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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 4
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Nella mattina del 9 agosto 2021 una delegazione del Cdsc-Aps ha avuto modo di incontrare il prof. Francesco Sabatini piacevolmente ospite nel suo palazzetto avito ubicato nel corso principale della incantevole cittadina di Pescocostanzo. Si riportano i ricordi dei difficili momenti che l’autorevole linguista patì assieme alla sua famiglia nel corso dei cruenti eventi bellici nonché alcune questioni protrattesi nei decenni successivi. Per una più facile comprensione sono state inserite delle note esplicative a corredo del testo (a cura di Gaetano de Angelis-Curtis; fotografie e filmati video di Maurizio Zambardi).
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Parte I: L’occupazione
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Gaetano de Angelis-Curtis:
«Il Centro Documentazione e Studi Cassinati incontra il prof. Francesco Sabatini che è presidente emerito della Crusca. Abbiamo questa occasione e ringraziamo per l’ospitalità e per la disponibilità il professore. Siamo qui a Pescocostanzo antico possedimento cassinese, Pescocostanzo è nominata in una delle valve della porta di Montecassino1 fatte fare dall’abate Desiderio poco dopo il Mille ma siamo qui adesso per parlare di una questione che riguarda anni diversi e non l’età [medievale] ma siamo in età contemporanea e cioè siamo nell’ambito di ciò che è successo durante la Seconda guerra mondiale.
Prof. Francesco Sabatini qui a Pescocostanzo sono arrivati anche qui i tedeschi perché l’occupazione ha riguardato dopo l’8 settembre tutti i paesi e tutte le città d’Italia e anche a Pescocostanzo per forza di cose sono arrivati i tedeschi. Oltretutto Pescocostanzo si trovava lungo la Linea Gustav che aveva come caposaldo Cassino e Montecassino ma partiva dalla foce del Garigliano presso Minturno per arrivare poi a Ortona a mare. Questo è stato il più grande sbarramento militare che è stato costruito dai tedeschi italiani a cui hanno dato un contributo fondamentale gli italiani costretti dall’organizzazione Todt … sotto minaccia a lavorare, e quindi hanno dovuto per forza di cosa lavorare. Uno dei motivi per cui si è cominciato a disperdersi sulle montagne, sono stati prima gli uomini che cercavano di sottrarsi a questa cattura e poi per i bombardamenti, le famiglie man mano che si avvicinava il fronte. Tutti quanti immaginavano fosse una questione di giorni, di settimane per poi si è protratto per almeno nove mesi.
Partiamo dal settembre del 1943 cosa è successo qui a Pescocostanzo con l’arrivo dei tedeschi?»
Francesco Sabatini:
«L’ho vissuto tutto quel periodo intensamente. Avevo dodici anni e mezzo, quindi partecipavo alle vicende con consapevolezza.
Partiamo dall’estate 1943 quando gli americani avevano conquistato la Sicilia e cominciava la risalita. Qui era in un’atmosfera sospesa. Mio padre2 e mia madre capitarono a Roma, eravamo già qui in villeggiatura [a Pescocostanzo], andarono a prendere gli indumenti invernali perché si pensava di restare in inverno qui e non a Roma perché più pericolosa e capitarono alla Stazione Tiburtina e Termini sotto le bombe del 19 luglio, il battesimo del fuoco. Poi ci fu il 25 luglio la caduta del governo fascista e ricordo anche che [a] Pescocostanzo. sede di confinamento politico, c’erano i confinati slavi che alla caduta del regime fascista uscirono liberamente dai loro domicili coatti e andarono martellando i fasci. Questo il 25 luglio. Poi alla fine di agosto il primo bombardamento di Sulmona, primo bombardamento in Abruzzo. Fuga dei sulmonesi e anche da Napoli, c’era un grande afflusso di napoletani che venivano in quel periodo perché [questo territorio era] ritenuto più sicuro. Nessuno di noi sapeva che era già prevista una linea del fuoco, una linea difensiva organizzata dall’esercito tedesco. Otto settembre la pace, la cosiddetta pace, non si capiva bene l’entità di questo fenomeno, un grande suono di campane, cerimonie in chiesa ecc. ecc. 7-8 giorni dopo arriva la prima pattuglia tedesca con un sidecar, quelle motociclette con [una struttura laterale] aggiunta, con quello a fianco con un fucile mitragliatore e l’altro che guidava. Arriva fa un giro in piazza, parlamenta con il podestà e riparte. Quindi 5-6 giorni dopo arriva l’occupazione vera e propria.
Eravamo andati in passeggiata con altre persone che villeggiavano qui e al ritorno trovammo sul portone in gesso bianco scritto in tedesco che la casa era occupata. Mio padre, arrivato davanti alla porta, eravamo andati in passeggiata, vedendo questa scritta in tedesco che un amico gli tradusse disse “ma cosa vuol dire?”. “Che ti hanno occupato la casa”, e disse delle parole “e non mi hanno avvertito” non nel senso che ti mandassero prima una richiesta, cioè il podestà del luogo se deve assegnare delle case agli occupanti che avverta. Occuparono tutto il secondo piano ed erano due ufficiali e un attendente. Uno di questi ufficiali parlava francese e stabilì un po’ di contatto con mio padre, la sera anzi venivano dal secondo piano al primo a riscaldarsi perché il secondo piano dove abitavano loro non era riscaldato … Una sera questo ufficiale disse a mio padre “guardi le devo dare una notizia: fra una quindicina di giorni qui ci sarà lo sfollamento generale, andrete via, sarete deportati e tutti i paesi saranno distrutti, questa casa sarà distrutta”».
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Parte II: Lo sfollamento
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Francesco Sabatini:
«Noi volevano andare con molta parte degli abitanti di qui sulle montagne qui di fronte perché al di là scorre il Sangro e gli alleati erano già arrivati al Sangro, a Castel di Sangro con un’avanzata fulminea. Quindi si pensava che dopo 5-10-15 giorni sarebbe arrivata la liberazione degli alleati e dai boschi saremmo rientrati. Molta parte della popolazione di qui fece questo passo. Hanno vissuto vicende incredibili, mine, fucilazioni, tutte le angherie possibili. Poi attraversarono il Sangro per andare dall’altra parte in territorio anglo-americano e anche il fiume Sangro se l’è portati un bel po’, specialmente i vecchi. Mi hanno raccontato che quando passava un vecchio gli tendevano una corda da una parte all’altra, gli dicevano di tenersi attaccato alla corda, non ce la faceva, mollava e il fiume se lo portava».
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Parte III: Sfollati a Sulmona
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Francesco Sabatini:
«Noi dovevamo andare, anche noi ecc. C’era un camioncino che avrebbe caricato la nostra famiglia, un camioncino di un macellaio qui di Pescocostanzo, che avrebbe portato noi e altre due famiglie al bosco. Senonché ci salvò. La mattina del 3 novembre eravamo pronti dietro il portone con dei sacchi con farina e altre vettovaglie per mangiare 10-15 giorni e questo camioncino non venne, non sappiamo perché. Quando mio padre uscì fuori per la strada, il paese cominciava a essere vuoto, andò dal parroco, il podestà era un personaggio, aveva perso la testa …, andò dal parroco a dire “ma noi siamo rimasti qui”. “Beh dovete aggregarvi con gli ammalati che i tedeschi porteranno a Sulmona o a l’Aquila o al nord. Vi caricheranno sul camion e andrete con gli ammalati”.
