esercitandosi «con diligenza» al piano a quattro mani per essere in grado di suonare qualcosa al rientro del fratello. Anche la madre scriveva ogni settimana al figlio pur se Ludwig sembrava che non ricevesse le sue lettere. Da Hermin seppe, comunque, che era in buona forma perché «scrive[va] o saetta[va] attorno casa» nonostante i dolori al piede continuassero a tormentarla e l’«occhio operato non v[olesse] collaborare con quello sano». Nel corso dell’estate le era giovato il soggiorno «alle Hochreit», in uno dei distretti austriaci, da dove telefonava alla figlia Hermine.
21 Bertrand Arthur William Russell (Trellech, Galles, 18 maggio 1872 – Penrhyndeudraeth, Galles, 2 febbraio 1970), che poi firmò la prefazione della versione inglese del Tractatus, è stato un filosofo, logico, matematico, ed esponente del movimento pacifista.
22 John Maynard Keynes (Cambridge, Inghilterra, 5 giugno 1883 – Tilton, Inghilterra, 21 aprile 1946) è stato un economista britannico, padre della macroeconomia e considerato il più influente tra gli economisti del XX secolo.
23 Paul Engelmann (Olomouc, odierna Repubblica Ceca, 14 giugno 1891 – Tel Aviv, Israele, 5 febbraio 1965), di origine ebraica, era un architetto viennese. Aveva conosciuto Wittgenstein quando assieme avevano frequentato a Olomouc la Scuola allievi ufficiali d’artiglieria nel 1916. La collaborazione fra i due continuò anche nel dopoguerra nella progettazione e realizzazione, tra il 1926 e il 1928, della casa di Margarete Wittgenstein a Vienna.
24 Molta parte della corrispondenza è pubblicata in L. Wittgenstein, Lettere 1911-1951, a cura di Brian McGuinness, traduzione di Adriana Bottini, Adelphi Edizioni; L. Wittgenstein, Vostro fratello Ludwig, Lettere alla famiglia 1908-1951, a cura di Brian McGuinness, Maria Concetta Ascher, Otto Pfersmann. Traduzione di Gabriella Rovagnati, Archinto Editore.
25 Misteriosa è risultata agli studiosi l’identità della signora Gräzer e né ricerche effettuate nella città da cui risultano spedite le lettere (Küsnacht, presso Zurigo), né quelle svolte presso l’Istituto religioso vicentino citato nella prima lettera hanno prodotto esiti (L. Albertazzi, Ancora sulla prigionia di Ludwig Wittgenstein … cit., p. 352, n. 28). Un labile elemento potrebbe essere rappresentato dall’estrazione geografica svizzera poiché la signora Gräzer scriveva da una città vicino a Zurigo mentre Margarete Wittgenstein da Tribschen, quartiere di Lucerna. Un alto aspetto è rappresentato dal fatto che inizialmente a Wittgenstein non giungeva il denaro spedito dalla famiglia, ma poi nella lettera del 2 marzo Margarete si rallegrava perché il fratello aveva finalmente ricevuto il denaro e gli prometteva che avrebbe continuato a spedirgliene «con regolarità» attraverso una banca che il governo italiano aveva delegato a tale scopo. La signora Gräzer doveva essere a conoscenza di tale difficoltà perché nella lettera del 23 marzo scriveva che l’iniziale suo proponimento era quello di interessare il card. Gasparri in merito alla questione del mancato ricevimento del denaro inviato a Wittgenstein, ma poi aveva desistito poiché nel frattempo la cosa si era andata risolvendo.
26 Il card. Pietro Gasparri (1852-1934) era il segretario di Stato della Santa Sede. L’11 febbraio 1929 sottoscrisse con Benito Mussolini i «Patti Lateranensi» e nel maggio dello stesso anno fu a Cassino per i festeggiamenti in occasione del XIV centenario dell’abbazia di Montecassino.
