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«Studi Cassinati», anno 2022, n. 4
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di Vincenzo Ruggiero Perrino
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[seconda parte – continuazione*]
CITTADINE LIMITROFE NON GEOGRAFICAMENTE CIOCIARE MA LEGATE ALLA CIOCIARIA.
Un sonetto del dott. Pietro Guarini da Piperno venne incluso nella ricca edizione de Le cinque piaghe di Christo, tragedia sacra dell’arciprete di Canepina Bernardino De Angelis, stampata in Ronciglione nel 1657. Di Piperno era anche lo storico e poeta Pietro Paolo Benvenuti, vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo: di lui si conserva un sonetto nell’edizione a stampa della commedia Il dispettoso marito di Vergilio Verucci (1612).
Nel 1699, il duca di Sermoneta Gaetano Francesco Caetani patrocina la rappresentazione nel suo palazzo di Cisterna, dell’opera tragicomica La tirannia per amore vendicata da se stessa, scritta da Domenico Bonmattei Pioli. L’opera venne realizzata per le nozze di Eleonora Caetani, sua figlia e Francesco Caracciolo, conte di Buccino. Tuttavia, l’edizione a stampa, pur nota, non è più reperibile. Però, è giusto aggiungere che si ha notizia di altre rappresentazioni presso il palazzo Caetani: nel 1710 il dramma pastorale di Rinaldo Giangi La Rossana; nel 1714 la favola boscareccia di Domenico Renda La finta rapita; nel 1715 il dramma musicale di Angelo Donato Rossi, La Costanza in amore (come la precedente musicata da Giuseppe Valentini)1.
La famiglia dei marchesi Conti di Gorga si segnalò come particolarmente attenta alla cultura letteraria e teatrale del tempo. Ne forniamo qui due esempi molto significativi2. Il primo si intitola La Catena d’Adone. Si tratta di una «favola boschereccia composta da Ottavio Tronsarelli, ordinata dal sig. Francesco De Cuppis e rappresentata nel palazzo del sig. Evandro Conti, marchese di Gorga», che venne eseguita, con musiche di Domenico Mazzocchi, per sette volte nel febbraio del 1626. Lo straordinario successo di questa opera è attestata non soltanto dal numero di repliche (in un’epoca in cui la rappresentazione di un’opera andava raramente oltre un’unica occasione), ma anche dalla fortuna editoriale. Infatti, ne venne stampato immediatamente l’Argomento, ossia una sorta di programma di sala – probabilmente distribuito agli spettatori in occasione delle recite – nel quale è contenuto lo scenario con la descrizione del prologo e delle scene dei cinque atti, e con una “allegoria” finale, che spiega la morale della storia. L’altra opera è La selva incantata, una commedia boscareccia di Matteo Pagani e dedicata a Cleria Conti, marchesa di Gorga, e moglie di Evandro, andata in scena nell’agosto del 1626. Leggiamo nella dedica che l’idea della rappresentazione della commedia venne all’autore collaborando con Francesco De Cuppis (del quale si lascia intendere che avesse allestito anche altri drammi), e con Giuseppe Cesari, il celeberrimo pittore più noto come Cavalier d’Arpino (che scopriamo così essere stato l’artefice delle scenografie anche de La Catena d’Adone), rappresentata in casa Conti pochi mesi prima. Il Pagani, ricordando i ruoli avuti per l’allestimento delle macchine sceniche anche da Evandro e dal figliolo Baldassarre (che l’anno precedente era stato il dedicatario di una commedia di Lorenzo Guidotti intitolata Imbriachezza d’amore, curioso esperimento di opera scritta in diversi dialetti), afferma che la marchesa provvide, insieme con «la sua comitiva di done», agli «habiti», cioè ai costumi di scena, che furono tanto ricchi da rendere decisamente indimenticabile la festa del precedente febbraio.