E allora noi andammo in piazza dove c’erano i vecchi, gli ammalati, ecc. salimmo sul camion, il camion partì e andammo a Sulmona. Arrivati a Sulmona in piazza XX settembre c’era un caffè i due militari che guidavano il camion scesero per andare a bere un caffè, una birra ecc. allora mio padre disse “scappiamo, saltiamo dal camion e andiamo via”, perché avevamo i nonni materni a Sulmona con una casa. “Prima di tutto questi ci portano al Nord, dove?”, non si sapeva nulla, deportati. Saltammo dal camion noi quattro con una vecchia zia aiutata a scendere, scappammo per i vicoletti e andammo a casa dei nonni3 e abbiamo vissuto a Sulmona non sapendo quello che succedeva qui [a Pescocostanzo] perché naturalmente questa ormai era linea del fuoco. Gli ultimi giorni c’erano cannoneggiamenti, bombardamenti, mitragliamenti.
Una notte prima del nostro sfollamento ci fu un secondo arrivo di truppe tedesche, i paracadutisti che erano quelli più violenti4. Siccome c’erano delle scritte tedesche sul portone dove abitavano gli ufficiali, un altro portone ci avevano fatto un deposito di mine tedesche, aggirarono l’edificio e da una porta laterale spaccarono con l’accetta la porta, entrarono, arrivavano al nostro piano. Noi dietro il portoncino delle scale dell’appartamento, che era chiuso, sentivamo questi colpi, papà pensò che fossero gli ufficiali di sopra che essendo un medico potevano aver bisogno, si erano comportati bene insomma. Invece questi [paracadutisti] lo prendono, lo strattonano, lo tirano di qua e di là gridando in tedesco, gli puntano le armi al petto. Scende l’ufficiale di sopra si frappone a questo diavolo scatenato ecc. e dice a mio padre “Pas bon kameraden, pas bon” cioè “niente di buono questo qui, niente di buono, vattene vattene”. Questo qualche giorno prima dello sfollamento.
Arrivammo a Sulmona e siamo rimasti a Sulmona per due anni, prima i mesi dell’occupazione quando si svolgeva il combattimento sulla Linea Gustav ma noi non sapevamo che c’era proprio una linea organizzata.
In questo contesto naturalmente a Sulmona noi vivevamo piuttosto nascosti perché si diceva che gli sfollati sarebbero stati rastrellati e portati al nord. Quindi quando c’era qualcuno che bussava all’appartamento di mio nonno, andava mio nonno, vecchio, e noi ci nascondevamo da qualche parte per evitare di farci vedere».
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Parte IV: A Sulmona
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Francesco Sabatini:
«Poi ci fu il bombardamento del 30 maggio a Sulmona. Proprio la nostra casa sfiorata da bombe, mitragliamenti ecc. perché dai primi di giugno l’esercito [tedesco] smobilitò. Si erano svolti intanto i combattimenti di Cassino e di Ortona, lungo la linea del Sangro scaramucce, nessuno sfondamento e nessuna battaglia vera»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Parlando dei tedeschi delle truppe di élites che sono arrivate anche Pescostanzo, noi siamo qui vicino a Pietransieri5 dove c’è stata la strage, voi avevate avuto percezione di queste cose?»
«Sono avvenute tutte rapidamente, naturalmente forse altre persone avevano qualche contatto ecc. Quello che succedeva qui non sapevamo nulla»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«E nel rapporto tra la popolazione civile e gli occupanti?»
Francesco Sabatini:
«A Sulmona naturalmente le cose sono andate in maniera molto complessa perché Sulmona era la città più importante dove aveva sede il comando tedesco. Anzi i generali risiedevano a Introdacqua perché Sulmona era esposta ai bombardamenti mentre Introdacqua è in una gola dove i bombardamenti o i cannoneggiamenti non potevano arrivare e quindi il generale [Richard] Heidrich6 che comandava questo tratto di fronte risiedeva a Introdacqua».
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Parte V: I partigiani della Maiella
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Francesco Sabatini:
«C’erano i partigiani della Maiella, si era costituta intanto nella Valle dell’Aventino, a sud della Maiella, la Brigata Maiella dei Patrioti della Maiella7. Noi non ne sapevamo niente, sapevamo che c’erano degli armati civili che combattevano i tedeschi, ma vagamente.
Ricordo però una scena molto bella. Dunque il luogo di riferimento dei Patrioti della Maiella era un quartiere di Sulmona detto in dialetto [?], il ‘borghetto’, cioè un insieme di case piccole piccole, strette dove loro avevano i rifugi e da lì attraverso la porta Pacentrana raggiungevano facilmente la Maiella e quindi potevano scappare. Questo ‘borghetto’ era vicino alla grande piazza del mercato, piazza Garibaldi, dove si teneva il mercato di frutta, verdura, abiti, ecc. Quindi in alcuni giorni c’era il mercato e le donne, perché era tutto era affidato alle donne questa attività gli uomini erano sparsi per non farsi rastrellare, mio cugino, figlio di una zia, sorella di mia madre fu rastrellato e portato a scavare le trincee, le donne del mercato quando vedevano la pattuglia tedesca che si avvicinava lanciavano un grido a un tale Ciccio “Ciiiiiiii vann acchiappeeennnnnn”. E poi mescolavano questo grido a “I paparuoli, i paparuoli, i paparuoli, patane, patane, facioli. Ciiiiiiii vann acchiappenn” e si vedeva qualcuno che lasciava il mercato, erano i patrioti della Maiella che avevano questa base a Sulmona».
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Parte VI: Bombardamenti alleati
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Francesco Sabatini:
«Il 30 maggio fu una catastrofe a Sulmona perché era-no in ritirata, la parte principale della truppa, si disse anche con il generale Kesserling che era venuto a visitare il fronte, quindi arrivò una pattuglia angloamericana.
L’aeroporto era quello di Foggia, da Foggia arrivavano qui. Sulmona è a occidente della Maiella. Quindi gli aerei da Foggia scalcavano la Maiella e piombavano su Sulmona. Quindi noi li sentiamo quando erano ormai vicini e tante volte siamo stati fermi e il 30 maggio una bomba sfiorò e cadde nel giardino della casa».
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Parte VII: Echi di Cassino e Linea Gustav
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Gaetano de Angelis-Curtis:
«[C’era] la percezione di cosa succedeva a Cassino, del bombardamento di Montecassino, della distruzione?»
Francesco Sabatini:
«No, l’abbiamo avuta dopo, tardi, quando eravamo a Sulmona, naturalmente si svolgevano tutte le azioni belliche, sia lo sbarco ad Anzio sia i bombardamenti di Montecassino. Arrivavano i rumori delle bombe portati dal vento. Io ricordo bene che affacciato al balcone della casa di mio nonno in Piazza Garibaldi in direzione sud, sud-ovest, si sentivano cannoneggiamenti continui, si dice[va] si combatte, si combatte a Cassino ad Anzio»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«E si dava qualche motivazione perché non riuscivano [a sfondare gli Alleati], era un esercito poderoso»
Francesco Sabatini:
«Si sanno altre cose. Questa Linea era stata progettata dall’esercito tedesco ben prima dell’8 settembre perché gli albergatori di Roccaraso, ho conosciuto uno che lavorava negli alberghi, nel giugno-estate ‘42, quando eravamo ancora alleati della Germania, ha[nno] ospitato per riposo un gruppo di ufficiali tedeschi che si diceva che avevano combattuto in Africa, in Sicilia e andavano per riposo negli alberghi di Roccaraso. C’erano altre persone insieme a questi ufficiali e soprattutto vedevano uno di questi che andava in giro per le montagne con una cartella da disegno e la macchina fotografica. Lo seguirono e quello disegnava, disegnava, stava progettando la Linea Gustav. Questo era un cartografo disertore russo, fatto prigioniero, di cui si sa nome e cognome, che disegnava le postazioni»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Le posso dire che lo Stato maggiore italiano già prima della guerra aveva tracciato questa linea nell’eventualità di un’invasione da Sud»8
Francesco Sabatini:
«Anche il Comando italiano?»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Anche il Comando italiano ipoteticamente l’aveva già tracciata perché è la parte più stretta dell’Italia che va tra i due mari, è tutta montagna e quindi è facile anche difendersi. E poi nell’estate del ‘43 è stato fatto un sopralluogo tra ufficiali italiani, ufficiali tedeschi e c’era anche l’addetto militare giapponese lungo la Linea»9
Francesco Sabatini:
«E dove?»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Sono passati per Cassino e poi sono venuti in Abruzzo per progettare, per constatare assieme. Naturalmente si è saputo tutto quanto dopo»
Francesco Sabatini:
«Però questi albergatori di Roccaraso, tanto è vero c’è un episodio, che in uno di questi alberghi il gestore dell’albergo-proprietario era un altoatesino, conosceva il tedesco, sentì i discorsi dei tedeschi e colse, questo nell’estate ‘43 prima dell’8 settembre, colse che qui stava per avvenire [qualcosa]. Che fa questo? poi è stata pubblicata questa storia, appena vanno via i tedeschi “ha deciso di rinnovare tutto l’arredamento dell’albergo lo vende a poco prezzo agli abitanti del luogo perché poi rifarà tutto nuovo”. Vende tutto e scappa».
