Annibale alle porte di Roma (dopo avere attraversato il Cassinate).

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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 1-2
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di Francesco Sabatini

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La notizia che Annibale, lasciata Capua assediata ormai da due anni dall’esercito romano, era diretto a Roma, fu subito comunicata al Senato dal generale Quinto Flavio Flacco, a mezzo di un messaggero a cavallo. Alcuni giorni dopo Annibale aveva già raggiunto Fregelle (nel territorio oggi di Ceprano), i cui abitanti a loro volta inviarono a Roma una staffetta che, come poi scriverà Tito Livio, impiegò un giorno ed una notte ininterrottamente per arrivare a destinazione. E in città si diffusero sgomento e terrore: i senatori decisero di riunirsi senza interruzione per fronteggiare ogni emergenza, molti cittadini abbandonarono la città nella speranza di trovare altrove un rifugio sicuro ma coloro che si imbatterono nell’avanguardia cartaginese furono depredati, imprigionati o uccisi; le matrone, che secondo i costumi austeri del tempo raramente uscivano di casa, percorrevano in lacrime le strade dirette ai templi e qui, genuflesse e con le chiome disciolte dinanzi agli altari, invocavano la protezione degli dei.

Era la fine di marzo dell’anno 211 a.C., Annibale, non ancora trentenne, aveva valicato le Alpi sette anni prima alla testa di un esercito di 25 o 30.000 soldati e di numerosi elefanti ed aveva sconfitto i Romani al Ticino, alla Trebbia, al Trasimeno e nel 216 a Canne. Di qui, senza marciare subito verso Roma ormai allo stremo, come gli suggerivano i suoi consiglieri, si portò a Capua ove trascorse l’inverno con l’esercito. La città, che era stata fondata nel VII secolo dagli Etruschi e poi conquistata dai Sanniti, da pochi anni era entrata nell’orbita romana e all’epoca per ricchezza e numero di abitanti era la seconda città d’Italia dopo Roma. Capua, che sorgeva nell’area della odierna Santa Maria Capua Vetere, divenne così alleata di Annibale infrangendo il patto di alleanza stabilito con i Romani, un affronto che essi non potevano tollerare per ragioni politiche ed economiche. Di qui l’assedio della città. Infatti trascorso l’inverno e allontanatosi Annibale verso l’attuale Calabria, l’esercito romano, che contava circa 50.000 soldati ed era al comando di Appio Claudio e di Fulvio Flacco, circondò la città. Ai due, che nell’anno precedente erano stati consoli, il Senato, per evitare vuoti di potere in considerazione della guerra in corso, aveva prorogato l’imperium, e cioè il comando militare delle legioni loro affidate. Ciascuno di essi aveva i titoli di proconsole e, nel senso di magistrato titolare dell’imperium, ma in una accezione ben diversa da quella che avrebbe assunto due secoli dopo a partire da Augusto, di imperatore.

Di fronte alla ripresa delle ostilità da parte dei Romani, i Capuani richiesero l’intervento di Annibale. Come scrive Livio, il generale cartaginese «lasciata una gran parte di bagagli in territorio bruzio e tutti i soldati con armamento pesante, si avviò con reparti scelti di fanti e di cavalieri più spedito che poteva» e con al seguito anche numerosi elefanti. Vi furono bensì degli scontri tra i due eserciti ma Annibale, consapevole, data la sproporzione delle forze in campo, della impossibilità di rompere l’assedio, decise all’improvviso di dirigersi verso Roma.

Era mosso dalla curiosità di vedere da vicino l’odiata città nemica o sperava che l’esercito romano rinunciasse all’assedio per correre a difendere la patria in pericolo o sperava che si verificasse un qualche evento imprevedibile che gli consentisse di entrare finalmente a Roma?

Ma quale fu l’itinerario seguito dai Cartaginesi? Due erano le strade che all’epoca collegavano Roma con Capua: l’antichissima via Latina e la via Appia. La prima (il suo tracciato corrisponde in parte all’attuale via Casilina), risalente ad epoca remota, era stata adeguata dai Romani alle esigenze commerciali ma soprattutto militari verso la fine del V secolo a.C. dopo la sottomissione dei Volsci e ricalcava gli antichissimi sentieri che collegavano i vari borghi sorti sulle alture circostanti. La via Appia invece era stata costruita ex novo un secolo prima da Appio Claudio il censore, antenato dell’omonimo generale assediante, durante lo svolgimento delle guerre sannitiche, era uno straordinario esempio di ingegneria e, come le moderne autostrade, seguiva finché lo stato dei luoghi lo consentiva percorsi rettilinei. La via Latina tra Roma e Capua misurava 146 miglia (216 Km) mentre la via Appia era più breve di 22 km. Come già la via Latina, anche la via Appia usciva da Roma dalla porta Capena, forse in origine denominata porta Capuana, salvo a biforcarsi all’incirca un miglio dopo con la via Latina che volgeva a sud-est mentre la via Appia era diretta a sud-ovest in direzione del litorale (a distanza di 2300 anni il bivio è ancora visibile poco dopo l’attuale piazzale Numa Pompilio).