Al duca di Carpineto – nonché pronipote di papa Innocenzo X – Giovan Battista Panfilio venne dedicata nel 1658 la commedia Il cieco finto overo Raguetto viandante di Alessandro Bombardieri, che venne pure ristampata a Macerata l’anno seguente. Precedentemente il duca era stato dedicatario del Martirio di S. Giorgio di Giorgio Marra Cosentino, andata in scena il primo maggio del 1650 e stampata a Roma nello stesso anno (e poi di nuovo nel 1658). Due anni più tardi, al duca Giovan Battista venne dedicata la commedia La fontana Panfilia composta da Emilio Meli e rappresentata dai convittori della sua Dozzina durante le vacanze di Carnevale del 1652. Quest’opera, scritta l’anno precedente, era stata già rappresentata come anticipazione carnevalesca dell’inaugurazione (nel giugno 1651) della Fontana dei Quattro Fiumi, costruita da Lorenzo Bernini per Innocenzo X. Infine nel 1666, al duca venne dedicata l’opera scenica L’Honorato imprudente, di Giovanni Francesco Savaro vicario della cattedrale di Mileto, nei pressi di Catanzaro. Nel febbraio del 1651 il padre del duca, il cardinale Camillo Pamphili3 patrocinò la rappresentazione a Palazzo Aldobrandini del dramma musicale Santa Agnese. Di quest’opera è conservata anche la partitura musicale nell’archivio musicale Doria-Pamphili4. E a Carpineto svolgeva il suo ufficio di parroco Giulio Cesare Valentino, autore e traduttore originario di Napoli, Accademico Diviso di Roma detto l’Astratto, del quale ci resta un componimento poetico contenuto nell’edizione a stampa della commedia di Alessandro Guarnello La vittoria, pubblicata proprio dall’Accademia dei Divisi nel 1620.
Al cardinale Benedetto Pamphili5, che era legato a Bologna, venne dedicato il dramma per musica («da rappresentarsi nel famoso Teatro Maleuezzi») Amilcare di Cipro, scritto da Alessandro Gargieria nel 1692. Il cardinale fu a sua volta autore di diversi oratori (cantati per lo più presso la chiesa dei padri della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri di Firenze): Troiani Herois Aeneae iter ad esylium (1676, che in realtà è un «carmen allegoricum musicis modis concinnatum & dictum»), Santa Maria Maddalena De’ Pazzi (1687), Il sagrifizio di Abel (1693), La conversione di S. Maria Maddalena (1693), Il martirio di S. Vittoria (1693), Santa Francesca Romana (1693), Santa Rosa di Viterbo (1693), L’Ismaele soccorso dall’angelo (1695), Sedecia, re di Gerusalemme (1707).
Era di Balsorano, Alessandro Villa, autore della tragedia La morte di Oreste che venne pubblicata a Napoli nel 1847, che lo stesso scrittore si affretta a definire come ricca di novità sceniche e narrative, pur rispettando la storia tragica del personaggio classico. E, sempre con riferimento a Balsorano, è conservato presso l’Archivio Diocesano di Sora, un documento (non datato ma ascrivibile al XVIII secolo), in cui viene stilato un Notamento delle Feste della Chiesa di Balsorano, con la preziosa indicazione degli uffici liturgici da eseguire per ciascuna celebrazione festiva.
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Il XVIII secolo
Per quel che concerne il Settecento, la grande fortuna dell’opera lirica a livello europeo, coinvolse anche le cittadine ciociare. Infatti, dobbiamo segnalare l’attività di due cantanti lirici: Giuseppe Fabrizi detto de’ Petroni di Veroli e Giuseppe Marocchini (altrove scritto Marrochini e Marrocchini) di Arpino.
Dell’attività del primo resta testimonianza in alcuni libretti, stampati in varie città italiane tra il 1758 e il 1770. Interpretò ruoli sia maschili (p. es., fu Valerio ne Le Statue a Civitavecchia nel 1758; Learco nell’Antigona a Venezia nel 1762; e Agenore ne Il re pastore a Napoli nel 1765), che femminili (fu, tra l’altro, Lauretta ne L’Arcadia in Brenta a Roma nel 1759; Lucrezia ne La conversazione ad Urbino nel 1760; e Semplicina ne Le contadine bizzarre sempre a Roma nel 1763).
