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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 4
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Con orgoglio e piacere il 17 dicembre 2021 il Centro Documentazione e Studi Cassinati-Aps ha consegnato alla città di Cassino due opere “superbe”. I due manufatti donati, che sono stati ideati e fatti realizzare a cura e spese dal Cdsc-Aps, hanno trovato ubicazione all’imbocco della strada che conduce all’abbazia di Montecassino, uno sulla destra e l’altro a sinistra.
Dopo l’atto di affidamento con consegna ufficiale delle due opere alla città alla presenza di autorità religiose, politiche, militari (l’abate di Montecassino, l’Amministrazione Comunale di Cassino ecc.) il programma della giornata è proseguito con lo svolgimento del Convegno di studi su Cassino, la cultura benedettina e l’italiano tenutosi presso la Sala degli Abati, Palagio Badiale, Cassino. Dopo i saluti istituzionali portati da Gaetano de Angelis-Curtis, presidente del Centro Documentazione e Studi Cassinati-Aps, Fabio Vizzacchero, presidente della Commissione cultura del Comune di Cassino, Danilo Grossi, assessore alla cultura del Comune di Cassino, dom Donato Ogliari, abate di Montecassino ed Enzo Salera, sindaco del Comune di Cassino, sono intervenuti Francesco Sabatini (accademico emerito e presidente onorario dell’Accademia della Crusca) – Montecassino e l’italiano (collegato in videoconferenza da Roma), Roberto Gamberini (Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale) – Letteratura e cultura latina all’epoca dell’abate Aligerno e della rinascita dell’abbazia, Domenico Proietti (Università degli Studi della Campania «L. Vanvitelli») – I placiti cassinesi del X secolo tra lingua, diritto e toponomastica, il coordinamento è stato curato da Massimo Arcangeli (Università di Cagliari).
Le due opere donate dal Cdsc-Aps, che non hanno uguali in città e d’ora in poi ne caratterizzeranno il volto urbano, fanno memoria della storia e della cultura di questo territorio:
- epigrafe del verso 37 del canto XXII del Paradiso della Divina Commedia
- stele a ricordo delle origini della lingua italiana con rievocazione del Placito cassinese
L’epigrafe riporta le trentuno lettere del verso 37 «Quel monte a cui Cassino è nella costa» quello con cui Dante Alighieri indentifica il luogo di edificazione del celeberrimo monastero benedettino. Nella terza cantica del suo viaggio ultraterreno, quella del Paradiso, il sommo poeta si trova, in compagnia di Beatrice, nel VII Cielo di Saturno dove vede moltissime sfere luminose. La più grande e più luminosa delle luci è quella di san Benedetto da Norcia che si fa avanti lungo la scala d’oro e si rivolge al poeta presentandosi come colui che convertì alla fede cristiana i pagani che frequentavano il tempio di Montecassino. Infatti san Benedetto nel 529, preceduto da due angeli e seguito da tre corvi, era giunto in questo territorio per prendere possesso delle donazioni fatte da due patrizi romani (Tertullo e Gordiano), salire sulla sommità del monte, edificare il monastero e convertire alla fede cristiana. L’epigrafe vuol essere anche un atto di omaggio e celebrazione del sommo poeta fiorentino nell’«anno di Dante», cioè nel settecentesimo anniversario della sua scomparsa avvenuta a Ravenna il 14 settembre 1321.
La scelta stilistica dell’arch. Giacomo Bianchi, che ha ideato e progettato l’opera è stata quella di realizzare il manufatto dedicato al passo della Commedia come un unico enorme blocco. Volutamente ha inteso offrire un identico effetto cromatico a tutta l’opera in modo da far apparire le lettere del verso come se fossero state scolpite in un unico blocco di marmo bianco, come scavate al suo interno. Un effetto perfettamente raggiunto.
Il manufatto ha una lunghezza di m. 11,08 ed è stato realizzato in marmo Coreno perlato Royal al pari delle trentuno lettere che formano il verso 37 con ognuna di esse che ha un’altezza di cm. 30 e uno spessore di cm. 10.
Nella parte di destra del manufatto è stata incassata una splendida targa in ceramica di Vietri di cm. 60×40, omaggio dell’arch. Gennaro Passerotti, che, oltre ai loghi del Cdsc-Aps, dell’Abbazia di Montecassino e del Comune di Cassino, riporta una variante del verso 37 del canto XXII del Paradiso. Infatti nell’epigrafe è stato riportato il verso 37 della cosiddetta vulgata che si è andata attestando tra gli studiosi nel corso degli anni. Invece nella targa in ceramica il Cdsc-Aps ha inteso riportare l’indicazione contenuta nell’edizione cassinese della Commedia, il cosiddetto Codice cassinese 512. che riporta una leggera discrepanza rispetto alla formulazione che la stragrande maggioranza delle persone conosce. In esso il verso 37 è riportato come: «Quel monte a cui Casino è nella costa» con il toponimo identificato da una sola «s».