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Parte VIII: Liberazione
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Francesco Sabatini:
«Dopo qualche giorno [d’inizio giugno] arrivarono gli anglo-americani. Cominciarono a portare un po’ di vitto, un pane bianco bianco bianco, gommosissimo, una gomma ma bianco, e poi delle scatolette di Meet e Vegetables, carne e piselli, patate ecc. lì dentro. Però c’erano di due tipi: delle scatolette con la carne e altre di soli vegetali. Siccome distribuivano queste cose, ricordo che andavo cercando le scatole con scritto Meet per prendere la carne e non sempre mi capitava il barattolo con la carne».
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Parte IX: Ritorno a Pescocostanzo
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Antonello De Rosa:
«Quando i tedeschi hanno lasciato Pescocostanzo anche qui hanno minato le case?»
Francesco Sabatini:
«La nostra casa era minata. Naturalmente tutti i campi minati, tutto qui era pieno di campi minati, residui bellici da tutte le parti e avevano minato le case. Perché Pescocostanzo si è salvata complessivamente mentre Roccaraso è stata rasa al suolo, mentre Rivisondoli per metà?10. Perché venne una grande nevicata il 2 febbraio, il fronte si fermò perché ci fu un inverno di una neve incredibile. [I tedeschi] capirono che gli americani dal fondo valle non sarebbero mai saliti allora si attestarono, qui abitarono le case, invece di essere nelle trincee abitarono le case quindi lo salvarono per abitarci. Quando [si ritirarono] minarono alcune case, in che modo? Con delle mine dietro i portoni, a strappo in modo che il primo che arrivava le apriva e faceva [saltarle].
Noi da Sulmona dopo che sono andati via i tedeschi siamo rientrati, abbiamo organizzato il rientro perché ci dicevano alcuni di qui che erano venuti “la casa è in piedi ma ha avuto danni, la casa è in piedi ma ha avuto danni”. “Andiamo Andiamo”. Io, mio padre e mia madre con un camioncino arriviamo fino alla Piana della Cinque Miglia, poi abbiamo percorso a piedi tutta la Piana della Cinque Miglia: Portella, Vallo di Portella, Pratola, Rivisondoli e siamo venuti qui. La via era tutta fatta saltare in aria. La Piana delle Cinque Miglia era piena di automezzi scassati ecc. e di travi messe per evitare l’atterraggio di elicotteri ecc., tronchi di pino, avevano tagliato tante pinete, avevano fatto tanti tronchi, sbarramenti per evitare l’atterraggio.
Comunque arriviamo qui vicino a Pescocostanzo e da una curva da cui si apre la vista del paese vediamo che la casa c’è ma è curiosa, è strana, è curiosa, mancava l’ultimo piano, il tetto era crollato. Quando arriviamo davanti all’angolo, qui ci sono due portoni sulla facciata e uno laterale, quando arriviamo davanti all’angolo vediamo scritto “Casa minata” il teschio, “Casa minata”. Mio padre disse “Fermi, vado in piazza a vedere qualcuno”. Il giorno del rientro non c’era nessuno, poca gente. “Sì sì i tedeschi hanno minato i portoni, c’è uno di qui, sminatore che aveva fatto il servizio militare come sminatore, esperto di queste cose, questo è entrato dalle finestre di alcune case e ha visto che dietro il portone di casa vostra c’è una mina”. Allora chiamiamo questo qui, è venuto ci ha detto “allontanatevi”, ha girato è entrato dalla finestra, l’abbiamo visto uscire dal portone con una spoletta in mano, l’ha fatta esplodere e ce l’ha consegnata. Cosa c’era dietro il portone? Una cassa piena di tritolo con un blocco di tritolo compatto al quale era avvitata la spoletta e un filo, una corda legate che aprendo [faceva esplodere il tritolo], quindi bella trappola»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Ne hanno fatte parecchie [di queste mine] i tedeschi, pure sui pianoforti, sulle cose più impensabili a Cassino sulle bambole. Lasciavano delle bambole sulle macerie, andavano i militari [alleati], le prendevano e quelle esplodevano, Booby traps le chiamavano».
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Parte X: Clero pescolano
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Francesco Sabatini:
«Parlando di Montecassino devo ricordare il parroco dell’epoca don Antonio Tarquinio, perché i parroci di qui dal ‘500 in poi [venivano nominati da Montecassino] essendo Pescocostanzo assorbita dalla diocesi di Montecassino11, che ho conosciuto, ha assistito molti i pescolani nello sfollamento ecc., ha salvato anche gli argenti e gli ori della chiesa con delle donne che prima hanno messo nei sacchi di grano ecc. e le donne portavano questi sacchi grano che invece c’erano questi argenti della Chiesa»12
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Nel 1955 [don Antonio Tarquinio]13 è stato chiamato dall’abate a sostituire don Michele Curtis14 a S. Pietro [a Cassino]»
Francesco Sabatini:
«Poi è venuto don Angelo Di Ianni parroco nominato da Cassino15. Poi però il papa ha ridato Pescocostanzo alla diocesi di Sulmona come era all’origine [mentre] dal ‘500 in poi era sotto Montecassino»16
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Noi abbiamo avuto [a Cassino] anche don Antonio Bigante»17
Francesco Sabatini:
«Era monaco di Montecassino»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«No sacerdote nella parrocchia di S. Pietro»
Francesco Sabatini:
«S. Pietro Infine?».
Gaetano de Angelis-Curtis:
«No la parrocchia di S. Pietro al Colosseo, in questa zona di Cassino gli [è stato] intitolato anche un largo a don Antonio Bigante18, è rimasto nel cuore [della popolazione], è stato anche docente di religione».
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Parte XI: Frammento Codice Sabatini (Chronicon Volturnense)
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Francesco Sabatini:
«Abbiamo donato allo Stato Italiano un frammento di un codice che adesso è a Montecassino, perché tra le altre cose [conservate nella biblioteca Sabatini] c’erano dei frammenti di codici19. Uno di questi frammenti molto antico mio padre lo aveva studiato perché era un frammento della prima versione del Chronicon volturnese20, di San Vincenzo al Volturno, dipendenza di Montecassino. Lo aveva studiato e pubblicato21.
Poi c’era uno studioso dell’Università di Roma, Vincenzo Federici, che stava preparando l’edizione del Chronicon volturnese. Il frammento di una prima edizione lo interessava molto, allora mio padre glielo prestò per questa edizione che stava preparando. È sopraggiunta la guerra, perduti i contatti, questo Federici si era tenuto questo frammento in casa. Finita la guerra con mio padre siamo andati, Federici era morto22, c’era la figlia, la famosa Nora Federici una demografa. “Senta io ho consegnato a suo padre …”. “Si mi ricordo”. “Dov’è?”. “Non lo so. Non l’ho più visto”. Perdita anche questa.