L’arpinate Marocchini ebbe una carriera lunga e sicuramente di gran successo, considerato che nell’arco di un trentennio si contano numerose sue partecipazioni a rappresentazioni non soltanto a Roma (dove fu ingaggiato per ruoli esclusivamente femminili, come ad esempio Flavietta in Le pazzie per amore del 1761, o Clarice ne L’incostante nel 1766), ma anche a Lisbona (dove rimase attivo almeno fino al 1792, anno in cui interpretò Lauretta in Riccardo cor di leone). Il fatto che egli abbia interpretato solo ruoli femminili – salvo rarissime eccezioni come il ruolo di Mezenzio in Enea nel Lazio nel 1767 (da non confondere con l’opera omonima e di pochissimo posteriore di Venanzio Belmonte) – ci fa intuire che egli dovette essere una voce bianca, come non era raro a quei tempi6.
A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, il sacerdote Oratio Raoli di Anagni dedica alla sua nobile concittadina Maria Raoli una riduzione in ottava rima della Vita di sant’Onofrio heremita figlio del re di Persia, che si conserva oggi manoscritto a Lonato nella Biblioteca della fondazione «Ugo da Como», e che reca sensibili tracce di impostazione drammaturgica.
Presso la Biblioteca Nazionale di Roma si conservano manoscritti gli Epitalami che Giuseppe Limatola, Mansionario della S. Metropolitana Chiesa di Benevento, aveva composto per le nozze di «Sua Eccellenza la Signora D. Giacinta Orsini De Duchi di Gravina con Sua Eccellenza il Signore D. Antonio Boncompagno Ludovisi Duca d’Arce, de Prencipi di Piombino». Queste operette, che verosimilmente vennero declamate al pubblico che prese parte alle nozze, risalgono al 19 marzo 1757. Per il carnevale del 1757, al citato duca Antonio viene dedicata la farsetta per musica a tre voci Lo sposalizio all’usanza, il cui libretto pubblicato a Roma, riporta in maniera abbastanza inconsueta, oltre ai nomi degli interpreti e dell’autore della musica (il napoletano Antonio Aurisicchio), anche quelli dello scenografo Giovan Battista Olivieri, e dei costumisti Giuseppe Pedocca (che aveva realizzato gli abiti maschili) e Giuseppe Catalini (per gli abiti femminili). L’anno seguente, alla duchessa di Arce Giacinta Orsini veniva dedicata un’altra farsetta in musica, dal titolo Le statue, che venne rappresentata al romano Teatro alla Valle nel carnevale di quello stesso anno. La musica venne composta dal Cavalieri Bruscia (errore tipografico del cognome Brusa).
Nel 1718 avviene la monacazione di Caterina Ferrari da Ceprano nel venerabile monastero di S. Maria della Ripa della città di Pontecorvo. Caso più unico che raro, la stessa ragazza è autrice di un sonetto che dedica a monsignor Giuseppe de Carolis. Un altro libretto di monacazione è Nel prendere l’abito monastico benedettino nel venerabile monastero di S. Maria de’ Franconi di Veroli l’illustrissima signora Agata Cocchi De Santis (1749)7.
Tra le rime, che il prolifico Desiderio de Angelis raccolse nell’opera La Cetera (1732), è compresa anche un’egloga boschereccia, nella quale intervengono due personaggi, dai nomi tipicamente bucolici di Clori e Tirso, il cui scambio di battute ricalca i toni malinconici della prima egloga virgiliana.