Il Codice cassinese 512, scritto su 205 grande fogli di carta bambacina, risale agli anni immediatamente successivi alla morte del sommo poeta ed è corredato, tra l’altro, di glosse curate dal figlio Jacopo. È conservato nel monumentale archivio dell’abbazia di Montecassino (dal settembre 2021 al gennaio 2022 è stato esposto in mostra in originale nel Museo di Montecassino) e nel 1865, in occasione delle solenni celebrazioni per il sesto centenario di Dante, il codice fu messo a stampa per i tipi della tipografia monastica benedettina, in una pubblicazione con tiratura limitata a 219 esemplari formati da LV + 596 pagine, che da poco è stata riproposta in edizione anastatica.
L’altro manufatto donato alla città di Cassino è una stele con cui il Cdsc-Aps ha inteso celebrare il ricordo della rievocazione della formula del giuramento contenuta in un documento della seconda metà del X secolo. Il Placito cassinese redatto nel 960 riporta per tre volte la formula giudiziaria «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parti Sancti Benedicti» che rappresenta il primo esempio di frase in lingua volgare (secondo alcuni studiosi in dialetto campano) attestata su un documento ufficiale e quindi testimonia le prime fasi del superamento della latinità con la nascita della lingua italiana.
Con la seconda distruzione del monastero benedettino di Montecassino, avvenuta nell’anno 883 a opera dei Saraceni, i monaci cassinesi si rifugiarono prima a Teano e poi a Capua. L’esilio durò circa sessantasette anni, finché, nel 948, l’abate Aligerno ripristinò il monastero di Montecassino facendovi rientrare i monaci dalla «cattività capuana» e apprestandosi al riordino del patrimonio abbaziale (non a caso Aligerno è ricordato come il terzo fondatore di Montecassino dopo s. Benedetto e l’abate Petronace). Infatti nel corso di quel lungo periodo di assenza, alcuni nobili e signori avevano usurpato le proprietà della Terra Sancti Benedicti. Una di queste era una enorme area (con una estensione di circa ventimila ettari)1 adiacente al fiume Liri e allora ubicata nel territorio di Aquino (poi nei secoli venutasi a suddividere tra Aquino, Pontecorvo, la Badia e San Pietro in Curolis, questi ultimi due luoghi oggi ricompresi in Esperia). Questa terra era stata usurpata da un ricco proprietario di Aquino, un certo Rodelgrimo, figlio di Lapo, e per poterne rientrare in possesso l’abate Aligerno promosse una causa che fu discussa nel marzo 960 a Capua, all’epoca facente parte del longobardo principato di Benevento, davanti al giudice Arechisi. Quest’ultimo interrogò il proprietario aquinate, che rivendicava la proprietà per averla ereditata dal padre, chiedendogli se avesse documenti o prove, ma egli non fu in grado di produrle. Toccò poi ad Aligerno, assistito dal chierico Pietro, avvocato del monastero. Anche l’abate era sprovvisto di documentazione. Infatti negli anni di permanenza a Teano molti manoscritti che i monaci si erano portati da Montecassino, tra cui anche la Regola autografa di S. Benedetto e molti titoli di proprietà e donazioni, erano andati persi a causa di un incendio. Allora Aligerno, per rientrare in possesso delle terre che Montecassino rivendicava, si appellò al principio giuridico dell’usucapione. Ottenne delle testimonianze giurate da parte di tre persone (Teodomondo, diacono e monaco; Mari, chierico e monaco; Gariberto, chierico e notaio) le quali dichiararono di sapere che quei territori erano appartenuti al monastero cassinese. Il verbale del processo, steso da un notaio, Atenolfo, in quanto si trattava di un atto notarile, cioè un placito come venivano definite le sentenze emesse da un giudice, fu redatto in latino a eccezione delle tre prove testimoniali pronunciate dai tre testimoni riportate secondo la formula «Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti». La «frase non ha nulla in sé di originale. Era, appunto, una formula di testimonianza codificata per avere valore legale in circostanze come questa. Solo che in tutti i documenti precedenti – e anche in molti documenti successivi – la formula è riportata in latino». Così per la prima volta nella storia della lingua italiana diciassette parole in lingua volgare trovano attestazione all’interno di un testo in latino. Così proprio questa frase in volgare «è stata tradizionalmente considerata come l’atto di nascita della lingua italiana»2. Tre anni più tardi, nel 963, seguirono altri tre Placiti sempre concernenti proprietà cassinesi, ubicate, differentemente, a Capua e Sessa Aurunca.
