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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 4
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di Lorenzo Riccardi
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Ora conservate nella chiesa di S. Tommaso presso il castello di Roccasecca, le pitture murali provenienti dalla chiesa di S. Pietro in Campeo furono staccate alla fine degli anni ’70 del XX secolo per conto dell’allora Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Roma. Da allora sono sfuggite ai più, ma non alla penna di Grimoaldo Di Sotto, che ne scrisse in un breve contributo confluito nel libro di Dario Ascolano del 19881. Questa notarella è un affettuoso omaggio all’attività di un cultore, cui il patrimonio storico-artistico dei comuni dell’antica Contea di Aquino deve tanto in termini di conoscenza e tutela2.
Dell’esistenza di pitture murali nella diruta chiesa di S. Pietro davano notizia proprio Grimoaldo Di Sotto nel 19763 e, con una fotografia, Enzo Borsellino nel 1976-19774, pochi anni prima dello stacco effettuato dalla restauratrice Dominique Queloz con la direzione dei lavori dell’allora funzionaria di Soprintendenza, Augusta Monferini5. Una “coppia” particolarmente rodata in tale attività, dal momento che negli anni subito precedenti aveva lavorato al restauro della grotta dell’Angelo a Caprile e poi in S. Maria del Monacato a Castrocielo e, in contemporanea, a S. Eleuterio a Roccasecca. In questi due ultimi casi si scelse di staccare i relativi dipinti murali, ora conservati sui loro nuovi supporti – i primi – nella chiesa di S. Rocco a Castrocielo e – i secondi – in quella di S. Tommaso a Roccasecca.
Le pitture di san Pietro sono oggi “scomposte” in cinque pannelli e l’attuale collocazione non riflette quella originaria, anche se almeno tre di essi erano originariamente disposti senza soluzione di continuità sulla parete Sud-Ovest della chiesa6. Rimando ad altra sede uno studio più analitico sull’intera decorazione, che sembrerebbe tutta coeva, come già notava Serena Romano sottolineandone la vicinanza alle pitture, anch’esse poco note, del santuario di Montevetro ad Esperia7. Effettivamente come quelle di Roccasecca risentono della pittura napoletana tra esperienze post-oderisiane e il magistero di Nicolò di Tommaso, motivo per cui è per entrambe condivisibile una datazione all’ultimo quarto del XIV secolo, anche se – a mio avviso – il giudizio sulla qualità formale espresso dalla studiosa sui dipinti di Esperia è ingeneroso8.
Tornando a S. Pietro, le pitture della parete Sud-Ovest sono state staccate rispettandone, per quanto possibile, la suddivisione originaria in pannelli autonomi. Dico per quanto possibile perché il primo manca della cornice sinistra e il terzo è assai danneggiato a destra, rendendone poco chiara la configurazione. Essi andrebbero virtualmente ricomposti, da sinistra verso destra, in questo modo: il primo pannello con due figure (di apostoli?) e un donatore in abiti civili inginocchiato; il secondo con san Michele Arcangelo che uccide il drago e pesa le anime e un santo diacono con una figura laica inginocchiata; il terzo con san Pietro e un santo che tiene per il guinzaglio due cani, verso cui si rivolge un religioso munito di mitra, anch’esso inginocchiato. Solo al di sotto di queste due figure (e quindi al lato del prelato) corre un’iscrizione assai malandata e di incerta lettura9. La successione delle pitture, con la cadenzata presenza di donatori (laici e religiosi), fa pensare che la campagna pittorica – ancorché unitaria e affidata a una stessa bottega – abbia avuto diversi finanziatori, secondo una prassi assai in voga soprattutto a partire dal Trecento10.
In questa occasione, mi concentro sulla figura, semidistrutta e fino ad ora ignorata, del santo che tiene al guinzaglio i due cani, che pure doveva avere – nell’economia generale del progetto decorativo – una certa importanza: era infatti affiancata a quella del titolare del luogo di culto, san Pietro. Inoltre, a differenza delle altre, la coppia di santi era stata scelta da un religioso che doveva essere identificato dall’iscrizione e aveva avuto un ruolo preminente nella commessa, ma di cui non conosciamo il nome. Per l’attributo della mitra, Serena Romano ha pensato a un vescovo11, anche se sorprende che esso sia abbigliato con un semplice abito bianco da cui fuoriescono le mani giunte in preghiera. È un aspetto su cui ancora bisogna ulteriormente indagare.