Santo patrono di Patrica è San Cataldo, che è venerato anche a Supino, nel cui nome non esiste più festa, ma che nel XVII sec. diede vita addirittura a liti tra le due comunità. Esistono infatti due documenti che testimoniano di queste festività (che comprendevano anche balli e banchetti) tormentate da dissapori tra i due gruppi di fedeli8.
Risale al 1794 un Chirie a Quattro Concert.o, eseguito a Ferentino nel mese di maggio di quell’anno, la cui partitura, composta da un tal Pieri, è conservata manoscritta presso il conservatorio romano di Santa Cecilia. Probabilmente nella medesima occasione, il Pieri fece eseguire anche un Gloria a quattro voci (soprano, contralto, tenore e basso), la partitura del quale è anch’essa conservata al Santa Cecilia. È invece della metà del Settecento un Dixit a 4 voci breve Concertato per Organo, composto dal Sig.r Giovan Batta Costanzi ad uso del Sig.r D. Bernardino Pinciveri da Veroli.
Numerosi manoscritti sono conservati presso la Biblioteca del Monastero di Casamari. Tra questi c’è, per esempio, un Processionale cisterciense ad usum Casae-Marii (risalente al 1746), corredato di notazione musicale (con note quadrate, scritte con inchiostro nero su righe di colore rosso). Altro documento simile è il Processionale cisterciense ad usum monasterii Casaemarii (anche questo databile al XVIII sec.), analogamente scritto con inchiostri bicolore. E ancora: un In purificatione B. Mariae V. cantor postquam abbati candelam accesam obtulerit incipiat sequentem antiph., un Compendio molti uffizi nella Trappa di Casamari, un Antiphonarium ordinis cistercensis ad usum propris monasterii SS.mo Pauli Casemarii proprium de tempore (contenente canti corali), un Officia Peculiaria (scritti dal monaco corista Palemone Barrett, originario di Marsiglia, sul finire del Settecento), un Graduale (scritto dal monaco Colombano Maria Longoria nel 1839). Ugualmente da Casamari provengono: un Caeremoniale Casinensivm in qvo omnes praelati Ordinis S. Benedicti, et Monachi Breviario Pavli V. auctorit[at]e recog[nit]o vtente, in Ponticalibus, ac sacris functionib[us] instruuntur, scritto nel 1639 da Zaccaria Amutina per Orazio da Brixia; ed un Psalterium cisterciense (1651).
Sempre nel Settecento sono da segnalare almeno tre operette che sono ambientate in altrettante cittadine ora laziali, con le quali hanno legami ideali molto forti: San Giuliano martire in Sora (di Ottavio De Blasio, stampata a Napoli nel 1700), Il barbiere di Arpino (di Angelo Tarchi, Napoli 1779) e Il passaggio di S. Mauro da Monte Cassino nella Francia (di Paolo Nevodini, Crema 1788)9.
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Il XIX secolo
Nell’Ottocento era ancora in uso la declamazione poetica di versi dedicati alle ragazze che si monacavano. Nel 1822, venne pubblicato un volumetto contenente le ottave e i sonetti composti per la vestizione dell’abito religioso nel venerabile monastero di S. Giovanni Battista di Bauco della nobile Agnese Baronio (che assunse il nome di suor Maria Celestina). Il libricino venne dedicato al vescovo di Veroli Francesco Maria Cipriani10. «All’egregia e virtuosa donzella» Eufemia Ambrosj di Castro, che il 9 settembre 1839 vestiva l’abito religioso in Bauco (prendendo il nome di suor Maria Filomena) venivano dedicati componimenti poetici da alcuni poeti locali. Nuovamente dedicatario del libello fu il su menzionato vescovo verolano. Nel 1857 la signorina Letizia Sabelli prendeva i voti nel monastero di Santa Chiara di Agnone (l’antico nome di Villa Latina). Come per altre esperienze analoghe, anche in questa occasione venne pubblicato un libricino contenente liriche che vennero scritte (e presumibilmente declamate) per la lieta circostanza. Il 3 ottobre 1858 la signorina Luisa Patanella vestiva l’abito religioso nel monastero benedettino alatrense, assumendo il nome di suor Maria Scolastica. Per l’occasione l’abate Francesco Carisdeo offriva alcune composizioni poetiche, che vennero recitate11.
