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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 3-4
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di Emilio Pistilli
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L’abate Atenolfo (anche Adenolfo), figlio del principe longobardo Pandolfo (anche Paldolfo) II di Benevento, è da considerare a tutti gli effetti il fondatore della odierna Cassino1. Dopo il fallito tentativo dell’abate Bertario (trucidato dai saraceni)2 di costruire, nel sec. IX, una città lungo le rive del fiume Rapido attorno al monastero del Salvatore3, città che avrebbe voluto chiamare Eulogimenopoli, cioè Città di Benedetto, Atenolfo decise di riprendere la costruzione, che realizzò in buona parte (ex magna parte construxit)4. L’antica chiesa del Salvatore intanto aveva mutato la sua dedica in quella di San Germano, forse in occasione della visita dell’imperatore Ludovico II, nell’874, che lasciò in dono alla chiesa una reliquia di S. Germano vescovo, amico fraterno di S. Benedetto5. Dunque la nuova città, che doveva sorgere attorno a quella chiesa, quasi giocoforza prese il nome di civitas Sancti Germani.
Ma cerchiamo di conoscere meglio questo abate che il Chronicon di Montecassino definisce Vir quanto nobilis, tanto humilis et humanus6. Non è da confondere con il quasi contemporaneo Atenolfo figlio di Atenolfo IV conte di Aquino e Pontecorvo.
Predecessore del nostro Atenolfo era stato il nobile beneventano Giovanni III (ab. 997-1010). Questi era uno dei monaci fuggiti in medio oriente per sottrarsi alle angherie dell’abate Mansone (ab. 986-996) – successore di Aligerno – per condurre una vita da eremita. Con lui ci fu anche il monaco Liuzio (S. Liuzio), fondatore dell’Albaneta7, e il futuro abate Teobaldo. Giovanni si mostrò particolarmente rigido e per questo non fu ben sopportato dai suoi monaci. Anche a seguito dei contrasti con i signorotti locali che da tempo miravano ad impossessarsi delle proprietà di Montecassino, decise di ritirarsi a Capua8. I monaci approfittarono della sua assenza per nominare abate Docibile di Gaeta, il cui abbaziato, però, durò ben poco9. Infatti dopo sette mesi Giovanni ritornò, ma per poco, perché morì (18 marzo 1010), non prima però di aver insediato come suo successore il nipote, Giovanni IV, soprannominato Rotondolo10. Ma la nomina di questi non fu accettata dai monaci, i quali si rivolsero a Pandolfo II principe di Benevento e III di Capua (981-1014), perché portasse il figlio Atenolfo alla guida del monastero.
Atenolfo da piccolo era stato preso come ostaggio dall’imperatore Ottone II – che aveva mirato ad impossessarsi dei ducati longobardi di Capua e Benevento –, e condotto in un monastero di oltr’Alpe11. Di lì il giovane riuscì a fuggire vestito da monaco. Ma durante la fuga si ammalò gravemente; per questo fece voto di non lasciare più l’abito monastico se avesse ottenuto la guarigione. Una volta guarito si ritirò nel monastero di S. Modesto a Benevento, dipendente da Montecassino, dove rivestì la carica di abate.
Fu così che Atenolfo giunse a Montecassino accompagnato dal padre per essere il nuovo abate, trentunesimo della serie: era l’anno 1011. In questo modo Montecassino tornò sotto la sfera longobarda, ma ottenne anche il favore dell’impero bizantino d’oriente nonché quello imperiale di Enrico II di Sassonia, detto «il santo»12. Grazie a questi favori il monastero ebbe numerose donazioni territoriali e conferme di quelle precedenti; in tal modo il patrimonio di Montecassino si ampliò oltre misura anche nelle regioni vicine, Abruzzi, Campania, Capitanata13.
Forse anche grazie a questo Atenolfo fu considerato dai Cassinesi come uno dei suoi migliori abati. A lui si deve, come già detto, la costruzione della nuova città di S. Germano, destinata a diventare il centro dell’amministrazione patrimoniale cassinese e capitale della Terra di San Benedetto.
