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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 3-4
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di Gaetano de Angelis-Curtis
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A Roccamonfina, delizioso e piacevole Comune famoso per i suoi castagneti, ubicato in provincia di Caserta, diocesi di Teano-Calvi ed edificato all’interno del cratere dell’omonimo vulcano, si trova il santuario della Madonna dei Lattani che sorge a 850 metri s.l.m. sul versante orientale del monte dei Lattani sovrastante l’abitato. La struttura religiosa fu edificata attorno al 1430 da San Bernardino da Siena e da San Giacomo della Marca giunti in quei luoghi dopo aver appreso la notizia del miracoloso ritrovamento di una statua della Madonna. La chiesa fu detta dei Lattani dal nome dell’omonimo monte o, secondo altri, dalla presenza di una leggendaria capretta definita «lattifera» oppure, per altri ancora, la sua denominazione sarebbe legata al culto delle fonti. Il complesso, che si compone della chiesa, del convento e del cosiddetto «Protoconventino», fu affidato da papa Eugenio IV, nel 1446, ai Francescani mentre papa Paolo VI nel 1970 ha elevato il santuario a basilica minore.
All’interno della chiesa, a un’unica navata con volta a crociera, si trova una cappella dedicata alla Vergine dei Lattani in cui è collocata la statua di Madonna con Bambino che parrebbe databile al IX secolo. Invece lungo la parete destra della navata principale si trova una lastra marmorea delle dimensioni di m. 100×80 collocatavi nel 1676 e che a distanza di trecentocinquanta anni appare ancora integra. Dunque la chiesa, sulla sinistra, ospita il suo bene più prezioso rappresentato dalla venerata immagine della Regina Mundi, mentre invece sulla destra si trova la lapide che ricorda la traslazione dall’altare alla parete, avvenuta il 14 novembre 1676, dei resti di un tal «Fra Domenico da S. Germano». Proprio la presenza di tale lastra fa presagire che quel frate sia stato un personaggio importante, in particolare, per la comunità francescana di Roccamonfina.
Testo della prima lapide:
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Testo della seconda lapide:
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«Fra Domenico»
Immediatamente sorge la domanda di chi fosse tal «Fra Domenico da S. Germano», seguita poi dal perché sia stato ricordato con una lapide, perché quella iscrizione, chi è stato quel frate, ecc.
Dalla scritta riportata sulla lapide si evince che essa chiude il «deposito» dei resti mortali di fra Domenico. Quest’ultimo, un frate francescano, «umilissimo servo di Dio», era morto il 18 marzo 1640 (in realtà il 17 marzo alle ore 20-21)1. Egli era stato inizialmente seppellito, come avveniva allora per i religiosi, sotto l’altare maggiore della chiesa ma poi, a trentasei anni di distanza, si giunse alla decisione di spostare le sue «ossa e ceneri». Venne così ricavata una nicchia nella parete di destra, all’incirca a metà della navata, e ottenuta l’autorizzazione dal vescovo di Teano, mons. Ottavio Boldonio2, il 14 novembre 1676 fu eseguita la traslazione con l’apposizione dalla lastra marmorea a chiusura della nicchia. Le operazioni furono sovrintese dal nolano fra Teofilo Testa, ministro provinciale francescano di Terra di Lavoro3, che «vide, escogitò, eseguì, inscrisse» e, quindi, dettò anche l’iscrizione della lapide.
Se dunque la lapide ha assolto pienamente alla sua funzione, quella, cioè, di scongiurare che il «Sacro Deposito» venisse dimenticato dalle generazioni future, poco o pochissimo è noto relativamente alla vita, alla figura, all’attività religiosa di fra Domenico (e quel po’ che si sa è frutto peraltro di una lunga tradizione orale familiare). Ora se non fosse per quella lastra apposta sul muro si sarebbe perso per sempre il suo ricordo e proprio quella lapide funge da stimolo per la ricerca storica ed esorta alla conoscenza.