Risale al 1885 il fascicolo che venne pubblicato per conto dell’Accademia Ernica di Alatri contenente i componimenti poetici che vennero declamati il 23 aprile di quell’anno in occasione di una Solenne tornata (ossia un recital ante litteram) in onore di Sisto I pp. e martire12.
Ernest A.L. Coop, a metà dell’Ottocento scrisse una Fantaisie Brillante per pianoforte, dedicandola a Marzio Caetani Carafa, duca di Alvito. Si tratta di una sorta di rifacimento della popolare Io te voglio bene assaje. Anzi, il manoscritto, conservato presso la biblioteca del Conservatorio di musica di Milano, reca oltre a numeri e segni in matita rossa nel corso del brano e un appunto relativo alla probabile pubblicazione della partitura, anche la correzione (della stessa mano) del titolo che sul frontespizio era erroneamente indicato come Te voglio bene assaje.
Il caso di Alvito, centro della Valle di Comino in cui perdurano particolari forme di devozione fra sacro e profano, superstizioni, credenze e riti, può costituire uno spaccato interessante per lo studio delle tradizioni popolari del Lazio meridionale, con particolare riferimento anche alle pratiche alimentari. Nell’ambito dei rituali associati al cibo, sebbene oggi la persistenza di produzioni tipiche siano circoscritte all’interno di uno sparuto gruppo di piccole aziende di tradizione contadina centenaria e risultino ormai sfuocate le peculiari coltivazioni di miglio, un tempo inscindibilmente legate all’allevamento dei piccioni e alla presenza, nell’insediamento urbanistico, delle caratteristiche torri, è particolarmente diffuso nella società postagricola alvitana, quindi definibile come collettivo, il rito localmente identificato con la locuzione «portare la visita». Non si fa qui riferimento, o almeno non soltanto, all’atto del recarsi in visita in sé, ma s’intende quello stesso atto accompagnato necessariamente da un dono rituale, il quale assume proprio il nome di «visita». Nella tradizione contadina alvitana essa è rappresentata da prodotti alimentari che variano di genere e di quantità a seconda dell’occasione per la quale sono consegnati e del legame con il visitato. A tal riguardo si distinguono, indicativamente, tre tipologie ricorrenti di visita: per la nascita; per la malattia; per la morte13.
La giostra della bufala, tradizionale spettacolo popolare, che affonda le sue radici più antiche negli spettacoli dell’anfiteatro romano, era particolarmente frequentato ad Anagni, città nella quale, secondo una testimonianza di Alessandro de Magistris, la giostra risalirebbe addirittura al medioevo14. All’epoca veniva chiamata nello Statuto con il nome di «caccia» o «ambagia»15. Pur non esistendo testimonianze documentarie specifiche sulle modalità di svolgimento della giostra, si sa da alcuni dispacci delle Guardie Civiche, risalenti alla metà dell’Ottocento, che spesso l’animale veniva legato con corde alle corna e trattenuto dai giostratori, che spesso rimanevano feriti16.
Risale al 1896 l’Inno ai maestri elementari italiani eseguito in occasione della serata data nel «Teatro civico» di Cagliari a beneficio del collegio Regina Margherita per le orfane dei maestri elementari in Anagni. Ne scrisse i versi la prof.ssa C. Crespi, che furono musicati dal maestro G. B. Dessy.
Durante i festeggiamenti per l’Assunzione di Maria del 1817, grandi solennità furono celebrate presso la chiesa Maggiore in Arpino. La funzione religiosa dell’incoronazione della statua raffigurante la Madonna dovette essere parimenti accompagnata da manifestazioni di carattere para-spettacolare, come la recitazione di poesie e componimenti lirici. Ne resta una traccia in un opuscolo contenente un’ode anacreontica, composta per l’occasione da Giovanni Fiorilli, Ergendosi aurea corona all’eccelsa effige della Vergine dell’Assunta nella chiesa Maggiore in Arpino.