Della figura del santo resta ben poco, si distinguono un mantello rosso lungo fino al polpaccio, la calzamaglia verde bottiglia e dei calzari neri arrotondati in punta e allacciati sul collo del piede. Al lato – come si diceva – un cane rosso e uno bianco, entrambi con collari e catenelle. I santi accompagnati da un cane sono numerosi: tra i vari, Rocco, Domenico di Sora, Eustachio, Eleuterio di Arce, Vito. Specie questi ultimi presentano come attributo due cani al guinzaglio, ma per sant’Eleuterio una raffigurazione cronologicamente così alta – per i motivi che vedremo – appare improbabile. Vito invece è un santo assai venerato in Italia meridionale (e non solo) già dal periodo altomedievale, insieme a Crescenza e Modesto, con i quali è talvolta raffigurato. Martire sotto Diocleziano, è considerato protettore degli epilettici e coretici (ballo di San Vito), dei rabbiosi e isterici, dai morsi dei cani, degli insetti e delle serpi12.
Molto frequenti sono le sue rappresentazioni: a titolo di esempio, nella cripta di S. Margherita a Melfi e nella chiesa superiore di S. Lucia a Brindisi13 è vestito con mantello e tunica, provvista in basso – come per i santi militari in abiti “civili” – di un gallone decorato. Tale elemento manca invece nella raffigurazione della chiesa rupestre della Madonna della Buona Nuova a Massafra, anche se in questo caso il santo indossa delle calzature ornate con un motivo perlinato simile alla spilla che chiude sul collo i lembi del mantello14.
Finora non erano note raffigurazioni così antiche di Vito in provincia di Frosinone: solo al 1430-1440 risale il dipinto nella badia di S. Sebastiano ad Alatri attributo alla cerchia di Antonio da Alatri15, mentre viene datata intorno al 1625 la nota tela di Giuseppe Cesari nella chiesa di S. Vito ad Arpino: in entrambi i casi Vito è raffigurato accanto a Crescenza e Modesto. Eppure il culto per il santo era già radicato nel territorio della diocesi di Aquino, come attestano le chiese che a lui risultano dedicate agli inizi del XIV secolo a Roccadarce16 e, per l’appunto, a Roccasecca. Qui il monastero, ubicato non lontano da S. Pietro in Campeo, è già attestato nell’XI secolo17, a segnalare una vitalità di culto che giustificherebbe la scelta individuale del committente di raffigurare Vito accanto al titolare della chiesa, Pietro.
A margine della vicenda è interessante notare che nella diocesi di Aquino, probabilmente non prima degli inizi del XV secolo, ma soprattutto nel corso del XVI18, è emerso con particolare vigore il culto di un santo per certi versi sovrapponibile (nella protezione accordata ai morsi dei cani e, parzialmente quindi, per l’iconografia) a quello di Vito: si tratta del pellegrino e confessore Eleuterio19, il cui santuario si trova presso Torre Campolato (o di Sant’Eleuterio) in territorio di Arce20. Le sue prime raffigurazioni note, infatti, ce lo mostrano in semplici abiti e con un bastone, accompagnato da serpenti e – per l’appunto – da due cani21. La difficoltà di ancorare il culto a prima del XV secolo, nonché l’assenza dei serpenti, sembra far escludere che il frammentario santo di S. Pietro in Campeo possa essere identificato con Eleuterio.
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NOTE
1 D. Ascolano, Storia di Roccasecca, Roccasecca 1988, pp. 90-96 (la paternità dei testi di Grimoaldo Di Sotto è riconosciuta alle pp. 90 e 321), poi confluito in G. Di Sotto, Gli affreschi medievali dell’antica contea di Aquino: Aquino Castrocielo Caprile Roccasecca, Cittiglio 2007, pp. 135-140.
2 G. Di Sotto, Le pitture della chiesa rupestre di S. Angelo in Asprano: (l’Ascensione), in «Benedictina», XXIII (1976), 1, pp. 163-172 poi confluito e ampliato in Id., Gli affreschi medievali cit.; Id., I santi taumaturghi negli affreschi di Caprile, Castrocielo 2011; Id., L’Arte Moderna della cattedrale di Aquino, Roccasecca 2014, cui va aggiunto Id., Bene scripsisti de me Thoma: la tela dell’800 raffigurante s. Tommaso acquistata dal comune di Aquino, in «Studi Cassinati», VIII (2008), 1, pp. 52-56. Si veda anche il ricordo che di Grimoaldo, scomparso il 19 novembre 2021, viene fatto nel presente numero della rivista.
3 Di Sotto, Le pitture … cit., p. 169.
4 F. Caraffa, E. Borsellino, Insediamenti monastici della Valle del Liri (secoli X-XV) e loro localizzazione topografica, in «Bollettino dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale», IX (1976-1977), pp. 95-110, in part. p. 105, fig. 3.