Innanzi tutto di tal «Fra Domenico» va chiarito che il suo nome di battesimo non doveva essere quello di «Domenico» poiché fu così denominato quando arrivò alla chiesa dei Lattani a Roccamonfina su espresso desiderio del suo padre spirituale, un gentiluomo napoletano, p. Domenico Giordano detto Mantino, poi vescovo di Isernia, che lo aveva accolto e vestito dandogli l’abito di S. Francesco. Va ricordato, inoltre, che il cognome di fra Domenico, ben presto scomparso, era quello di De Filippis. Infine va precisato che «Fra Domenico da S. Germano» non era originario di S. Germano, cioè non proveniva dalla città di S. Germano (l’attuale Cassino, come allora si chiamava) ma dal Cassinate e precisamente dal paese di Acquafondata4. Tuttavia non si conoscono dati biografici a lui riferibili (data di nascita, paternità, maternità, né se fosse figlio unico o meno, né se sapesse leggere e scrivere) e neppure quando abbia lasciato Acquafondata per giungere a Roccamonfina (forse all’età di 25 anni). La tradizione locale tramanda che fosse di umili origini, che lavorava portando al pascolo i buoi della sua famiglia, ma che fin da giovanissimo aveva una fervida adorazione per la Madonna. Si ricorda che quando si fermava a pregare, «in dolce estasi», nei pressi della chiesa di Sancta Maria de Centumcellis ubicata ai piedi dell’abitato di Acquafondata, erano gli angeli che continuavano a seguire il suo lavoro di bovaro sui campi. Quindi la devozione continuò poi di fronte all’immagine della Regina Mundi ai Lattani e poi a S. Maria la Nova a Napoli davanti alla venerata Madonna delle Grazie, per finire, di nuovo, a Roccamonfina.
Nella tradizione dei Lattani fra Domenico è ricordato per le sue estasi come quando aveva visto la «festa di angeli» con cui era stata portata in Paradiso l’anima della duchessa di Presenzano al momento della sua morte. Poi quando fu spostato a Gaeta, e dopo a Capua e quindi a Napoli nella chiesa di Santa Maria la Nova, fra Domenico fu «quotidianamente visitato da cavalieri e persone divote» per «ricevere consiglio, conforto e, mediante la sua intercessione, anche delle grazie».
Nel 1638 fra Domenico fece ritorno a Roccamonfina dove trascorse i suoi ultimi tre anni «menando sempre buona vita, digiunando a pane ed acqua, facendo orazioni sì in detto Convento che fuora nei luoghi secreti di detto Convento».
Fra Domenico morì sabato 17 marzo 1640 e fu seppellito al di sotto dell’altare maggiore della chiesa. Tuttavia a trentasei anni di distanza la comunità monastica francescana dell’epoca sentì l’esigenza di traslare i resti umani di fra Domenico per cui decise di spostarli, facendoli rimanere sempre all’interno della chiesa, ma riponendoli in una nicchia scavata appositamente nella parete. Ma perché sorse tale esigenza? Anche qui non esistono fonti storiche certe sui motivi che indussero allo spostamento. La tradizione orale vuole che dopo la tumulazione di fra Domenico, nella chiesa si sentissero dei rumori strani provenienti dalla sepoltura sotto l’altare come se qualcuno o qualcosa bussasse o battesse sul pavimento (“tuccurellasse” nella forma dialettale, quasi manifestasse un disagio nell’essere stato tumulato assieme a dei sacerdoti). Furono proprio quei rumori, sempre secondo la tradizione, che portarono il padre guardiano dei Lattani a chiedere al superiore maggiore di autorizzare lo spostamento dei resti di fra Domenico in un luogo più dignitoso e maggiormente visibile. Allora fu presa la decisione di spostare i resti di fra Domenico riponendoli in una nicchia ricavata nel muro della chiesa e apponendovi a chiusura la lapide.
Di certo trecentocinquanta anni or sono i francescani dei Lattani non avrebbero collocato i resti di un loro confratello nella navata centrale di quell’edificio sacro dedicato alla Madonna, apponendo la lapide a ricordo imperituro, se non fossero stati effettivamente convinti che effettivamente fra Domenico avesse vissuto e fosse morto in «questo Monistero con sommo grado di Santità».
Tuttavia nel corso dei secoli la devozione nei confronti di fra Domenico si è andata affievolendo se non perdendo completamente. Così si vennero a interrompere i pellegrinaggi che venivano organizzati annualmente e che servivano sia a tenere vivo il ricordo sia a incrementare il culto. Le cause di tale interruzione sono state individuate nelle tragiche vicende storiche che si sono venute a verificare in anni di guerra: il 1848, la Prima e poi la Seconda guerra mondiale che arrivò persino a polverizzare la reliquia del «Ditone» di fra Domenico. Addirittura nel 1921-22 all’interno del Santuario, davanti alla lapide, era stato posto un confessionale che dunque finì per celare allo sguardo dei fedeli l’epigrafe e che fu leggermente spostato solo nel 1933 in modo che l’epitaffio rimanesse leggermente scoperto.