Fino a che a un certo punto la Nora Federici decide di donare le carte del padre all’Università di Roma, vanno a prendere queste carte le portano in una sede dell’Università di Roma23. Un giovane paleografo apre una di queste casse e sopra sopra trova una cartella con il frammento Sabatini del Chronicon volturnese. Io lo andavo ricercando convinto che qualche allievo di Federici se lo fosse preso e se lo fosse tenuto, per cui agli allievi di Federici, [Franco] Bartoloni e [Alessandro] Pratesi, avevo detto “chi di voi se l’è preso? o qualcun altro se l’è preso perché è bello ci sono delle miniature24, roba del X-XI secolo”. “No, no noi non sappiano nulla”.
Era caduto dietro lo scaffale. Quando hanno preso tutto è andato a finire lì. Questo giovane paleografo apre lo scatolone, conoscendo l’esistenza di questo frammento, lo scopre va da Pratesi “Professore ecco il frammento”. Pratesi se lo mette in un cassetto della scrivania perché si pone il problema “adesso di chi è? di quello che lo possedeva [che l’ha dato a] Federici, ma la figlia di Federici ha donato tutto all’Università di Roma. Come faccio?”. Si rigirava questo problema.
La notizia si diffonde nell’Istituto di Studi storici di Roma. C’era una mia carissima amica Isa Lori Sanfilippo sente questa storia, mi telefona, 7-8 gennaio [1997] e mi dice “Senti Francesco il famoso frammento del Chronicon volturnese dove è andato a finire?”, “E me lo dici a me? Qualcuno degli allievi di Pratesi se l’è preso come cimelio”, “No, no stai tranquillo ce l’ha in mano Alessandro Pratesi”. Lì per lì mi è scappata una parolaccia. “Come? gliel’ho detto tante volte, ce l’ha in mano, figlio di buona donna, lo sa”. “No ce l’ha nel cassetto in attesa di sapere a chi [lo] deve ridare”.
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Siamo andati io e mio fratello, siccome mio padre aveva detto che doveva essere donato allo Stato, siamo andati all’Università da Pratesi “confermiamo che mio padre ha detto che voleva donarlo allo Stato, noi lo doniamo allo Stato però ce lo dovete ridare e noi facciamo la donazione”. “Ah va bene allora sulla fiducia ve lo ridiamo”. Me lo son portato a casa. Poi l’abbiamo affidato all’Istituto di patologia del libro a Roma per il restauro, ne hanno fatto una pubblicazione.
Quindi l’abbiamo donato al monastero di Montecassino perché l’archivio e la biblioteca di Montecassino sono di proprietà dello Stato italiano. Mio padre diceva allo Stato italiano e allo Stato italiano l’abbiamo donato25. L’abate di allora don Bernardo D’Onorio ha fatto una grande festa, l’abbiamo donato ed è lì a Montecassino»26.
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Parte XII: La vicenda della biblioteca di casa Sabatini
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Francesco Sabatini:
«Una sera questo ufficiale disse a mio padre “Guardi le devo dare una notizia. Tra una quindicina di giorni qui ci sarà lo sfollamento generale di tutti i paesi, andrete via, sarete deportati o dovete andar via voi e tutti i paesi saranno distrutti, questa casa sarà distrutta. Salvi quello che può”. “Come salvo? mica ho il camion, carico i mobili, ecc.”. La sua preoccupazione principale era la sua biblioteca27, questa biblioteca di famiglia ereditata dagli antenati quindi con molti libri antichi che lui aveva riordinato, rimesso a posto, aveva fatto scaffali nuovi e si accingeva a fare il catalogo28. Ma naturalmente tra quindici giorni tutti via, bisogna scappare …
Mio padre era affezionatissimo alla sua biblioteca di famiglia che aveva ordinato, schedato. Quindi la sua preoccupazione non erano tanto i mobili29 … ecc. non gliene importava niente ma i libri, la biblioteca. “Se la casa deve essere distrutta”, figuriamoci quale angoscia, “salvino i libri”. Che fa? Prende un fascicolo di carta e fa un elenco, una descrizione30. Avverte il Comando tedesco che “nella mia casa c’è una biblioteca di notevole importanza. Prima della distruzione che si annuncia ormai imminente invito a salvare i libri, si li prendano pure purché li salvino”.
Questo fatto ha determinato una storia che è durata quarant’anni. Perché il Comando tedesco di Sulmona avvertito di queste cose che lui fece arrivare al Comando tedesco attraverso la Deputazione di Storia patria31 [e] alla prefettura dell’Aquila. Scrisse al Comando e fu convocato dal comandante di Sulmona il quale sempre gentilmente disse “Salveremo, il Reich rispetta la cultura, noi salveremo la sua biblioteca. Non appena possibile, che non ci saranno azioni di fuoco ecc., lei verrà con noi, ci dirà qual è la parte più importante e la salviamo”. Mio padre ci ha creduto. Ha aspettato tre mesi. Un bel momento il 4 marzo “possiamo andare con la camionetta tedesca di notte a salvare la parte più importante della sua biblioteca”. Mio padre a quel punto fece testamento, l’abbiamo ritrovato. “Io salgo sulla camionetta tedesca. Che sarà di me?”, [un testamento] redatto la sera stessa, mi saluta “Io vado”. L’ha accompagnato qui, quando arriva non c’era più niente32, avevano naturalmente rastrellato su segnalazione sua perché la casa deve essere bombardata, distrutta, rasa al suolo, infatti poi la casa fu bombardata e quindi quello che era rimasto sotto l’acqua si è rovinato.
Quello che si son portati loro33, naturalmente constatò che l’avevano preso per i fondelli. “Non c’è più niente, la casa senza porte e finestre, il tetto semicrollato, è stata colpita da cannonate e così via”.
L’anno dopo ci fermammo a Sulmona per poter riavviare la ricostruzione prima di tutto del tetto. [La casa] è stata colpita da tre cannonate, ripara il tetto e poi si sarebbe ricostruito. Quindi nel dicembre del ‘45 torniamo a Roma perché io e mio fratello frequentavamo [le scuole] a Roma, torniamo a Roma per riprendere gli studi ecc.
Nel, credo, gennaio del ‘46 arrivò al nostro indirizzo di [Roma] una lettera di uno sconosciuto tedesco il quale segnalava a mio padre, poi vi spiego come aveva rintracciato questa nostra residenza a Roma, non a Sulmona ma a Roma, perché dunque questo tedesco raccontò una storia ma con l’intenzione di metterci sull’avviso. Dice “durante le ultime fase della guerra ero sul fronte orientale, mi trovavo in Polonia nei paesi baltici e arretravo. A un certo punto a Lubecca c’è un bombardamento americano e io mi rifugio in campagna e in una cascina in campagna vedo un mucchio di libri nello scantinato vicino a una fontana per cui questo libri si bagnavano pure. Allora ne ho presi quattro piccoli me li sono mezzi nello zaino, ci ho trovato una carta dentro con un indirizzo”. Mio padre riceveva all’epoca le pubblicità dei medicinali quindi c’era l’indirizzo suo di Roma. “Quindi scrivo a lei perché io ho visto questo mucchio di libri in uno scantinato nella campagna vicino Lubecca”. Mio padre insiste “Ma dove? Dove? Ci dica più precisamente dove, segnaleremo”. “Era notte sotto le bombe andavo scappando, che ne so”. Questo qui scriveva da Magonza34.