27 Gregorio (al secolo Vito) Diamare (1865-1945) fu abate di Montecassino dal 1909 alla sua morte e vescovo di Costanza d’Arabia consacrato nel 1928. Nel corso della guerra, oltre a prodigarsi in offerte al Comitato di mobilitazione civile di Cassino e a quello provinciale per la fabbricazione degli indumenti di lana, istituì all’interno della Palazzo Badiale un Ufficio notizie, uno per la spedizione di pacchi alimentari ai prigionieri del Cassinate internati nei Campi di concentramento all’estero e uno per la distribuzione di alimenti, medicinali ecc. a famiglie bisognose. Per tali attività benefiche espletate gli fu conferita, il 27 luglio 1919, la medaglia d’oro «Premio Vittorio Emanuele alla virtù e al valore» (G. de Angelis-Curtis, La Prima guerra mondiale e l’alta Terra di Lavoro, Cdsc-Onlus, Cassino 2016, p. 38).
28 Carlo Monti (1851-1924) nel 1908 fu nominato direttore generale del Fondo per il Culto, istituto creato con la legge per la soppressione delle corporazioni religiose e dipendente dal ministero di Grazia e Giustizia e Culti dello Stato Italiano. Dopo l’elezione a pontefice di Benedetto XV, nel 1914, di cui era stato compagno di scuola, il barone Monti si recava un paio di volte al mese a rendere visita al papa (che lo ricevette in udienza per ben 175 volte in sette anni) e al suo segretario di Stato, il cardinale Pietro Gasparri (http://www.archivioapostolicovaticano.va/content/aav/it/attivita/ricerca-e-conservazione/progetti/inventariazione/fondo-culto.html).
29 Paul Wittgenstein (Vienna, 5 novembre 1887 – New York, 3 marzo 1961) era cresciuto in un ambiente frequentato da importanti personalità della musica come Johannes Brahms, Gustav Mahler e Richard Strauss, con il quale il giovane Paul suonava in duo, ed era divenuto, così, un apprezzato pianista.
30 L. Albertazzi, Ancora sulla prigionia di Ludwig Wittgenstein … cit., p. 355, n.a. Dopo la cattura e l’amputazione era rientrato abbastanza velocemente in Patria e nel maggio 1919 si trovava a Vienna dove suonava «con diligenza [ed era] sempre molto tranquillo e piacevole». Pur invalido continuò, dopo la fine della guerra, a esibirsi in pubblico e a dare concerti, suscitando ovunque ammirazione e affetto suonando con il solo braccio sinistro. Operò egli stesso la riduzione di pezzi musicali per pianoforte per sola mano sinistra nonché commissionò diversi lavori a importanti compositori fra cui Franz Schmidt, Richard Strauss e Maurice Ravel che scrisse per lui il Concerto per pianoforte per la mano sinistra, il più noto dei pezzi ispirati e richiesti da Wittgenstein, oppure Sergej Prokof’ev che compose il Concerto per pianoforte n. 4 in Si bemolle (anche se Wittgenstein non lo suonò mai in pubblico dichiarando che non riusciva a comprenderlo). Con l’annessione dell’Austria alla Germania nel 1938, il regime nazista proibì a Paul di esibirsi in concerti pubblici. Decise allora di lasciare Vienna, non senza aver cercato prima di convincere le sue sorelle Helene e Hermine, e, passando dalla Svizzera, riuscì a riparare negli Stati Uniti. Divenne cittadino americano nel 1946 e negli Usa affiancò all’attività di concertista quella di insegnante. Morì a New York nel 1961 (https://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Wittgenstein).
31 La lettera, in originale e con trascrizione, è stata pubblicata da A. Mangiante, Notizie inedite sul campo di prigionia di Cassino detto “il Concentramento”, in «Studi Cassinati», a. XI, n. 2, aprile-giugno 2011, pp. 141-142.
32 Le lettere, conservate nell’Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, 1914 guerra, f. 244 1 e 2a (bb. 10846, 89652, 90025, 95018), sono riportate in L. Albertazzi, Ancora sulla prigionia di Ludwig Wittgenstein … cit., pp. 355-359.
33 Ivi, p. 352, n. 23.
34 D. Antiseri, Ludwig Wittgenstein a Cassino … cit., p. 17.
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