La vocazione di costruttore di Atenolfo (definito in un diploma dei principi beneventani restaurator ecclesiarum)14 consentì il restauro di numerose chiese e monasteri; a Montecassino fece fare importanti lavori: sulla facciata della chiesa fece innalzare un imponente campanile in mezzo al quale pose un altare in onore della Santa Croce; presso l’ingresso della chiesa maggiore, ai due lati, fece costruire due ambienti sostenuti da colonne di marmo dove collocò due altari, uno in onore della SS. Trinità, l’altro in onore di S. Bartolomeo apostolo: l’abside maggiore fu dipinta con vari colori e polvere d’oro; ampliò la chiesa di S. Stefano posta fuori il monastero presso l’ingresso, che era quasi cadente. Tutti i lavori da lui voluti evidenziavano l’influsso dell’arte nordica. Di tutti i suoi interventi a Montecassino non è rimasto granché perché l’abbazia fu letteralmente rifatta ed ingrandita dall’abate Desiderio, futuro papa Vittore III15: la nuova consacrazione avvenne nel 107116. Curò inoltre la trascrizione di numerosi codici17.
Si può supporre, riguardo alla nuova città sul Rapido, che egli avesse completato le mura, iniziate dall’abate Bertario, collegandole a quelle di Rocca Janula fino ad abbracciare il complesso monastico a valle con le abitazioni che nel frattempo erano sorte tutt’attorno; avrebbe ammodernato le chiese ed il monastero annesso e, perché no, avrebbe anche ricostruito la torre campanaria in sostituzione di quella precedente innalzata su otto grandi colonne nel sec. VIII18. Di questa avrebbe conservato la collocazione, cioè discosta dalla chiesa di San Germano (ex chiesa del Salvatore), fronteggiante la facciata della stessa chiesa, così come è giunta fino a noi: la tipologia di matrice romanica ci riconduce proprio a quel periodo.
Nel febbraio del 1014 partecipò a Roma all’incoronazione di Enrico II e in quell’occasione ottenne, dal papa e dall’imperatore, due privilegi di conferma dei beni di Montecassino19, che venivano sempre messi in discussione dai signorotti confinanti, primi fra tutti i conti di Aquino, di Venafro e il conte di Traetto (con quest’ultimo sanò a suo vantaggio la vertenza sui territori lungo il fiume tra le due signorie: il documento di conciliazione è noto come il celebre «placito di monte d’Argento»).
Quando le truppe bizantine riuscirono a liberarsi del ribelle Melo assoggettando la Puglia, Atenolfo e suo fratello Pandolfo, diventato nel frattempo nuovo principe di Capua, non esitarono a schierarsi con i Bizantini. Come ricompensa Atenolfo ebbe dal catapano un privilegio e dei beni in Trani. Intanto assoldò dei mercenari normanni per contrastare le scorrerie dei conti di Aquino e Venafro e li mise a guardia del castello di Pignataro, dove rimasero fino alla morte dell’abate20.
Ma Atenolfo non fu soltanto “costruttore”, come detto più su; infatti a lui si deve anche un’opera di demolizione a discapito del nascente castello di Acquafondata. Infatti nell’anno 1019, quando, pur rientrando nel territorio dell’abbazia di Montecassino, lì si cominciò a costruire un castello ad opera dei Conti di Venafro, l’abate Atenolfo21 forse utilizzando le truppe normanne di stanza a Pignataro, scacciò i Venafrani e fece abbattere le case che ivi avevano costruito22. Non sappiamo cosa accadde successivamente, ma è probabile che dopo la morte di Atenolfo i Conti di Venafro si siano di nuovo appropriati della contrada23.
Ma i rapporti cassinesi troppo sbilanciati verso i bizantini compromisero quelli con l’imperatore ed il papa. Fu così che nel 1022, nella sua discesa lungo l’Adriatico verso l’Italia meridionale per riconquistare la Puglia, Enrico II distaccò un contingente di 20.000 soldati dal suo esercito agli ordini dell’arcivescovo di Colonia Belgrimo (Pellegrino) per mandarlo verso Montecassino e Capua ad arrestare, per poi processarli come traditori, Atenolfo ed il fratello Pandolfo24.