Mio padre da studioso frequentava molto le biblioteche e nella Biblioteca Vaticana conobbe uno studioso tedesco che stava accanto a lui che parlava italiano. Dice “Senta a me succede questo, questo. Si può sapere chi è questo che scrive Horst Wolff, studente di filosofia?”. Questo studioso tedesco si offre. “Questo è stato un giovane che ha collaborato con l’Università di Magonza a restaurare i libri dopo la guerra”. “Ah Magonza, restaura i libri, non Lubecca, allora i libri sono a Magonza”. Allora [gli] scrive “guardi che il prof. Wolfgang Hagemann35, noto studioso, mi ha detto che lei lavora a Magonza alla biblioteca non sarà che dopo Lubecca, per carità, sono arrivati [lì]?”. “No li ho visti a Lubecca”.
Questo avveniva nel [19]46-48-50-55.
Io intanto studiavo lettere, mi metto a studiare un po’ il tedesco per andare in Germania e fare le indagini direttamente. Avevo conosciuto anche dei colleghi, giovani studiosi tedeschi che venivano a Roma e nel ‘60 mi sono sposato, nel 61 con mia moglie abbiamo fatto il viaggio in Germania. Siamo andati a Magonza, nella biblioteca di Magonza, a vedere se in catalogo c’erano alcuni di questi libri di cui mio padre mi aveva dato l’elenco, e non ne trovo nemmeno uno, quindi qui in catalogo non c’è niente. Torno dico “Guarda papà che nel catalogo non c’è niente”. “O non sai consultare il catalogo o i libri sono nascosti negli scantinati di Magonza”. Aveva indovinato. Ma come facciamo a scoprirlo?
Nel tempo ho fatto amicizia con giovani studiosi tedeschi, sono tornato in Germania per due-tre volte e con uno, un collega giovane, siamo andati di nuovo a Magonza a gironzolare, a parlare con il direttore del Gutenberg Museum quindi luogo di studi antichi, libri antichi, parlava italiano, sente tutto il racconto “No io non so nulla di libri italiani portati a Magonza o dai tedeschi stessi o dagli occupatori francesi, americani, non so nulla”.
Richiamo l’individuo questo che ci aveva scritto e gli dico “ma dove li ha visti? ma dopo Lubecca non sarà che poi sono andati a Magonza?”. “No no, io non so più niente”.
Arriviamo al 1991, quindi quaranta anni abbondanti dopo. 26-27 febbraio ‘41 la sera a Roma ricevo una telefonata di una giornalista dalla Germania che parlava inglese che mi vuole fare una intervista. “Io faccio il linguista”. “No, no voglio fare una intervista sulla sua famiglia”. “Lei chi va cercando?”. Lei mi deve dire la famiglia di dove era”. “La mia famiglia era di Pescocostanzo”. “Ah è proprio lei quello che io cerco”. “E perché?”. “Perché io so dov’è la vostra biblioteca però non ve lo posso dire per telefono”. Avrà visto, avrà sentito, avrà avuto notizie di queste cose. Allora mi metto in contatto con un collega tedesco [? ?] a Francoforte che è vicino a Magonza. Dico “senti c’è una tale, non so chi sia, che mi dice che solo se vengo lì lei parla, per telefono non parla”. “Beh vieni, ti accompagno io, ci andiamo insieme da questa ragazza”.
Una ragazza appena laureata all’Università di Magonza, la quale ci racconta tutti i fatti come stavano. Lei era appena laureata, faceva parte di una squadra di schedatori, con questi gruppi di giovani che guadagnavano schedando i libri. “Mi consegnano un fascicolo, una lista di libri, un bel fascicolo, e non li trovo. Allora vado dal bibliotecario e dico senta dove sono questi altri libri?”. Quest’altro bibliotecario a questa situazione di questa ragazza che gli dice “io devo schedare questi libri, dove sono? Che mistero c’è?”, si sofferma e dice “Beh allora è ora di parlare. Questi sono i libri rubati dalle divisioni tedesche, portati in Germania, andati a finire nel fortino di Martin Bormann”36. Martin Bormann? Il delfino di Hitler quello che uscì dal bunker di Berlino per contrattare con gli americani la fuga degli alti gerarchi in Argentina con l’oro degli ebrei che aveva lui in parte nel suo rifugio nella Selva Nera dove aveva anche i nostri libri. Quindi sparito di scena perché fuggito in Argentina Martin Bormann37, i francesi arrivarono nella sua villa, trovarono i libri e siccome Magonza, l’Università di Magonza era una Università fondata da Napoleone, chiusa dopo Waterloo, riaperta da De Gaulle, dovevano ricreare una biblioteca e quindi dove trovavano libri di vario genere li ammassavano a Magonza. Quindi sono andati a finire a Magonza portati dalle truppe francesi che ricostituivano la biblioteca.
Perché il primo bibliotecario e dopo 40-45 anni il secondo bibliotecario con molto esitazione avevano parlato? perché c’era dietro l’ombra di Martin Borman questo personaggio tremendo, quello che aveva trattato le fuga dei gerarchi, per cui alzare il coperchio della villa di Borman nella Selva Nera, con quello che avevano trovato ecc.
Questa ragazza “io sono pronta a testimoniare in televisione apertamente, perché sono tedesca, la verità, perché io li ho visti”.
Allora prendiamo contatti con l’Università di Magonza, il direttore non si fa trovare, manda un’altra persona dice “Ah non so niente. Io sono il prorettore, non posso decidere nulla. Quando tornerà il rettore che sta in viaggio in America faremo sapere”. E quindi la cosa era di nuovo nelle nuvole.
La moglie del collega di Francoforte, Stephana, che era una ebrea rumena giornalista disse “Ci penso io”. Che fa? Si mette in contatto con una troupe televisiva che prende contatto con il bibliotecario che aveva dichiarato tutto. Vanno all’Università di Magonza, scendono negli scantinati filmano i libri con le schede i timbri, ecc. Viene a Roma, intervista me e mio fratello, viene a Pescocostanzo filma la casa e fa un servizio di dieci minuti. Una sera del giugno ‘91 in televisione tedesca “I nazisti hanno rubato i professori nascondono i libri”. A questo punto alzano le mani “Venite a riprendere, sì a spese vostre”. Poi però si pentono. Noi andiamo a chiedere il permesso al Ministero degli Esteri perché non potevamo attraversare la frontiera con un camioncino, quindi paghiamo tutto, il Ministero degli Esteri copre questa operazione, riportiamo tutto qui. Dopo un po’ ci arriva un telegramma dell’Università di Magonza “Vorremo sapere quanto avete speso per il trasporto dei libri”, ci mancherebbe pure questo e ci hanno rimborsato, ci hanno ripensato».
Antonello De Rosa:
«E questi libri dove sono?»
Francesco Sabatini:
«Sono qui»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Allora questo fa un po’ il paio, perché a Montecassino come saprà c’è stata la [Divisione] Göring che voleva portare via tutti questi quadri in Germania poi fermati a Spoleto ma sette casse sono arrivate da [Hermann] Göring, una parte che è stata ritrovata da Siviero38 che li ha recuperati, erano nascoste in Austria»
Francesco Sabatini:
«E cosa c’erano nelle casse?»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«C’erano i dipinti del Museo di Napoli che erano in deposito a Montecassino perché li avevano portati [pensando di salvarli dai bombardamenti] e sono stati ritrovati in questa miniera ad Altaussee in Austria, poi sono stati restituiti e adesso si trovano di nuovo nel Museo di Napoli»
Francesco Sabatini:
«Operazione condotta personalmente con questa ragazza, anche perché poi lei su questa scoperta ha costruito la sua carriera di detective si è messa al servizio tedesco per il recupero dei beni trafugati dai russi»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Suo padre era ancora vivo?»
Francesco Sabatini:
«No»39
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Non ha mai saputo nulla che siano ritornati»
Francesco Sabatini:
«No, però lui era convinto “I libri sono a Magonza, andate lì e li troverete”. Io ci sono andato ma che vuoi fare…»
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Hanno subito anche dei danni questi libri per l’acqua, per il trasporto?»
