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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 1-2
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La ricorrenza del centenario della nascita dell’avv. Giovanni (Gianni) Agnelli (12 marzo 1921 – 24 gennaio 2003) presidente della Fiat dal 1966 e poi dal 1996 presidente onorario, offre l’occasione per ricordare uno dei momenti più difficili e drammatici vissuti dalla grande azienda automobilistica e conseguentemente dai territori nei quali sono dislocati i suoi stabilimenti industriali.
Il XXI secolo si è aperto, infatti, con una delle crisi più acute che ha vissuto la Fiat nella sua storia. Nel picco della crisi, i primi tre mesi del 2002, Fiat perdeva 5 milioni di euro al giorno che si andavano a sommare all’enorme debito contratto nel decennio precedente e al forte ridimensionamento delle quote di vendita nel mercato auto in Italia e all’estero. La situazione si andava facendo sempre più drammatica e quella sociale precipitò. Lo stato di agitazione indetto dalle maestranze fu vigoroso con scioperi generali e locali che oltre ai dipendenti Fiat coinvolsero ampi settori della società civile (partiti, politici, amministratori locali, sindaci, presidenti di provincia e di regione, sindacati, rappresentanti della Chiesa, ecc.) scesi a manifestare in difesa del lavoro e a sostegno della dignità dell’uomo.
Anche in provincia di Frosinone, e a Cassino nello specifico, si svolsero manifestazioni di protesta. Una di queste vide in prima linea il compianto sen. Oreste Tofani, il sindaco della «città martire» Bruno Scittarelli, l’abate di Montecassino mons. Bernardo D’Onorio, il presidente della provincia di Frosinone Francesco Scalia, alle loro spalle numerosi sindaci dei paesi del comprensorio con la fascia tricolore, sindacalisti, operai, sacerdoti e gente comune.
Per la sopravvivenza dello stabilimento di Piedimonte e la salvaguardia dei posti di lavoro, cui si aggiungevano tutti quelli dell’indotto, si decide di far ricorso anche a strategie diverse come quella di giungere a incontrare i massimi vertici della casa automobilistica cui prospettare la difesa dell’impianto del Cassinate ubicato in un territorio economicamente fragile. La chiave di volta per raggiungere il centro decisionale torinese, e nello specifico il presidente onorario Gianni Agnelli, è nell’abbazia di Montecassino. L’abate D’Onorio non si tira indietro. Individua in Franzo Grande Stevens, «l’avvocato dell’avvocato», come è stato definito, classe 1928, di origine meridionale, collegiale di Montecassino in cui si è formato negli anni
scolastici, colui che può introdurlo nelle stanze dei bottoni a Torino. Si può immaginare che si siano vissuti momenti febbrili nello stabilire i contatti, nel trovare spazi e tempi di manovra, nel fissare l’appuntamento a così alti livelli in giorni così concitati. La sospirata conferma dell’incontro sembra essere arrivata di sera tardi, ma fissato a brevissimo, per il mattino seguente. Così nella notte viene fatta aprire l’agenzia di viaggi Pacitto per prenotare i biglietti del primo volo aereo Roma-Torino. L’abate D’Onorio, con il sindaco Scittarelli, giungono a Caselle nella mattina presto, attesi da una vettura che li porta nel centro Fiat dove incontrano l’avv. Franzo Grande Stevens e poi l’avv. Gianni Agnelli cui fu rappresentato il difficile stato socio-economico del territorio. Le voci di corridoio sussurrano dell’impegno d’onore assunto da Gianni Agnelli in difesa di Cassino e la delegazione cassinate può far ritorno più rinfrancata.
Il 9 ottobre 2002 la Fiat chiese lo stato di crisi individuando circa 9.000 esuberi (1.000 a Cassino su 4.500 operai) e i rimanenti 36.000 operai in Cassa integrazione a zero ore (solo Pomigliano d’Arco e Melfi non furono interessate).
Indubbiamente anche Cassino pagò il suo alto tributo alla crisi ma particolarmente penalizzati furono gli stabilimenti di Arese e Termini Imerese, destinati poi alla chiusura.
Certo la salvaguardia dello stabilimento Fiat di Cassino-Piedimonte si poté concretizzare anche in seguito alla “missione” di un abate-ordinario diocesano che, ricalcando le orme di molti suoi predecessori cassinesi distintisi per le loro azioni e per il ruolo svolto in momenti bui e di crisi in difesa delle popolazioni locali, si interessò, si adoperò, si impegnò, si prodigò, non disdegnando di manifestare nelle strade e nelle piazze o di colloquiare con i vertici decisionali, spinto dall’amore e dal legame speciale con questo territorio (gdac).
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