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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 3
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Si è fatto cenno a p. 221 (Ianniello-Di Pofi) a Paolo Diacono, ma va ricordato pure che le sillabe iniziali di un suo inno (Ut queant laxis) sono state utilizzate da un altro monaco benedettino vissuto attorno all’anno mille, Guido d’Arezzo, fondatore della scrittura musicale, per dare il nome alle note:
UT queant laxis / REsonare fibris Affinché possano cantare con libere voci
MIra gestorum / FAmuli tuorum, le meraviglie delle azioni tue i (tuoi) servi,
SOLve polluti / LAbii reatum, cancella dal contaminato labbro il peccato,
Sancte Iohannes o san Giovanni
Inizialmente con Guido d’Arezzo le note erano solo sei e cioè UT, RE, MI, FA, SOL, LA, mentre la settima, il SI, venne aggiunta cinque secoli più tardi da Ludovico Zacconi e anch’egli ne trasse il nome dall’ultimo verso (Sancte Iohannes) dell’Inno di San Giovanni di Paolo Diacono. Nel XVII secolo Gian Battista Doni propose di modificare, per ragioni eufoniche, l’UT sostituendolo con il DO, probabilmente traendolo dalle iniziali del suo cognome (gdac).
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