Francesco Sabatini:
«Alcuni sono stati restaurati dai tedeschi, hanno anche la custodia di restauro. Naturalmente non sono tutti perché da qui alla Selva Nera, portati da qui, trovati dai francesi, portati a Magonza, in mano a tante persone che avranno preso o ecc.»40
Gaetano de Angelis-Curtis:
«Siccome mi sono occupato di queste questioni di Montecassino, ho fatto un articolo su Studi Cassinati e volevo ampliare, fare una pubblicazione io metterei anche questa vicenda del recupero [della biblioteca Sabatini]».
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NOTE
1 Il toponimo «Pesco Costantii», assieme a quello di «Monacisca», è inserito nel primo pannello della valva di destra della porta centrale di accesso alla Basilica di Montecassino. Le formelle, che riportano l’elencazione dei possedimenti cassinesi, furono fuse su richiesta dell’abate Desiderio attorno al 1066 a Costantinopoli, cui fecero seguito parziali rifacimenti e restauri in epoche successive. Dopo la distruzione del monastero avvenuta nel corso della Seconda guerra mondiale, le formelle sono state recuperate tra le macerie, restaurate e ricollocate.
2 Gaetano Sabatini (1868-1964), sposato con la sulmonese Bianca D’Eramo e padre di due figli, si era laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Napoli. Svolse la professione di medico inizialmente tenendo le condotte in vari centri abruzzesi e poi presso l’Ordine di Malta a Roma.
3 Era il 3 novembre 1943. Gaetano Sabatini e la sua famiglia si rifugiarono nella casa del suocero, Scipione D’Eramo (E. Mattiocco, Un “catalogo a memoria” della Biblioteca e dell’Archivio, in G. Sabatini, Scritti editi e inediti, a cura di Ezio Mattiocco, vol. III, Ed. Lib. Colacchi, L’Aquila 1995, p. 529).
4 Si trattava della 1. Fallschirmjäger Division (Prima divisione paracadutisti), i cosiddetti diavoli verdi, al comando del gen. Richard Heidrich.
5 Pietransieri è una frazione del Comune di Roccaraso dove si verificò la «strage di Limmari», o «eccidio di Pietransieri», avvenuta il 23 novembre 1943 quando i Paracadutisti tedeschi del III Battaglione, 1° Reggimento, della 1^ Divisione Heidrich, uccisero in un casolare del bosco 128 civili del luogo di cui una sessantina di donne, 34 bambini e anziani (si salvò una sola bambina protetta dal corpo della madre e degli altri).
6 Richard Heidrich (1896-1947), dopo aver combattuto in Francia, nell’isola di Creta e nell’assedio di Leningrado, preso parte alle operazioni di guerra nella Campagna d’Italia con il grado di Generalmajor, al comando della 1. Fallschirmjäger Division (Prima divisione paracadutisti), i cosiddetti diavoli verdi. Per il ruolo svolto lungo la Linea Gustav fu promosso al grado di Generalleutnant ottenendo anche varie decorazioni.
7 I «Patrioti della Maiella», evolutasi militarmente nella «Brigata Maiella», fu una formazione partigiana che combatté nella lotta di liberazione dell’Italia anche al fianco delle truppe alleate dall’Abruzzo fino al Veneto. È stata decorata di Medaglia d’oro al Valor militare alla bandiera.
8 Un piano di battaglia era stato già predisposto dallo Stato Maggiore italiano a opera del generale Alberto Pollio (1852-1914), di origine casertana e capo di Stato Maggiore dal 1909, il quale aveva identificato Cassino, ovvero «la bretella di Cassino» quale miglior caposaldo per bloccare qualunque esercito di invasione tentasse di raggiungere Roma da sud.
9 Il 19 settembre 1943 una colonna di autovetture giunse al chilometro 111 della strada statale Casilina, all’incirca all’altezza di Cassino. Il convoglio era formato dal feldmaresciallo Albert Kesselring, di lì a poco comandante supremo dell’O.K.W. in Italia, dal suo Stato Maggiore coadiuvato dall’addetto militare presso l’ambasciata del Giappone a Roma, il colonnello Moriaki Shimizu e da altri tre ufficiali nipponici. Curiosamente fu proprio l’addetto militare giapponese a suggerire a Kesselring la posizione di Cassino, riproponendo di fatto il piano elaborato dal gen. Pollio nel 1909.
10 Le distruzioni furono dovute essenzialmente all’opera della 1ª Divisione Paracadutisti che operò nell’alto Sangro a partire dal novembre 1943. I paracadutisti prima obbligarono la popolazione locale a sfollare e poi iniziarono a distruggere sistematicamente i paesi dislocati in prima linea come i centri abitati di Roccaraso (distrutto al 90%), Rivisondoli, Roccacinquemiglia (frazione di Castel di Sangro), Ateleta.
11 «Pescocostanzo fin dalla sua origine (nel secolo XI) aveva particolari legami con l’abbazia di Montecassino: la chiesa di Santa Maria del Colle era all’origine una dipendenza cassinese» (F. Sabatini e G. Sabatini, Il Frammento volturnense e le altre pergamene in beneventana nella Biblioteca Sabatini di Pescocostanzo, in Il Frammento Sabatini. Un documento per la storia di San Vincenzo al Volturno, a cura di Gabriella Braga, Viella ed., Roma 2003, p. 5; si precisa che da tale volume sono tratte varie fotografie a corredo di questo articolo). Quindi a inizio del XVI secolo iniziò la giurisdizione spirituale cassinese e Pescocostanzo entrò a far pare della Diocesi di Montecassino (G. Sabatini, Pescocostanzo, Tip. Consorzio Nazionale, Roma 1950, ora in Id., Scritti editi e inediti … cit., vol. III, p. 248).
12 La Chiesa di Pescocostanzo conserva il rito ambrosiano nelle cerimonie del battesimo (cioè per immersione e non aspersione) che potrebbe spiegarsi con l’immigrazione di artigiani lombardi avvenuta nel corso nel XV e nel XVII secolo. La collegiata di S. Maria del Colle («quia in colle sita est») che da inizio XVI secolo funge da parrocchia ed elevata alla dignità di basilica da papa Palo VI nell’autunno 1976, custodisce, fra vari capolavori, anche la statua della Madonna del Colle di Pescocostanzo, una statua in legno policromo di scuola abruzzese del XIII secolo. Nella notte del 10 febbraio 1975 la statua venne rubata e il giorno successivo l’abate di Montecassino, don Martino Matronola, dopo la celebrazione dei Vespri si portò a Pescocostanzo. Dopo qualche mese, il 7 giugno 1975, la statua fu recuperata dai Carabinieri di Firenze («Echi di Montecassino», a. III, n. 6, gennaio-giugno 1975, pp. 89, 94). Il 31 maggio dell’anno successivo mons. Matronola tornò a Pescocostanzo e all’inizio della Santa Messa, «tra l’esultanza della buona popolazione», procedette a incoronare il «venerando simulacro della Madonna del Colle tornato al culto dei fedeli dopo il sacrilego furto» («Bollettino Diocesano», n. 2, a. XXXI, aprile-maggio-giugno 1976, p. 123).
13 Don Antonio Tarquinio fu trasferito il 5 novembre 1955 da mons. Ildefonso Rea dalla parrocchia di Santa Maria del Colle di Pescocostanzo a quella di San Pietro apostolo nel quartiere del Colosseo a Cassino con presa di possesso il 14 gennaio 1956, morto il 21 agosto 1964 all’età di 49 anni (Ecclesia Casinensis. La Diocesi di Montecassino, Tip. Pontone, Cassino 1975, p. 108).