Livio, che scriveva circa due secoli dopo, utilizza due fonti diverse per descrivere la strada seguita dai cartaginesi: secondo una prima ricostruzione, che lo storico mostra di condividere, Annibale percorse la via Latina, mentre secondo altra fonte, quella dello storico Celio di cui non consta siano pervenuti scritti, il percorso si snodò tra la Campania e gli attuali Molise, Abruzzo e alto Lazio. Come tappe della marcia di Annibale, Celio indica nell’ordine: Eretum (una città tra Roma e Rieti), il tempio di Feronia (in agro di Capena), Reate (oggi Rieti), Cotilia (un vicus di Reate ove oltre due secoli dopo morì l’imperatore Vespasiano, di origine sabina, che là possedeva una casa di campagna e pure vi morì, due anni dopo, anche suo figlio Tito), Amiternum (in area su cui poi sorse nel medio evo l’Aquila), Alba (oggi nota come Alba Fucens nei pressi di Avezzano) e Sulmona. Livio afferma che di sicuro Annibale attraversò queste città senza però curarsi di precisare se ciò avvenne nel viaggio di andata o in quello di ritorno. Tuttavia con ragionevole certezza può affermarsi che Annibale seguì nel viaggio di andata un lungo tratto della via Latina e per il ritorno un tratto della via Salaria (come avrebbero fatto reparti tedeschi in ritirata durante la seconda guerra mondiale di fronte all’avanzata delle forze alleate verso Roma) per poi dirigersi verso l’estremo sud della penisola preferendo seguire un itinerario lungo il versante adriatico della penisola. Infatti aveva deciso, fin da subito, di tornare nel meridione ove aveva i suoi fortilizi e contava su numerosi alleati abbandonando Capua ritenendo che fosse indifendibile ed ormai prossima ad arrendersi e che dunque era del tutto inutile tornare a difenderla, anche perché tutto il vasto territorio circostante era pattugliato dall’esercito romano che aveva disposto il blocco navale lungo il mar Tirreno per impedire rifornimenti alla città. L’abbandono di Capua al suo destino costò ad Annibale l’accusa di tradimento non solo da parte dei Capuani ma anche dal presidio Cartaginese che egli aveva lasciato a difesa della città.

Che nel viaggio di andata Annibale abbia seguito la via Latina si desume dalla coerenza topografica e dalla dettagliata narrazione di Livio, il che esclude che egli sia potuto incorrere in errori, mentre le affermazioni di Celio sono assolutamente generiche; inoltre l’itinerario indicato da quest’ultimo avrebbe avuto una ben maggiore lunghezza (secondo l’attuale sistema stradale circa 365 km, quasi il doppio della via Latina), con la corrispondente maggiore durata del viaggio, contro gli interessi di Annibale che intendeva giovarsi anche dell’effetto sorpresa. Tutto lascia ritenere che l’equivoco in cui sono incorse le fonti antiche è derivato dal fatto che la via Salaria entrava in Roma dalla porta Collina, proprio la porta alla quale si avvicinò Annibale, che necessariamente dovette seguirne il tratto finale.

L’itinerario attraverso la via Latina precisato da Livio presenta qualche dubbio per il primo tratto da Capua a Cassino. Le città indicate sono, nell’ordine, Cales (odierna Calvi Vecchia, sulla via Latina), Suessa (l’odierna Sessa Aurunca) il cui territorio confinava con la via Latina, Alife il cui territorio, non prossimo alla via Latina, è attraversato dal fiume Volturno: Annibale o traghettò l’esercito in territorio alifano e successivamente imboccò la via Latina, e quindi l’ordine indicato da Livio è erroneo, o se esatto, dopo aver percorso un primo tratto della via Latina, abbandonò il percorso per seguire la riva destra del fiume Volturno verso monte fino a Venafro per poi ridiscendere in pianura e riprendere la via Latina, e ciò per evitare di poter essere preso alle spalle dall’esercito nemico.