Per quel che riguarda il compositore Carlo Conti, egli nacque ad Arpino nel 1796, e compiuti gli studi presso il Real Collegio di S. Sebastiano di Napoli, proprio presso il collegio iniziò ad esercitare la funzione di “maestrino”, avendo tra i suoi allievi Vincenzo Bellini (che fu sempre legato al maestro da un rapporto di devozione ma anche di invidia) e Francesco Florimo, il quale, ne La scuola musicale di Napoli, gli dedicò un capitolo che resta tuttora la principale fonte di notizie su di lui. Inizialmente, Conti compose sinfonie e pezzi sacri, che ebbero buoni apprezzamenti, ma poi si dedicò al teatro, musicando e facendo rappresentare nel 1819 la sua prima prova melodrammatica Le truppe in Franconia, piena di influenze rossiniane. Secondo il racconto del Florimo, che fu testimone oculare dell’avvenimento, Rossini stesso assistette all’esordio di Conti, compiacendosene con l’autore, che ne fu spronato a proseguire l’intrapreso cammino dapprima a Napoli e poi in altre città d’Italia. Dopo trionfi e importanti esperienze anche a Milano, il padre, sempre poco propenso all’attività teatrale intrapresa dal figlio, lo richiamò ad Arpino nel 1831, affinché si occupasse del patrimonio familiare. L’anno seguente si sposò con Luisa Villa, dalla quale ebbe tre figli. Tuttavia, la prematura morte della moglie (1837) fece scemare le sue velleità musicali. Tant’è che intraprese la stesura di un metodo di contrappunto, maturando una più congeniale vocazione didattica. Nel 1848, in occasione della concessione della costituzione da parte di Ferdinando II, Conti assunse l’impegno di comporre l’inno-cantata borbonico su testo di L. Tarantini. Questo inno venne eseguito con successo il 29 gennaio di quell’anno al «Teatro S. Carlo», appassionando gli spettatori per la sciolta brillantezza del ritmo di tarantella che divenne assai popolare. Nel 1858, per motivi personali, il Conti si dimise dall’insegnamento, e si ritirò in Arpino, pur senza troncare del tutto i rapporti con gli alunni del collegio né con la direzione, tanto che alle istanze del Consiglio direttivo perché riassumesse la carica didattica, si vide costretto ad accettare, insegnando fin quasi alla morte, ma anche alternando al servizio soggiorni sempre più lunghi e frequenti in Arpino, dove morì nel luglio 1868. Rossini lo proclamò «il primo maestro di contrappunto di questo periodo di secolo che possa vantare l’Italia».
Risalgono alla metà dell’Ottocento due testimonianze di Saggio di studii letterarii e scientifici di belle arti e lingue straniere, dati pubblicamente dagli alunni della Badia di Montecassino, rispettivamente nel 1855 e nel 1858. E, in anni di poco posteriori, fu presente a Cassino la cantante lirica Wanda Miller, applaudita interprete di opere celeberrime come Otello di Rossini (1876) o il Faust di Gounod (1877). Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero di Pignataro Interamna17.
A Castelnuovo Parano, si segnalano le attività rituali e culturali della Confraternita del SS. Corpo di Cristo e del SS. Rosario, fondata il 14 luglio 1779 con lo scopo di suscitare aggregazione, esercitare opere di pietà cristiana e carità, incrementare il culto per rispondere ai bisogni ed istanze del tempo, nella vita sociale ed ecclesiale e fu coinvolta nelle attività sociali, politiche e culturali della comunità18.