Informato di ciò da alcuni amici Atenolfo si rese conto che nulla avrebbe potuto contro una tale potenza, perciò decise di fuggire alla volta di Costantinopoli, dove avrebbe avuto protezione dall’imperatore bizantino25. Giunto ad Otranto, il vescovo di quella città ebbe un sogno: gli era apparso S. Benedetto che gli aveva detto di avvertire Atenolfo di non prendere in alcun modo il mare perché altrimenti sarebbe perito26. Ma l’abate non prestò fede a tale premonizione e si imbarcò ugualmente andando incontro al suo destino naufragando con i suoi compagni di viaggio e tutto ciò che si portava appresso (in mare naufragium passus atque demersus est): era il 30 marzo 1022.
Quando l’imperatore venne a sapere del naufragio commentò: ha scavato un lago, lo ha riempito ed è precipitato nella fossa che si è scavato27. Tra le varie cose che l’abate aveva portato con sé, sia in libri che oggetti preziosi, andarono perduti nove precepta di imperatori e principi con bolla aurea, nonché il precetto di casa Genziana e la «piscaria» di Lesina, come pure la carta della località detta «Publica» in territorio di Pontecorvo (oggi Polleca), la permuta di Calinola, il precetto di monte Asprano di Castrocielo e due titoli di cessione di sant’Erasmo di Capua28. Questa perdita procurò in seguito all’abbazia numerose contestazioni sulle sue reali proprietà.
Intanto l’arcivescovo Belgrimo, non avendo trovato in sede l’abate, volse verso Capua e la cinse d’assedio nel timore che il principe Pandolfo seguisse l’esempio del fratello dandosi alla fuga. Ma questi, per timore del tradimento da parte dei suoi, si consegnò a Belgrimo sperando di poter dimostrare all’imperatore di non essere un traditore. Portato a processo fu condannato a morte; ma su supplica dello stesso Belgrimo fu graziato e mandato in Germania29.
Intanto la sede abbaziale di Montecassino era rimasta vacante. Il 28 giugno 1022 l’imperatore Enrico e papa Benedetto VIII si recarono in abbazia. Lì alla loro presenza si procedette alla nomina del nuovo abate30; inizialmente si era proposto di insediare il vecchio Giovanni detto Rotondolo, che partecipava al capitolo, ma poi, per la sua veneranda età, si decise di soprassedere e di nominare il reverendo Teobaldo, uomo di grande prestigio, già amministratore delle Marche, uomo di fiducia di Enrico, come 32° abate di Montecassino31. In tal modo l’abbazia uscì dall’orbita capuana per riaccostarsi all’impero. Ma ben presto Pandolfo IV ritornò sulla scena estromettendo l’abate Teobaldo e ponendo l’abbazia sotto la sua tutela32.
Periodo molto ingarbugliato questo, che si risolse solo con l’avvento dell’abate Desiderio (ab. 1058 al 1087).
Circa la fondazione della città di San Germano non abbiamo una data precisa: abbiamo i termini post quem e ante quem tra il 1011 ed il 1022. Essendo presumibilmente durata un certo numero di anni la costruzione, si può – ma solo convenzionalmente – porre l’effettiva nascita della città poco prima della morte di Atenolfo. Dunque, sempre convenzionalmente, possiamo accettare l’inizio del millennio di Cassino tra il 2020 e, al massimo, 2021.
Avevo in precedenza auspicato che si festeggiasse il primo millennio di Cassino. Ma non si può celebrare la nascita della città senza celebrarne anche il fondatore. Ritengo sia quanto meno opportuno dedicare a questo abate un riconoscimento pubblico, come l’intitolazione di una strada o piazza, possibilmente al centro: è così che si rende onore a un fondatore.