La scelta stilistica dell’arch. Giacomo Bianchi, che ha ideato e progettato anche la stele, è stata tesa a realizzare una «pietra della memoria» con un blocco squadrato di marmo Coreno perlato Royal di m. 1,07×1,32 (h) e cm. 43 di profondità, e dal bordo superiore frastagliato. In alto è riportata la frase «Qui è nata la lingua italiana». Al di sotto sono incise le diciassette parole della frase del Placito Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parti Sancti Benedicti.
La formula è riportata prima nella scrittura beneventana estrapolata dal manoscritto originale conservato nell’Archivio di Montecassino e poi in lettere dell’altezza di cm. 5 disposte su cinque righe, seguite dell’indicazione della fonte. In basso il logo del Cdsc-Aps al centro e quello dell’Abbazia di Montecassino e del Comune ai lati, tutti e tre elegantemente realizzati in ceramica di Vietri, anch’essi omaggio dell’arch. Gennaro Passerotti.
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GENESI DEL PROGETTO
L’atto di affidamento e l’inaugurazione dei due manufatti coronano un progetto fortemente voluto e perseguito negli anni dal Centro Documentazione e Studi Cassinati e si collocano nella scia di analoghe e importanti iniziative intraprese dal Cdsc prima fra tutte quella denominata della «Memoria di Pietra» con la realizzazione e collocazione a Cassino di nove enormi blocchi in pietra, documenti forti e permanenti della storia della città, consegnati il 10 giugno 2004, oppure la realizzazione del «Muro del Martirologio» nel 2007.
Da molto tempo, dunque, il Cdsc coltivava l’idea di giungere a ricordare in modo duraturo un aspetto così importante per la storia linguistica italiana e per la storia di questo territorio come quello del Placito cassinese cui poi si è andato ad aggiungere il desiderio di celebrare anche a Cassino, nell’«anno di Dante», il settecentesimo anniversario della scomparsa del sommo poeta fiorentino. Si è così deciso di approntare due opere tangibili che fissassero indelebilmente il rapporto della città e del territorio con la lingua italiana e con il poeta e scrittore italiano per eccellenza. Un forte incentivo alla realizzazione delle due opere è venuto da un contributo economico messo a disposizione del Cdsc dalla Comunità cassinate in Canada (rappresentata dalla signora Alba Colacicco) e a «The Cervaro Cultural Society», Ontario, per un altro progetto che, stentando a decollare, è stato rinviato a tempi più maturi. Ai connazionali canadesi è stata chiesta l’autorizzazione per poter utilizzare quei fondi per questi altri progetti, beneplacito che è stato gentilmente e facilmente concesso.
In previsione dell’importante evento di consegna delle due opere alla città, il 9 agosto 2021 una delegazione del Cdsc-Aps, mercé la benevola intercessione di un altro valente socio l’avv. Antonello De Rosa, si era portata a Pescocostanzo, antico possedimento cassinese, dove è stata affettuosamente ricevuta dal prof. Francesco Sabatini per esporre in dettaglio il progetto e invitarlo alla cerimonia di affidamento (in quella occasione si è provveduto a realizzare una intervista videofilmata in cui il prof. Sabatini narra degli eventi della Seconda guerra mondiale che hanno coinvolto il Comune di Pescocostanzo, la popolazione locale e la sua famiglia, e che, trascritta, è riportata fedelmente nelle pagine di questo stesso numero di «Studi Cassinati»).
La tenacia, la caparbietà, l’ostinazione, la testardaggine del presidente Cdsc-Aps, Gaetano de Angelis-Curtis, hanno consentito di portare a termine l’opera nonostante le mille difficoltà incontrate in fase di progettazione e realizzazione, nonostante lo scetticismo di bastian contrari, e così, con fierezza il 17 dicembre 2021 l’Associazione ha potuto consegnare le due opere alla città.