Una citazione merita anche il campolese Filippo Cirelli, nato nel 1796 e attivo soprattutto a Napoli, dopo gli studi presso il seminario di Sora. A Napoli, insieme con Salvatore Fergola, fonda «Poliorama Pittoresco», una rivista illustrata (pubblicata con cadenza settimanale tra il 1836 e il 1859), che letta oggi costituisce una vera e propria enciclopedia della prima metà dell’Ottocento. In essa, tra le molte informazioni, si leggono anche gli scritti di Antonio Fazzini su Sangermano, Rovine di Cassino, ed articoli talvolta corredati da immagini alcune delle quali di Filippo Molino (per l’oggetto di queste pagine, in particolare ricordiamo il disegno dell’antico anfiteatro cassinese)19. Sangermano con Montecassino, Sora e relativi dintorni devono essere mete privilegiate nei tour di quei tempi se, al di là degli scritti già ricordati, c’è da segnalare, oltre quello di Nicola Magliari, Memorie di un viaggio a Sangermano, Montecassino e Sora, addirittura una lunga poesia dal titolo Pe nserta de lo Capodanno no viaggio poveteco a S. Germano, e Sora. Arremmediato a llengua nosta tale e quale è succiesso, un componimento in ‘sestrine’ scritto dall’abate Giulio Genoino, autore di numerose canzoni sia in italiano che in napoletano, tra cui la celebre Fenesta ca lucive, nonché della trascrizione di Fenesta vascia, un canto anonimo del ’500. Filippo Cirelli nel presentarla, corredata da una immagine delle «cos. dette Cascatelle nell’Isola di Sora» e da quella di una donna «nella foggia di vestire delle contadine di Sora e di Isola». Tra i personaggi che beneficiano di un ricordo, con loro immagini, c’è pure Onorio de Vito, valente violinista arpinate, celebrato in una necrologia redatta da Domenico Anzelmi.
Da evidenziare l’attenzione che «Poliorama» riserva alle feste patronali, in particolare quelle che si svolgono nel territorio che vanta i natali del suo editore/direttore, corrispondenze, peraltro, talvolta firmate da cronisti occasionali. Come nel caso dell’articolo che racconta «Il 28 agosto 1842 a Carnello» affidato a «un valoroso giovane nostro amico e compaesano», si legge nella presentazione, che si firma «Ott. M.», o l’altro, in cui si riferisce sulla seconda «Festa secolare» svoltasi ad Alvito «con pompa rispondente alla immensa devozione che questo popolo nutre verso il Santo» protettore S. Valerio Martire, di cui è autore Evangelista Castrucci, un alunno della locale scuola secondaria. e, date le circostanze, non poteva passare nel dimenticatoio uno degli appuntamenti estivi più importanti per i fedeli dell’alta Terra di Lavoro (e non solo): «La festa di Nostra Signora di Canneto dal 18 al 22 agosto 1853».
In ultimo, bisogna ricordare Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato, ovvero «Descrizione tipografica, storica, monumentale, industriale, economica e commerciale delle province al di qua e al di là del Faro e di ogni singolo paese di esse», un impegnativo progetto editoriale ideato e curato da Cirelli e «sussidiato» da Ferdinando II, che avrebbe dovuto illustrare ogni singolo paese del Regno. Iniziato a stamparsi nel 1853 nello stabilimento di Gaetano Nobile al vicoletto Salata a’ Ventaglieri, restò incompiuto per via della fine del regno borbonico tant’è che lo stesso Cirelli, che, al di là dei molteplici impegni, rivestì «la carica di ‘revisore delle opere teatrali’ (…), fu destituito il 18 ottobre 1860 all’indomani dell’occupazione piemontese».
Nel periodo pre e post risorgimentale, a Ceprano venne creato il «Teatro dei Condomini», una istituzione resa possibile, come già accaduto in altri importanti centri della Ciociaria, del viterbese e della stessa provincia di Roma, dall’iniziativa sviluppata da parte di alcuni cittadini facoltosi che, con ogni probabilità, avevano assistito a rappresentazioni presso altre strutture emergenti. Questa “fame di teatro” spinse molti dei comuni presenti all’interno dei territori di cui innanzi, a sostenere gli sforzi degli appassionati – i Condomini – per realizzare un pubblico teatro, ma quasi sempre i progetti si infransero sulla scarsità di risorse e l’impossibilità da parte delle pubbliche amministrazioni locali, di poter sostenere iniziative economiche così importanti20.