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NOTE
1 Si veda E. Pistilli, Cassino non è erede di Casinum, in «Studi Cassinati», n. 3/2020.
2 22 ottobre 883: Chronica Sancti Benedicti Casinensis, a cura di G. Waitz, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannover, 1878, p. 476; Chronica Monasterii Casinensis, ed. H. Hoffmann, M.G.H., Scriptores, XXXIV, Hannoverae (in seguito solo Chron. Cas,), 1980, l. I, cap. 44.
3 Ivi, I, 33; Chronica S. Bened. Cas. … cit, p. 476.
4 Chron. Cas., II, cap. 32: Civitatem deorsum circa ecclesiam, Domini Salvatoris, quam supra diximus a sancto Martyre Christi Abbate Berthario inchoatam, ex magna parte construxit.
5 Ivi, cap. 38. Più volte Ludovico II si recò a Montecassino; addirittura nell’869 vi si recarono insieme: Ludovico, sua moglie Engelberga, papa Adriano II e re Lotario II.
6 Chron. Cas., II, cap. 30.
7 Ivi, cap. 30; vd. anche E. Pistilli, Santa Maria dell’Albaneta, Prepositura di Montecassino, CDSC-Onlus 2016, p. 15.
8 Chron. Cas., cap. 28.
9 Ibidem.
10 Ivi, cap. 29.
11 Ibidem; vd. anche T. Leccisotti in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 4, sub voce Atenolfo (521-522).
12 Nel 1146 venne canonizzato da papa Eugenio III; è protettore delle teste coronate.
13 Chron. Cas., II, capp. 31-32.
14 T. Leccisotti, loc. cit.
15 Chron. Cas., l. II, cap. 32.
16 Ivi, cap. 29.
17 Ivi, l. II, cap. 32.
18 Per la torre campanaria si veda E. Pistilli, La torre campanaria di Cassino, 2ª ediz. CDSC-Onlus, 2013, con la relativa bibliografia a cui rimando.
19 Chron. Cas., L. II, cap. 31.
20 Ivi, l. II, cap. 38: Abbas, necessitate coactus, fortissimos aliquot sibi ex praefatis Normannis ascivit, eosque iuxta se in oppido, quod Piniatarium nuncupatur, non longe a civitate sancti Germani ad Monasterii tutanda constituit, quod quidem illi, quamdiu Abbas ipse superfuit, strenue satis, et fideliter executi sunt.
21 Ivi, cap. 37. L. Fabiani, La Terra di S. Benedetto, I, Montecassino, 1968, p. 96, erroneamente attribuisce il fatto all’abate Teobaldo, si tratta di un evidente lapsus.
22 Chron. Cas., II, 37: Tunc temporis Benafrani Comites in possessione hujus Monasterij, quae Vitecusum dicitur, ingredientes, Castrum ibidem, et in loco qui dicitur Aqua fundata, aedificare coeperunt. Quod dum Abbati Atenulfo nuntiatum fuisset, missis militibus, illos injurijs affectos, verberibus honustos, de huius Monasterij finibus expulit, et quae aedificaverant a fundamentis evertit: «in quel tempo i Conti di Venafro, penetrando nei possedimenti di questo Monastero denominati Viticuso, cominciarono a costruirvi un castello, lo stesso nel luogo detto Acqua fondata. Ma appena l’abate Atenolfo ne venne a conoscenza inviò dei soldati, che li aggredirono con violenza, e li scacciarono a bastonate dai confini del Monastero distruggendo dalle fondamenta tutto quanto avevano costruito».
23 E. Pistilli, Acquafondata e Casalcassinese, 2004, p. 16.
24 Chron. Cas., l. II, cap. 39.
25 Ibidem.
26 Ibidem: Vade, ait, et dic abbati, ut nullatenus ingredi mare hac vice pertemptet, quoniam, si fecerit, sine dubio peribit.
27 Lacum aperuit et effodit eum et incidit in foveam, quam fecit.
28 Ibidem.
29 Ivi, l. II, cap. 40.
30 Ivi, l. II, cap. 42.
31 Ibidem.
32 Ivi, II, cap. 58.
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