Il percorso invece da Cassino alle porte di Roma è indicato con precisione: Annibale, dopo la sosta a Cales ed un primo saccheggio, si fermò due giorni nel territorio di Cassino abbandonandosi ad altri saccheggi, proseguì attraverso i territori di Interamna, Aquino, Fregelle (gli abitanti per ritardare la marcia di Annibale distrussero un ponte sul Liri, merito che non valse alla città la distruzione, disposta dai Romani pochi decenni dopo, nell’anno 125), Frosinone, Ferentino, Anagni, Labico, Algido e Tuscolo. Qui Annibale deviò sulla destra verso la via Prenestina, attraversò Gabi e pose l’accampamento a otto miglia da Roma, avanzandolo poi a tre miglia nei pressi del fiume Aniene. Di qui egli con 2.000 cavalieri al seguito si presentò dinanzi alle mura della città, secondo la tradizione dinanzi alla porta Collina; e resosi conto della possenza delle mura scagliò all’interno di esse un giavellotto alla cui punta era stato precedentemente applicato un drappo infiammato. Un gesto di minaccia, di spavalderia o di frustrazione, visto che, sebbene già informato dalle spie di cui disponeva, si rese conto che gli ostacoli per entrare in città erano insormontabili non solo per le difese apprestate dai Romani ma anche perché egli non disponeva delle armi belliche necessarie, a cominciare dalle catapulte che sarebbero invece occorse.

Inoltre tra le porte Esquilina e Collina si era già accampato l’esercito di Fulvio Flacco proveniente da Capua. Infatti le istruzioni del Senato al messaggero inviato da Capua avevano rimesso ogni decisione ai due proconsoli, i quali stabilirono che uno di loro sarebbe rimasto ad assediare Capua mentre l’altro avrebbe raggiunto Roma. La scelta cadde su Fulvio Flacco il quale attraverso la via Appia raggiunse Roma entrando dalla porta Capena alla testa di un esercito di 15.000 uomini e di 1.000 cavalieri. I due eserciti erano dunque giunti quasi contemporaneamente, sebbene quello romano fosse partito con un ritardo di cinque o sei giorni: Flacco aveva dunque recuperato il tempo trascorso perché aveva incontrato la piena solidarietà e assistenza delle popolazioni lungo la via Appia (dopo la fine delle guerra il Senato e il popolo romano inviarono a Formia una statua come segno di gratitudine per la fedeltà confermata), mentre Annibale per l’ostilità di quelle stanziate lungo la via Latina era stato costretto a fermarsi più volte per procedere ai saccheggi necessari a soddisfare le esigenze del suo esercito. Delle tre porte citate da Livio rimane ancora oggi in piedi la sola porta Esquilina, ora denominata Arco di Gallieno, in prossimità dell’area in cui secoli dopo sarebbe stata costruita la Basilica Patriarcale di Santa Maria Maggiore: in realtà si tratta di un integrale rifacimento della vecchia porta avvenuto in età augustea, seguito oltre due secoli dopo da un’ulteriore ristrutturazione disposta dall’imperatore Gallieno. La porta Collina si trovava nell’area in cui fu costruito dopo l’Unità d’Italia il Ministero delle Finanze mentre della porta Capena – tra il Celio, il Palatino e l’Aventino – non è rimasta alcuna traccia poiché le mura Serviane, nel cui circuito si aprivano le tre porte, furono smantellate nel corso dei secoli dopo che, a distanza di mezzo millennio all’incirca, furono costruite dall’imperatore Aureliano le nuove mura che ancora oggi si ammirano.

L’assedio di Capua terminò a brevissima distanza dall’avventuroso viaggio di Annibale e fu proprio lo stesso proconsole Fulvio Flacco ad entrare per primo nella città. Si scatenò la vendetta romana per il tradimento dei Capuani: i maggiori responsabili preferirono darsi la morte anziché cadere nelle mani nemiche, i senatori furono dapprima imprigionati in parte a Cales e in parte a Teano e poi processati e giustiziati, molti cittadini furono esiliati o venduti come schiavi. Ingente fu il bottino di guerra: lo Stato acquisì 2.700 libre d’oro e 30.200 libre d’argento e confiscò tutti i fertilissimi terreni circostanti la città, esclusi quelli di proprietà di cittadini romani. Uno di costoro era Quinto Fabio Massimo il temporeggiatore (durante gli ozi di Capua i soldati cartaginesi si erano abbandonati al saccheggio di quelle ricche fattorie esclusa, secondo gli ordini di Annibale, quella di Fabio Massimo nella speranza che a Roma si sollevassero dubbi o accuse sulla condotta militare del vecchio dittatore).

Annibale fu definitivamente sconfitto a Zama, 100 km a sud di Tunisi, nell’anno 202 da Publio Cornelio Scipione che ebbe perciò il titolo di «Africano». Il condottiero cartaginese aveva abbandonato il territorio italico l’anno precedente, richiamato in patria dal Senato di Cartagine e si era imbarcato a Crotone dopo aver fatto incidere su una lamina d’oro le sue gesta vittoriose. La lamina pochi anni dopo fu distrutta dai romani per rimuovere la memoria di quelle gesta.

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Bibliografia

Tito Livio, Storie, libro XXVI
Quilici, Le strade. Viabilità tra Roma e Lazio, Edizioni Quasar

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