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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 1-2
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di Mautizio Zambardi
Il 13 gennaio del 1915, alle ore 7,52 del mattino, una fortissima scossa di terremoto, di magnitudo 7, scosse l’Italia centrale. L’epicentro fu nella Marsica, in Abruzzo, e precisamente ad Avezzano, ad una profondità di 15 chilometri. Molti paesi dell’Abruzzo, del Molise, del Lazio ed anche di quella che era la Provincia di Terra di Lavoro, in Campania, furono rasi al suolo o gravemente danneggiati. Numerose furono le vittime. Secondo i dati del servizio sismico nazionale ci furono 30.519 morti.
Anche il piccolo paese di San Pietro Infine, arroccato su una protuberanza alle pendici di Monte Sambùcaro, facente parte delle alture della catena montuosa delle Mainarde, ebbe notevoli danni, «lesioni più o meno gravi nei fabbricati», ma, fortunatamente, non si registrarono vittime.
Gli edifici pubblici che subirono maggiori danni furono la chiesa di San Nicola, sita nell’omonima piazza, e la chiesa madre di San Michele Arcangelo (Fig. 1).
A seguito di tale terremoto vennero realizzati dei prefabbricati in legno nella parte bassa del paese, nei pressi dell’attuale strada che porta alla Fontana. Tali prefabbricati presero il nome di «Case da pede», cioè case poste ai piedi dell’insediamento medievale. Tale nome rimase nel tempo e divenne il toponimo del luogo, anche quando gli stessi prefabbricati furono tolti.
La chiesa di San Nicola, che già versava in condizioni precarie, subì gravi danni e ingenti crolli e, per tali motivi, non fu possibile procedere al suo restauro, la somma da impegnare per il suo restauro sarebbe stata troppo esosa. Iniziò, quindi, per la chiesa un lento ma inesorabile degrado che la portò alla sua definitiva scomparsa. Sulle sue rovine sorse una nuova costruzione: la sede della Società del Mutuo Soccorso, fondata una decina di anni prima, sulla falsariga della Società Operaia del 18831.
I danni subiti dalla chiesa di San Michele Arcangelo, invece, furono meno tragici. Si ebbe lo sfondamento della navata centrale, a causa del crollo di una parte del tetto sovrastante, e il crollo di parte del tetto del campanile.
Ma, nonostante questi minori danni, il Genio Civile, su segnalazione del sindaco dell’epoca, ordinò prima la chiusura al culto della chiesa e poi l’abbattimento dell’intero edificio.
Fu solo per merito dell’arciprete don Aristide Masia se si impedì l’abbattimento dello storico monumento religioso (Fig. 2).
Don Aristide Masia si oppose energicamente a tale ordine grazie anche all’aiuto costante dell’abate don Gregorio Diamare ed anche dell’appoggio di alcuni influenti cittadini, che si rivolsero direttamente al prefetto di Caserta.
Per tali motivi vi furono dei contrasti tra l’arciprete e il sindaco Giuseppe Comparelli, che voleva, per eccessiva premura, l’abbattimento della chiesa perché temeva per la pubblica incolumità.
Quando finalmente fu certa la notizia che la chiesa non sarebbe stata abbattuta ma riparata, l’arciprete don Aristide Masia propose una solenne processione di ringraziamento sia per lo scampato pericolo dal terremoto che per la revoca dell’ordine di abbattimento della chiesa.
E così, il 17 gennaio del 1915, quattro giorni dopo la tremenda scossa di terremoto, fu rimosso dalla sua teca il Crocefisso Miracoloso e portato in una imponente processione per le strade del paese, con una massiccia partecipazione dei fedeli, delle autorità e delle varie associazioni religiose e civili.
In quella circostanza l’arciprete Masia, con l’appoggio dei fedeli, fece voto di cantare un «Te Deum» ad ogni anniversario di quel terribile terremoto. E tale impegno si sarebbe dovuto portare avanti anche per le future generazioni.
Nonostante la chiesa era chiusa al culto, l’arciprete Masia si adoperò in maniera egregia, non perdendo mai tempo, per farla aprire al più presto ai fedeli.
Chiese personalmente ad amici e conoscenti una colletta per la riparazione della navata centrale e del sovrastante tetto in tegole. E così fu possibile procedere alla loro riparazione. Il tetto sovrastante la navata fu rifatto sostituendo le tegole esistenti con altre del tipo “marsigliese”, il tutto venne a costare 923,50 lire.
Effettuati tali lavori le autorità consentirono la riapertura della chiesa, che avvenne il 12 settembre dello stesso anno, con somma gioia dei fedeli. Il giorno non era stato scelto a caso, infatti coincideva con la festa della Protettrice del paese e cioè la Madonna dell’Acqua.
Quindi don Aristide Masia fece effettuare una perizia dei danni subiti dalla chiesa, a causa del terremoto, dall’ingegnere Alfredo Iucci di Cassino. La perizia per i lavori da eseguire per risistemare la chiesa fu stabilita in 38.200 lire. Tale perizia fu approvata anche dal Genio Civile. Dopo che furono recuperati i fondi necessari l’Unione Edilizia Nazionale di Roma, ne assunse la Direzione dei Lavori e ne affidò l’esecuzione del restauro alla Ditta di Vincenzo Matrunola, del limitrofo comune di San Vittore del Lazio.