In quegli anni la devozione era rimasta quasi esclusivamente all’interno di alcune famiglie di Acquafondata. Ad esempio don Vincenzo De Filippis, originario di Acquafondata, fin da giovane si recava alla Madonna dei Lattani assieme alla madre, al fratello Ferdinando, allora seminarista, e alle sorelle per pregare per la salute dello stesso sacerdote ammalato di malaria. Quando poi a inizio 1900 divenne parroco di Cescheto di Sessa Aurunca, periodicamente organizzava, in occasione della Pentecoste e di altre solennità religiose, dei pellegrinaggi al santuario dei Lattani con i suoi parrocchiani ai quali spiegava che quel fra Domenico era suo zio. Ad Acquafondata si conservava «gelosamente» una reliquia di fra Domenico, cioè il «ditone», il pollice del frate francescano che egli stesso, secondo la tradizione locale, si sarebbe staccato dalla mano per farne regalo ad alcuni nipoti venuti a trovarlo poco prima che spirasse, oppure, secondo altri, il dito sarebbe caduto dopo la sua morte. La sacra reliquia era conservata in una piccola teca con la parte superiore in cristallo. Fu tramandata di generazione in generazione nella famiglia originaria di fra Domenico finché fu portata dall’ultima erede a Vallerotonda dove però scomparve, andando dispersa o distrutta dopo il 13 ottobre 1943 nel corso dei bombardamenti subiti da quel Comune nella Seconda guerra mondiale.
Il «risveglio devozionale»
Tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta del Novecento si è assistito a un «risveglio devozionale» della figura di fra Domenico. Si verificarono alcune felici combinazioni di eventi che portarono ad una entusiastica serie di studi, ricerche, convegni, ricognizioni, il tutto teso a ricordare e a rinverdire la devozione nei confronti di fra Domenico nonché a esplorare concretamente e fattivamente la possibilità di una canonizzazione del frate di Acquafondata.
Tutto partì dal ritorno al convento dei Lattani, come padre superiore, di padre Tito Robertella, docente di Scienze bibliche e appassionato cultore di storia locale, che nel 1933 aveva iniziato il suo noviziato proprio nella struttura francescana di Roccamonfina. Egli, evidentemente incuriosito dalla lapide presente nella chiesa, iniziò a svolgere indagini e studi per approfondire la conoscenza della figura di fra Domenico. Iniziò così a scrivere lettere e articoli, e parlò a più riprese del frate di Acquafondata nei quattro annuali Convegni provinciali dei frati non sacerdoti, quelli del 1968, 1969, 1970 e 1971 e incontrò casualmente Giovanni Battista De Filippis5 (20 luglio 1969), di famiglia originaria di Acquafondata, e Torquato Vizzaccaro6 (giugno 1970). Fu tutto un fervore di indagini bibliografiche e soprattutto di ricerche di testimoni e devoti che conoscessero la storia di fra Domenico e ai quali fu chiesto di rendere delle dichiarazioni scritte. Tra attese, speranze e delusioni poterono essere scoperti preziosi particolari che le fonti scritte ignoravano. Un altro fervente devoto anch’egli di Acquafondata, il maggiore Agostino Papa, indicò anche la casa, con annessa la stalla, dove, secondo la tradizione orale locale aveva vissuto fra Domenico.