14 A don Michele Curtis (17.1.1880-19.9.1955), già docente e censore del Collegio di Montecassino, l’abate Rea affidò, nell’immediato dopoguerra, le parrocchie a Cassino di S. Germano vescovo e di S. Pietro apostolo (già in Castro) nel quartiere del Colosseo (costituita all’ingresso nord della città in sostituzione di quella di S. Pietro in castro che prima della distruzione era ubicata alle pendici del colle Janulo), unite aeque principaliter, nonché l’incarico di sovrintendere ai lavori di costruzione dell’omonima chiesa di S. Pietro apostolo.
15 Don Angelo Di Ianni, nato il 12 aprile 1924 a Villetta Barrea, fu nominato arciprete parroco di Pescocostanzo il primo settembre 1953 (Ecclesia Casinensis. La Diocesi di Montecassino … cit., p. 87).
16 Al Motu proprio «Catholica Ecclesia» di papa Paolo VI sul «Riordinamento delle abbazie non dipendenti da alcuna diocesi» del 23 ottobre 1976, fece seguito il Decreto della Sacra Congregazione per i Vescovi n. 8526 del 21 marzo 1977 di riordino della geografia ecclesiastica che tendeva anche all’uniformità territoriali delle circoscrizioni ecclesiastiche al fine di evitare la presenza di enclavi parrocchiali in altre diocesi. Il decreto venne a rideterminare i confini della Diocesi di Montecassino con ventisei parrocchie ubicate in Abruzzo (nelle province di Chieti, L’Aquila e Pescara), Molise (in provincia di Isernia), Campania (in provincia di Caserta) e Lazio (in provincia di Frosinone) che furono distaccate dalla Circoscrizione ecclesiastica cassinese. Il Comune di Pescocostanzo, assieme a quelli di Ateleta, Barrea, Villetta Barrea e Civitella Alfedena, passarono alla Diocesi di Sulmona-Valva (G. de Angelis-Curtis, La Diocesi d Montecassino e il tentativo di riordino della geografia ecclesiastica italiana del 1966, in «Annale di Storia regionale», a. 5/6_2010-2011, Università degli Studi di Cassino, Cassino 2011, pp. 103-135).
17 Don Antonio Bigante (17.1.1944-20.07.2002) fu nominato parroco di S. Pietro apostolo al Colosseo a Cassino il primo ottobre 1967, con presa di possesso il giorno successivo, rimanendovi fino al 1987. Fu nominato anche rettore della Chiesa del Colloquio di Villa S. Lucia nonché membro del Consiglio presbiterale e della Commissione Arte Sacra (Ecclesia Casinensis. La Diocesi di Montecassino … cit., pp. 83, 173).
18 In occasione del ventesimo anniversario della sua scomparsa la Giunta Municipale di Cassino, con Delibera n. 194 del 21 luglio 2021, ha inteso ricordarlo nella toponomastica cittadina istituendo «Largo don Antonio Bigante».
19 Culturalmente e umanamente intenso fu il rapporto di Gaetano Sabatini con Montecassino con gli abati d. Gregorio Diamare e d. Ildefonso Rea, e, in particolare, con i vari responsabili dell’Archivio cassinese, d. Ambrogio Amelli, d. Mauro Inguanez e d. Tommaso Leccisotti. Gaetano Sabatini presenziò a Cassino alle celebrazioni per il XIV centenario della badia nel 1929, cogliendo l’occasione, in quello stesso anno, per portarsi ad Atina a studiare codici e volumi presenti nelle biblioteche delle famiglie del comm. Giuseppe Visocchi e di Pietro Vassalli.
20 Come risulta da «tracce di piegatura», il frammento, al pari di altre pergamene in beneventana, «in una fase della loro esistenza» furono «utilizzati come coperte di volumi (forse manoscritti più che libri a stampa), condizione alla quale poi sono stati sottratti, per essere ripianati». Gaetano Sabatini li rinvenne casualmente, «già spianati e abbastanza ben conservati», in alcune ceste tenute nella soffitta di casa (F. Sabatini e G. Sabatini, Il Frammento volturnense e le altre pergamene … cit., p. 7). Il frammento consiste «in un fog. di due carte; e ciascuna carta misura mm. 345 X 260. Ogni pagina ha poi due colonne di scrittura in carattere beneventano della fine del secolo XI, o principio del sec. XII», scritte da Giovanni monaco, vivente nel 1071 (G. Sabatini, Frammenti inediti, ora in Id., Scritti editi e inediti … cit., vol. I, p. 278). Il frammento «risultò appartenere a una redazione anteriore a quella dell’esemplare esistente nella Vaticana», definito come codice Barberini n. 2724, «e addirittura portatore di notizie più esatte sulla data di una visita di Carlo Magno alla celebre abbazia di San Vincenzo al Volturno» (B. Sulli, Gaetano Sabatini e la sua biblioteca, in G. Sabatini, Scritti editi e inediti … cit., vol. I, p. XIII).
21 G. Sabatini, Frammenti inediti del Chronicon Volturnense e di un Regolamento di Studi monastici e Notizie di altri codici del secolo XI-XIV, in «Rassegna di Storia d’Arte d’Abruzzo e Molise», a. I (1925), Fasc. III, pp. 97-134.
22 Vincenzo Federici aveva concluso i lavori sul Chronicon nel 1940, con una serie di appendici fino al 1949. Solo nel 1954 Gaetano Sabatini, fin lì impegnato nei lavori di riparazione della casa di Pescocostanzo, cercò di riallacciare i rapporti con il «grande paleografo amico» che però «era morto da qualche mese» (F. Sabatini e G. Sabatini, Il Frammento volturnense e le altre pergamene … cit., pp. 8-9).
23 La biblioteca e le carte del prof. Federici furono donate dalla figlia Nora alla Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma «La Sapienza» nel novembre 1996 (Ivi, p. 8).
24 «Le iniziali maiuscole» dei fogli «sono eziandio accompagnate da qualche tinta di colore» ma «mentre le pp. 1 e 2 del detto frammento contengono solo manoscritto, senz’altri disegni, nelle pp. 3 e 4 del cod. medesimo si vede anche l’immagine disegnata a penna e poi colorata» di undici abati volturnensi i quali «portano la tonaca color marrone; essi inoltre reggono con il braccio sinistro il pastorale ed un libro (La regola), mentre la mano destra è posta in atto di benedire». Invece il solo abate Giosuè «porta una tonaca di colore azzurro, non reca né pastorale, né libro; e regge invece con ambe le mani il disegno prospettico di una chiesa col relativo alto campanile (la Badia Volturnense) ch’egli presenta a S. Vincenzo, il quale vedesi eziandio in effigie … vestito con una dalmatica gialla a maniche molto larghe e porta, a tracollo, una stola rossa» (G. Sabatini, Frammenti inediti, ora in Id., Scritti editi e inediti … cit., vol. I, pp. 278-279, 286-287).
25 È stata una «vera fortuna» che il frammento e pochi altri pezzi che furono consegnati al prof. Federici per i suoi studi, e che egli conservò negli anni di guerra a casa sua, si siano salvati dalla devastazione bellica. Infatti la restante parte della raccolta di pergamene, così come il fondo di incunaboli, cinquecentine e altri libri antichi furono asportati quasi interamente da casa Sabatini durante l’occupazione tedesca di Pescocostanzo e nel dopoguerra «nulla [fu] recuperato della raccolta di pergamene» (F. Sabatini e G. Sabatini, Il Frammento volturnense e le altre pergamene … cit., pp. 7-8).