I lavori di restauro iniziarono l’otto luglio del 1918. In sintesi i lavori consistettero nel: a) completamento dell’intera copertura del tetto con le tegole del tipo “marsigliese; b) rifacimento della parte superiore del campanile in cemento armato; c) rifacimento di due muri della facciata con la tecnica del cuci e scuci, con utilizzo di pietra calcarea locale; d) inserimento di sette catene in ferro, due delle quali servirono ad ancorare la facciata della chiesa alle mura perpendicolari retrostanti; e) rifacimento del grande arco principale della navata centrale.
A tali lavori se ne aggiunsero, poi, altri voluti e curati da don Aristide e cioè: – vennero risarcite tutte le lesioni nelle volte in calcestruzzo; – i due piani interni del campanile, e le scale per accedervi, furono realizzati con tavole in legno; – vennero sistemate le campane e la cupola, inoltre fu rifatta anche la facciata a stucco e pittura.
I lavori in stucco furono eseguiti da Augusto Farinelli, proveniente da Bologna, per la somma di 1.152 lire, mentre i lavori di pitturazione e decorazione furono eseguiti da Attilio Ruocco, proveniente da Napoli. L’artista, che già aveva operato a San Pietro Infine in passato, rimase ospite dell’arciprete don Aristide Masia, insieme al figlio Alfredo, per un mese intero. Il suo lavoro ammontò a lire 4.255,30.
Dallo stesso Farinelli fu restaurata anche la cupola, con una spesa di 500 lire. Un lavoro che comportò non poche difficoltà per la costruzione dell’impalcatura.
Durante i lavori, per volere di don Aristide, furono realizzati sulle pareti dell’orchestra, all’interno della chiesa, due stemmi, uno raffigurante il papa Benedetto XV, l’altro l’abate Diamare. Gli stemmi dovevano ricordare a imperitura memoria l’encomiabile affiancamento e cooperazione delle due eminenze religiose all’ardua impresa del restauro della chiesa principale del paese.
Tali ultimi lavori furono possibili grazie all’azione congiunta del Consiglio comunale che, all’unanimità, votò a favore dell’accensione di un mutuo governativo di 10.000 lire, da estinguersi in 50 anni, con interesse annuo pari all1%. Inoltre, il Consiglio comunale concorse alle spese con una percentuale pari al 50%.
A tale azione si giunse per interessamento del primo assessore il signor Pasquale Masia, fratello dell’arciprete. In quell’occasione il sindaco (facente funzione), era Gaetano Di Raddo, mentre gli altri componenti del Consiglio comunali erano: Giuseppe Calleo, Raniero Angelone, Antonio Barone, Orazio Troia, Costantino Meo, Pietro Nardelli, Antonio Morgillo e Angelo Fuoco. Segretario comunale era Domenico Raimondi, che dette un grosso contributo nell’attivazione del mutuo. Notevole fu l’impegno per accedere al mutuo perché si era in un periodo difficile caratterizzato da una guerra mondiale.
I lavori di restauro furono completati nel mese di ottobre dell’anno seguente, e cioè nel 1919.
L’inaugurazione della chiesa restaurata si fece coincidere con la festa del Sacro Cuore e della Protettrice Maria SS. Dell’Acqua, che fu spostata di un mese, e cioè dal 12 settembre al 12 ottobre. All’inaugurazione parteciparono tantissime persone, molte delle quali proveniente dai paesi limitrofi.
Alla cerimonia partecipò anche l’abate di Montecassino Gregorio Diamare, che, dopo la solenne messa Pontificale, potuta celebrare per speciale facoltà concessagli dal Sommo Pontefice Benedetto XV, impartì la benedizione apostolica.
Il Telegramma con cui venne concessa all’abate Diamare l’autorizzazione a celebrare la Messa Pontificale è il seguente:
«Roma – Augusto Pontefice. Benedice ringrazia di cuore P. V. Parroco e popolo S. Pietro Infine ed accorda volentieri a Lei facoltà impartire popolo medesimo Benedizione Papale con indulgenza plenaria» Card. Gasparri Segretario di Sua Santità.
Molti sacerdoti si alternarono nelle funzioni religiose. Nonostante ciò il tutto si svolse «con solennità e perfetta precisione liturgica» grazie alla direzione del cerimoniere don Paolo Di Claudio, monaco dell’abbazia benedettina di Montecassino. A garantire la melodiosa armonia dell’organo, supporto indispensabile per la “messa cantata” fu don Mariano Iaccarini, rettore del Seminario diocesano.
Nel pomeriggio dello stesso giorno si ebbe anche un saggio catechistico da parte dei fanciulli del paese.
Il giorno seguente, lunedì 13 ottobre, venne inaugurata, in Piazza San Nicola, anche la Lapide ai caduti della Prima Guerra Mondiale.
Il giorno dell’inaugurazione della chiesa restaurata l’abate Diamare compiacendosi di rivederla risorta a nuovo splendore, manifestò a don Aristide Masia il desiderio di un nuovo pavimento, perché – disse – «se era bello guardarla in alto, si provava un senso di sconforto guardare a terra pel suo pavimento tanto consumato e malandato». E tale desiderio non rimase inascoltato dall’arciprete Masia2.
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1 Cfr. M. Zambardi, Le Società di Mutuo Soccorso a San Pietro Infine tra ‘800 e ‘900, Edizioni Eva e CDSC, Gorgonzola (MI), 2013.
2 Notizie tratte dall’Archivio Parrocchiale di San Michele Arcangelo. Si ringrazia a tal proposito il parroco monsignore Lucio Marandola.
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