Tutto questo fervore, che venne a coincidere con l’elevazione del santuario dei Lattani a Basilica minore (avvenuta 2 agosto 1970), portò:
– 31 luglio 1970: svolgimento di un intervento tenuto da Torquato Vizzaccaro nella chiesa dei Lattani;
– 23 agosto 1970: svolgimento di un convegno ad Acquafondata alla presenza dei vescovi di Teano (Sperandeo) e di Isernia (Palmerini), del sindaco della cittadina, Giovanni Fuoco, di Luigi Fabiani prefetto di Salerno, di Angelo Gaetani preside del Liceo classico di Cassino, mentre le relazioni furono tenute da Torquato Vizzaccaro e Giovanni Battista De Filippis;
– luglio, agosto, settembre 1970: pubblicazione di svariati articoli su giornali, riviste, bollettini come «Il Mattino», «Il Roma», «L’eco del popolo», «Il Messaggero», «Il Gazzettino del Lazio», «La Gazzetta Ciociara», «L’Avvenire d’Italia», «La Celeste Madre dei Lattani», «Guida del Santuario»;
– 14 novembre 1970: richiesta del parroco di Acquafondata, don Michele Romano, di una reliquia di fra Domenico;
– 4 agosto 1971: realizzazione da parte di padre Costantino Comparelli, passionista di Conca della Campania, dottore in lettere, di un quadro, commissionato dal sig. Carlo Rota, raffigurante il «prodigioso regalo del “Ditone”», collocato poi nella foresteria conventuale dei Lattani;
– maggio 1972: richieste di Canonica ricognizione avanzate dalla forania di Roccamonfina, dalla parrocchia di Conca della Campania, dalla Curia provinciale di Napoli dei Frati minori;
– 1 agosto 1972: ricognizione della tomba;
– 13 agosto 1972: solenne rievocazione ai Lattani, con celebrazione di una S. Messa alla presenza di 60 parrocchiani venuti da Acquafondata, e con l’intervento di padre Robertella;
– 8 febbraio 1973: sistemazione di cinque reliquie, prelevate dal sepolcro, in altrettante teche che, sigillate, furono consegnate al vescovo di Teano, mons. Sperandeo, al vescovo di Isernia, mons. Palmerini, al provinciale di Napoli dei francescani, padre Lombardi, al Santuario dei Lattani e alla comunità parrocchiale di Acquafondata;
– 14 aprile 1973: risistemazione del sepolcro di fra Domenico (rimasto non murato dalla ricognizione per otto mesi) che fu «rifabbricato in maniera più decorosa ma quasi identica alla originaria». La lapide del 1676 fu elevata di circa 15 cm da terra guadagnando lo spazio dove venne inserita la seconda piccola lapide a ricordo della ricognizione, nonché davanti alle lapidi fu posta una grata in ferro;
– 1973: stampa di alcune pubblicazioni specifiche, quella di p. Tito Robertella intitolata Un fiore dei Lattani, Fra Domenico di Acquafondata, Casamari 1973 di pp. 210; quella di Torquato Vizzaccaro intitolata Frate Domenico De Filippis d’Acquafondata, Casamari 1973 (che riporta l’intervento tenuto ad Acquafondata il 23 agosto 1970).
Tentativi di avvio del processo di beatificazione
Il fervore venutosi a determinare non consentì però di avviare un processo di beatificazione. Il vescovo di Teano interessò della questione mons. Salvatore Vitale, avvocato della S. Congregazione di Riti che si occupa delle cause dei Santi, il quale rispose il 24 giugno 1971 lodando lo studio condotto da padre Robertella ma lamentando la scarsità di notizie su fra Domenico e avvertendo che quelle note non apparivano sufficienti per chiederne la beatificazione. Infatti mons. Giovanni Papa, aiutante di studio della S. Congregazione per le Cause dei Santi, nell’incontro svoltosi il 14 dicembre 1972 sconsigliò l’avvio del processo per la causa di beatificazione per gli stessi motivi.
Fra Domenico è ricordato per la cura del mal di testa, avvalorato da testimonianze scritte raccolte nel 1972, così come di grazie ricevute da persone guarite da insufficienze epatiche o da disturbi epidermici.
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NOTE
* Testo dell’intervento tenuto nel convegno sulla figura di fra Domenico tenutosi ad Acquafondata il 23 agosto 2019, organizzato dal Comune di Acquafondata con interventi di S.E. Mons. Gerardo Antonazzo vescovo della Diocesi di Sora, Cassino, Aquino, Pontecorvo, di p. Adriano Pannozzo, padre guardiano del santuario dei Lattani di Roccamonfina, del sindaco di Acquafondata, Antonio Di Meo, e dell’arch. Silvano Tanzilli progettista e direttore dei lavori di recupero della chiesa di Santa Maria de Centumcellis. Va dato atto all’Amministrazione Comunale di Acquafondata del sindaco Di Meo di aver voluto meritoriamente ricordare, in particolare alle nuove generazioni, la figura di frate Domenico per ravvivarne la devozione e farla conoscere. Le notizie riportate nel testo sono ricavate dal volume di p. Tito Robertella, Un fiore dei Lattani, Fra Domenico di Acquafondata, Casamari 1973 a cui si rimanda, così come alcune delle foto qui riprodotte.