5 Istituto autonomo Vittoriano e Palazzo Venezia, Archivio storico, Perizia dei lavori n° 68 del 26.05.1979.
6 Sulla chiesa monastica di S. Pietro si vedano almeno F. Caraffa, Roccasecca (FR). S. Pietro in Campeo, in Monasticon Italiae I, Roma e Lazio (eccettuate l’arcidiocesi di Gaeta e l’abbazia nullius di Montecassino), a cura di F. Caraffa, Cesena 1981, p. 164, n. 184; S. Del Ferro, Insediamenti monastici nei territori diocesani di Aquino e Veroli: alcuni esempi, in Committenza, scelte insediative e organizzazione patrimoniale nel Medioevo, atti del Convegno di studio (Tergu, 15-17 settembre 2006), a cura di L. Pani Ermini, Spoleto 2007, pp. 489-521, in part. pp. 491-495 e S. Pietrobono, L’insediamento ecclesiastico e monastico nel Lazio meridionale: il territorio tra il fiume Liri e le gole del Melfa nel medioevo, in Lazio e Sabina, VI, atti del convegno (Roma, 4-6 marzo 2009), a cura di G. Ghini, Roma 2010, pp. 431-439: in part. pp. 435-436.
7 S. Romano, Eclissi di Roma: pittura murale a Roma e nel Lazio da Bonifacio VIII a Martino V (1295 – 1431), Roma 1992, p. 360.
8 Ivi, p. 358. A tale cronologia giunge per via paleografica anche A. Nicosia, Iscrizioni medievali di mastri e committenti nel Lazio meridionale, in «Quaderni Coldragonesi», 2 (2011), pp. 29-48, in part. p. 37.
9 Tentativi di lettura della stessa Romano, Eclissi di Roma cit., p. 360 e più recentemente di Nicosia, Iscrizioni medievali cit., pp. 36-37.
10 Valgano le pregnanti osservazioni su tale fenomeno di W. Angelelli, Antonio da Alatri e la pittura di età tardogotica in Campania, in Tra Chiesa e Regno. Nuove ricerche sull’arte del Basso Medioevo nel Frusinate, a cura di W. Angelelli e F. Pomarici, Tivoli 2021, pp. 305-363.
11 Romano, Eclissi di Roma… cit., p. 360 e Nicosia, Iscrizioni medievali cit., pp. 36-7.
12 A. Amore, M.C. Cellitti, sv Vito, in Bibliotheca Sanctorum, XII, Roma 1959, coll. 1244-1248.
13 M. Guglielmi, Gli Affreschi del XIII e XIV secolo nelle chiese del centro storico di Brindisi, Martina Franca 1990, pp. 74-75.
14 L. Safran, The Medieval Salento: Art and Identity in Southern Italy, Philadelphia 2014, p. 70; C.D. Fonseca, Due regioni, una civiltà. La vita in grotta tra Puglia e Basilicata, Galatina 2019, fig. a p. 48.
15 M. Benigni, Antonio da Alatri e la pittura frusinate nella prima metà del Quattrocento, in La pittura del Quattrocento nei feudi Caetani, a cura di A. Cavallaro, S. Petrocchi, Roma 2013, pp. 61-124: pp. 98-99 nr. 3.18.
16 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV – Campania, a cura di M. Inguanez, L. Mattei-Cerasoli, Pietro Sella, Città del Vaticano 1942 (rist. anastatica 1973), p. 27 nr. 299, 30 nr. 356, 35 nr. 409.
17 Sul monastero di S. Vito: E.M. Beranger, Nuovi risultati di una indagine sulla conservazione e trasformazione dei monumenti romani nell’età di mezzo nelle province di Frosinone e Latina, in «Rivista cistercense», IX (1992), 3, pp. 249-317, in part. p. 271; C. Molle, Epigrafi romane tra Aquinum e Fabrateria Nova, in «Sylloge Epigraphica Barcinonensis», XVII (2019), pp. 63-100, in part. pp. 82-92. Come mi segnalano Tommaso e Carlo Molle, che ringrazio, a Roccasecca in località Valle era ubicata un’altra chiesa dedicata a S. Vito, citata da P. Cayro, Storia sacra e profana d’Aquino e sua Diocesi, II, Napoli, presso Vincenzo Orsino 1811, p. 162.
18 F. Corradini, G. Lützenkirchen, G.A. Violetta, S. Eleuterio nella tradizione arcese, in Il culto dei santi nel Lazio meridionale fra storia e tra dizioni popolari, atti del Convegno (Patrica, 21 gennaio 1996), a cura di G. Giammaria, Anagni 1996, pp. 69-80, in part. pp. 70-71 nt. 3.
19 Arce. Sant’Eleuterio, in I santi patroni del Lazio, I, La provincia di Frosinone, a cura di S. Boesch Gajano, L. Pani Ermini, G. Giammaria, Roma 2005, pp. 93-100. Cfr. anche V. Tavernese, Storia e leggenda di un santo e del suo santuario, Arce 1979, pp. 38-44; Corradini, Lützenkirchen, G.A. Violetta, S. Eleuterio… cit.
20 C. Ebanista, La torre di Sant’Eleuterio ad Arce: fondi documentarie e archeologia dell’architettura, in Ianua Regni: il ruolo di Arce e del castello di Rocca d’Arce nella conquista di Enrico VI di Svevia, a cura di F. Delle Donne, Arce 2006, pp. 33-100.
21 Cfr. note 18-19.
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