26 Il Frammento Sabatini e tre pergamene dell’antica raccolta di Gaetano Sabatini sono state offerte «in donazione da Giuseppe e Francesco Sabatini allo Stato italiano, per la conservazione nel Monumento dell’Abbazia di Montecassino, il 13 maggio 2003. Le motivazioni della scelta di Montecassino discendono da una serie di fattori in quanto «questa Abbazia ha da tempo la cura ecclesiastica della gloriosa consorella di San Vincenzo, perché tanta parte delle vicende di casa Sabatini e, per altre vie, di tutta la comunità di Pescocostanzo è legata al cenobio cassinese» oltre ai «profondi rapporti personali di amicizia» intrattenuti da Gaetano Sabatini con abati e monaci cassinesi (Ivi, pp. 10-11).
27 Gaetano Sabatini accanto allo svolgimento della sua attività professionale di medico aveva maturato una «vasta e profonda cultura umanistica», iniziata proprio nella sua biblioteca di famiglia dove, come scrive Bruno Sulli, «aveva presto conseguito la sua privatissima laurea in storia». Alla biblioteca aveva dedicato molto tempo e denaro e fu «da lui ampliata, arricchita, organizzata» (B. Sulli, Gaetano Sabatini e la sua biblioteca … cit., vol. I, pp. X-XI, XV).
28 Nell’estate del 1943 il «medico umanista» aveva appena terminato la risistemazione della biblioteca e risultava costituita da venti-venticinquemila libri mentre l’archivio si componeva di oltre 400 pergamene, venti incunaboli e numerosi codici e manoscritti (G. Sabatini, I conti di San Venditto, ora in Id., Scritti editi e inediti … cit., vol. III, p. 232, n. 1). Biblioteca e archivio occupavano una decina di vani di casa Sabatini a Pescocostanzo: oltre 10.000 volumi, numerosi periodici, pergamene, incunaboli, carte e manoscritti erano collocati in tre vani del primo piano dello stabile, un altro migliaio di libri di medicina in due grandi scaffali nella saletta e nello studio medico; altri 2.000 volumi di giurisprudenza più raccolte di libri di teologia, morale, diritto canonico, giornali e corrispondenza di famiglia si trovavano al secondo piano; nel soffitto del terzo piano c’erano numerose collezioni di giornali (G. Sabatini, Inventario dei manoscritti e libri della Biblioteca Sabatini, in Id., Scritti editi e inediti … cit., vol. III, pp. 533-543).
29 Nel corso dell’occupazione tedesca la casa fu svuotata «di gran parte degli arredi» che furono «portati a Introdacqua per addobbare l’alloggio del generale Richard Heidrich» (B. Sulli, Gaetano Sabatini e la sua biblioteca … cit., p. XVI).
30 L’inventario della biblioteca, dell’archivio, oltre che degli arredi di casa, fu redatto da Gaetano Sabatini subito dopo l’arrivo a Sulmona. Pur vergato «a memoria», cioè «compilato sui ricordi … in un momento di grave turbamento e concitazione», fu terminato il 5 dicembre 1943. L’inventario consta di 22 fogli di carta protocollo a righe e vi appaiono elencati «con grande precisione» i libri e i fondi manoscritti. In specie per le carte d’archivio, appare «davvero sorprendente» la descrizione che ne fa Gaetano Sabatini, con le notizie dei documenti che «diventano a volte piccoli regesti (con date e nomi) e danno perfino il via a succinti ragguagli sui problemi storici che vi sono connessi». A giudizio di Ezio Mattiocco il motivo che portò Sabatini a una stesura così dettagliata appare «fin troppo evidente: il pensiero, chissà quanto doloroso per lui, che questi pezzi unici stessero per perdersi definitivamente lo spingeva a salvare in extremis la memoria del loro contenuto e a fissare – per sé, per chiunque, data l’incertezza del vivere stesso – una traccia dello studio compiuto». (E. Mattiocco, Un “catalogo a memoria” … cit., vol. III, pp. 529-531).
31 Fin dal 1920 Gaetano Sabatini era divenuto Deputato della Deputazione di Storia Patria degli Abruzzi (fu socio anche delle Deputazioni lombarda e napoletana).
32 Il Comando tedesco a fine marzo autorizzò Gaetano Sabatini a tornare a Pescocostanzo per poche ore per recuperare ciò che era possibile. Durante il viaggio, svoltosi effettivamente nella notte e nelle prime ore del 4 marzo su un mezzo militare, l’ufficiale tedesco «restituì all’intrepido studioso una pergamena … facendo così comprendere che un “prelievo” era ormai avvenuto». In effetti Gaetano Sabatini poté constatare che la biblioteca e l’archivio erano stati «saccheggiati». Gli fu possibile recuperare «solo materiale di scarso valore e fortemente danneggiato» che andò poi «a depositare presso il vescovado di Sulmona» (E. Mattiocco, Un “catalogo a memoria” … cit., p. 529).
33 Gaetano Sabatini, nel tentativo di recuperare la biblioteca, aveva chiesto la collaborazione della Deputazione e della Direzione dell’Archivio di Stato dell’Aquila nonché l’aiuto del vescovo di Sulmona ma inutilmente perché dei camion tedeschi non c’era più traccia (B. Sulli, Gaetano Sabatini e la sua biblioteca … cit., p. XVI). Invece le pergamene, come gli testimoniò più tardi un falegname di Pescocostanzo, erano state prelevate da soldati tedeschi che le avevano «spedite (verosimilmente in Germania, secondo il piano del tedesco Mayer!)» (G. Sabatini, I conti di San Venditto … cit., p. 232, n. 1).
34 Gaetano Sabatini riferisce che alla lettera era stati acclusi «alcuni volumetti» che lo studente sosteneva di aver preso dal mucchio di volumi rinvenuti nel casolare nei pressi di Lubecca (Ivi, p. 233, n. 1).
35 Wolfgang Hagemann (1911-1978), storico del medioevo, era giunto a Roma fin dal 1935 impegnato in ricerche presso l’Istituto romano. Nel corso della guerra operò come interprete del gen. Erwin Rommel e di altri comandanti in nord Africa e in Italia. Nel dopoguerra si adoperò per la riapertura dell’Istituto Storico Tedesco a Roma di cui fu, per anni, vicedirettore.
36 Martin Bormann (1900-1945?) è stato il segretario personale di Adolf Hitler e tra i gerarchi più influenti sulla Germania nazista e sullo stesso Führer.
37 Controversa la fine di Martin Bormann. Secondo alcuni testimoni sarebbe morto a Berlino colpito nelle ultime fasi di guerra. Negli anni ‘70 sono stati rinvenuti a Berlino i resti di un corpo che le analisi condotte hanno fatto risalire con certezza a quelli di Bormann. Secondo altre fonti Bormann riuscì a fuggire da Berlino e a raggiungere il sud America, vivendo tra l’Argentina e il Paraguay. Quando poi effettivamente morì il suo corpo fu riesumato e portato a Berlino, lì dove è stato rinvenuto.
38 Anche Gaetano Sabatini aveva interessato della questione della sua biblioteca Rodolfo Siviero, allora ministro plenipotenziario per i recuperi delle opere d’arte (B. Sulli, Gaetano Sabatini e la sua biblioteca … cit., p. XVI).
39 La parte di libri recuperati è tornata a Pescocostanzo il 9 giugno 1991.
40 Solo una parte dei libri sottratti da casa Sabatini durante l’occupazione tedesca di Pescocostanzo e finiti nella Biblioteca dell’Università di Magonza «è stata recuperata». Degli altri libri rimasti a Pescocostanzo molti sono andati persi in seguito agli incendi che investirono l’ultimo piano della casa oppure perché rimasero diciotto mesi alle intemperie, sotto pioggia e neve. Nel dopoguerra «nulla» è stato recuperato della raccolta di pergamene e del fondo di incunaboli e cinquecentine asportati quasi interamente dai tedeschi (F. Sabatini e G. Sabatini, Il Frammento volturnense e le altre pergamene … cit., pp. 7-8).
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