1 La lapide riporta come data di morte di fra Domenico quella del 18 marzo 1640, mentre altre fonti, attendibili e più specifiche, attestano che «estenuato dalle sue continue veglie ed aspri digiuni», sia deceduto il 17 marzo 1640 all’incirca alle due di notte mentre il giorno successivo, domenica 18 marzo, si svolsero le esequie e fu seppellito nella chiesa tutta gremita di fedeli.
2 Mons. Ottavio Boldoni, vescovo della Diocesi di Teano dal 1660 al 1681, non partecipò personalmente alla traslazione avendola soltanto autorizzata con «benevola condiscendenza».
3 Teofilo Testa (1631-1691), dotto frate originario di Nola, è ricordato nella lapide con i titoli di «Lettore giubilato» cioè docente di Teologia, «ex guardiano di Gerusalemme» cioè già superiore provinciale dei francescani detto anche Custode di Gerusalemme, nonché ministro provinciale francescano di Terra di Lavoro nel triennio 1674-1677. Fu poi vescovo di Tropea.
4 Acquafondata è uno dei 91 Comuni della provincia di Frosinone. Si compone essenzialmente di due centri: Acquafondata centro ubicato su un poggio a 926 mslm, mentre a 4 km di distanza, lungo la strada che porta a Pozzilli-Venafro, si trova la frazione di Casalcassinese. Storicamente il territorio di Acquafondata entrò a far parte della donazione che Gisulfo II, duca longobardo di Benevento, aveva fatto nel 744 al monastero di Montecassino da cui si originò la Terra di S. Benedetto. Tuttavia esso si trovava a confine con la contea di Venafro per cui per secoli fu rivendicato, conquistato, perso, conteso. Poi attorno all’anno mille entrò definitivamente nell’orbita di Montecassino grazie all’atto di donazione fatto dal conte di Venafro, ed entrò definitivamente a far parte anche della Diocesi di Montecassino. A distanza di un migliaio di anni, le leggi di eversione della feudalità emanate nel corso del cosiddetto decennio dei Napoleonidi (1806-1815), portarono alla soppressione di Montecassino e della sua Diocesi e Acquafondata fu assegnata a quella di Venafro. Quando poi, con il ritorno dei Borbone, fu ricostituita la Diocesi cassinese essa riacquisì tutte le parrocchie con l’eccezione di quelle di Acquafondata, Casalcassinese e Viticuso che continuarono a permanere nella Diocesi di Venafro. Poi il processo di riordino della geografia ecclesiastica avviato dalla Santa Sede negli anni Settanta del Novecento, portò alla riannessione delle tre parrocchie, con decreto n. 8526/77 del 21 marzo 1977, alla Diocesi di Montecassino, poi dal 24 ottobre 2014 divenuta Diocesi di Sora, Cassino, Aquino, Pontecorvo. Dal punto di vista amministrativo, a inizio del 1800 i centri di Acquafondata, Casalcassinese e Viticuso vennero riuniti in un unico Comune denominato «Viticusi e Acquafondata» che fu inserito nel circondario di Cervaro, appartenente alla storica provincia di Terra di Lavoro o provincia di Caserta. Quindi Acquafondata (con la sua frazione di Casalcassinese) riottenne la sua autonomia amministrativa con legge 26 giugno 1902 n. 254.
5 Giovanni Battista De Filippis (1907-1985), otorinolaringoiatra con studio a Roma e Cassino, fu il primo a istituire tra le macerie della «città martire», negli anni della ricostruzione post bellica, un presidio sanitario in collaborazione con l’Istituto Eastman, rivolto soprattutto a cure odontoiatriche per bambini. Pubblicò vari articoli su periodici locali, come «Il Rapido», firmati con lo pseudonimo di «Gianfilippo». Amico di Gaetano Di Biasio, che ospitava con Mosè De Rubeis ad Acquafondata, redasse una biografia del primo sindaco del dopoguerra di Cassino pubblicata sulla «Gazzetta Ciociara» nel 1979. Ha lasciato un diario personale sul dopoguerra in tre corposi volumi, intitolato Terra bruciata.
6 Torquato Vizzaccaro (1918-1983), docente, ha svolto importanti e fondamentali ricerche di carattere storico su Cassino, il Cassinate, la Valle di Comino, su Montecassino, l’arte, il brigantaggio, ecc. Relatore di numerosi convegni e conferenze, ha pubblicato numerosi volumi di storia locale e ha avuto il merito di riavviare gli studi su tali ambiti territoriali nel dopoguerra.
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