Il Cdsc-Aps intende ringraziare l’Abbazia di Montecassino e l’Amministrazione Comunale di Cassino per la disponibilità e il sostegno offerto al progetto e con cui ha condiviso tale culturalmente importante evento. Gratitudine e riconoscenza vanno all’abate di Montecassino, dom Donato Ogliari, al sindaco Enzo Salera, a Fabio Vizzacchero, all’ing. Mario Lastoria, dirigente dell’Ufficio Tecnico che si sono spesi per la realizzazione dell’evento offrendo il loro contributo fattivo e concreto. Parimenti sinceri ringraziamenti vanno all’arch. Gennaro Passerotti di Napoli, al marmista Domenico D’Alicandro, all’impresa di Luigi Trelle con i suoi ragazzi, a tutti gli operai, quelli del Comune, quelli delle ditte impegnate nelle varie fasi realizzative e di montaggio che con spirito di sacrifico hanno lavorato fino a sera inoltrata e fino agli ultimissimi istanti prima dell’inaugurazione.
Nel corso delle varie fasi comprese tra l’ideazione e la realizzazione, il Cdsc-Aps ha potuto avvalersi delle competenze culturali del presidente onorario Emilio Pistilli, del sostegno e dell’aiuto dei soci Fernando Sidonio, Guido Vettese e Antonello De Rosa, delle competenze tecnico-professionali dei soci ing. Arturo Gallozzi e arch. Giacomo Bianchi che, affermato professionista di caratura internazionale, ha ideato e progettato l’epigrafe e la stele, due opere magnifiche, nonché capace di dirigere i lavori operando anche da migliaia di chilometri di distanza (gdac).
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NOTE
1 Cfr. E. Pistilli, Il Placito cassinese del 1960: una suggestiva rilettura, in «Studi Cassinati», a. IX, n. 4, ottobre-dicembre 2009, pp. 257-260.
2 G. Antonelli, Il museo della lingua italiana, Mondadori Libri, Milano 2018, pp. 29-30.
ALL’INIZIATIVA HANNO PARTECIPATO Cdsc-Aps, ente organizzatore |
IL CDSC-APS RINGRAZIA Dom Donato Ogliari, abate di Montecassino |
QUI E’ NATA LA LINGUA ITALIANA . Negli studi e nei volumi di storia della Letteratura italiana i documenti contenenti la formula del giuramento sono citati come Carta capuana, Placiti di Capua, Placiti capuani o Placiti cassinesi. Quest’ultima versione è quella che appare preferibile utilizzare in questo territorio, e non per questioni campanilistiche. D’altra parte il prof. Giuseppe Petronio già nel 1973, a p. 6 del suo volume Italia letteraria (Palumbo ed., libro di testo in dotazione al Liceo Scientifico di Cassino negli anni 70-80 del Novecento), li definiva come Placiti cassinensi. La formula in volgare del giuramento è tradizionalmente considerata dai linguisti «come l’atto di nascita della lingua italiana», come ricorda il prof. Giuseppe Antonelli precedentemente citato. Dunque tale atto di nascita è stato ricordato nell’incipit della stele. In più il Cdsc-Aps ha inteso aggiungervi l’avverbio di luogo «qui» sottintendendo tutto questo territorio. D’altra parte gran parte degli aspetti del Placito riconducono a questo territorio: il protagonista che promuove l’azione giudiziaria è l’abate di Montecassino, Aligerno; l’usurpatore costretto a restituire il mal tolto è un proprietario di Aquino, Rodelgrimo; i testimoni sono persone legate a Montecassino; l’oggetto della contesa è una vasta area ricompresa nella Terra S. Benedicti; il luogo di conservazione di quel documento e degli altri tre è, da oltre mille anni, l’Archivio di Montecassino dove fu rinvenuto e pubblicato per la prima volta nel 1734 dal celebre archivista cassinese d. Erasmo Gattola. Se la sentenza del giudice Arechisi è stata emessa a Capua è perché il potere politico, giudiziario ed economico si trovavano a Capua, città resasi principato longobardo ricomprendente Montecassino, la Terra S. Benedicti e la contea di Aquino, e solo nella città campana poteva essere discussa la causa ed emesso l’esito finale (alla stessa stregua tutte le cause riguardanti l’area del Cassinate come quelle del Sorano e del Gaetano discusse tra il 1808 e il 1861 nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che era l’unico organo giudiziario della provincia di Terra di Lavoro prima dell’istituzione di quello di San Germano-Cassino, non possono definirsi sammaritane). Appare evidente che questo territorio, sulla base della prima formula scritta in cui si attesta e si certificata il passaggio dal latino all’idioma parlato in quei momenti dagli abitanti, possa vantarsi di essere il luogo di nascita della lingua italiana (gdac). |
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