In tema di recital in occasione di premiazioni scolastiche, risale al 1891 un Discours prononce a l’occasione de la distribution solennelle Des prix aux eleves du pensionnat Martin Filetico de Ferentino le 7 juin, di Bertrand Settimi. Questi scrisse anche il Discours prononce a l’occasion de la commemoration solennelle de Joseph Verdi, faite au theatre Isabella a Frosinone le 24 fevrier 1901.
La notizia, pubblicata sul calendario Ripi dei nonni del 1999 tra le curiosità del mese di maggio, riferiva che in quella cittadina il 12 novembre 1888 era nato Giuseppe Micheli, precisando che si trattava di un «illustre autore di testi di canzoni di successo», tra le quali bisogna annoverare Faccetta nera e anche La romanina21.
Agostino Colajanni è l’autore di una composizione drammatica, scritta, ed indi fra solenne pompa cantata nella sera del dì 4 luglio dell’anno 1802, Il genio di Sora festeggiante pel faustissimo ritorno di Sua real maestà Ferdinando 4. al trono partenopeo.
Esistono molti manoscritti musicali riferibili a Sora. Per esempio, esiste un Processionale cistercense ad usum Mauri M[ari]ae, che veniva utilizzato presso il monastero sorano di S. Domenico. Idem dicasi per un testo poetico Per la festa di San Domenico di Sora (stimato alla metà dell’Ottocento), conservato presso la Biblioteca dell’Abbazia di Casamari.
Nel 1812, l’abate Camillo Novelli di Veroli, all’epoca parroco della chiesa di Santa Croce, nonché membro di molte accademie letterarie, scrisse un Canto offerto alla maestà cesarea di Napoleone Primo, nel cui libretto a stampa si allude anche ad altre composizioni liriche, che avevano avuto un buon apprezzamento.
Nel corso dell’Ottocento, diverse opere (teatrali o parateatrali) relative alla città di Veroli vedono la luce in edizioni a stampa. Le elenchiamo di seguito: Predicando con universale applauso la Quaresima dell’anno 1832 nella insigne concattedrale di Piperno il reverendissimo signor canonico D. Giacomo Mizzoni da Veroli all’illustrissimo e reverendissimo Monsig. Luigi Grati vescovo di Gallinico (si tratta di un’ode di Giuseppe Martelli fra gli arcadi Rosmiro Amicléo, datata 1832); Per le nobilissime nozze di Evangelista De’ Marchesi Campanari di Veroli con la egregia donzella Camilla De’ Marchesi Vincentini di Rieti (versi declamanti per l’occasione da vari poeti e offerti dal cav. Gabriele padre della sposa, 1834); Elogio sacro alla inclita protettrice della citta di Veroli S. Maria Salome (di cui fu autore Filippo Fattori nel 1842); A sua eccellenza reverendissima monsignore Don Camillo de marchesi Bisleti che dall’arcidiaconato della cattedrale di Veroli dove fu vicario capitolare e generale venne innalzato alla sede vescovile di Ripatransone (composto dal marchese Filippo Bruti Liberati nel 1847); Ne’ solenni ingressi nelle cattedrali di Corneto e Civitavecchia di sua eccellenza re.ma Monsignor D. Camillo de’ marchesi Bisleti patrizio verulano e cuprense ossia ripano ec.ec.ec. primo vescovo di dette diocesi riunite trasferitovi da questa sede di Ripatransone (anche questo composto dal medesimo marchese nel 1854); A Pio 9. che con angelico sorriso allegrava la citta di Veroli questi inculti ma sinceri poetici fiori (scritti da Antonio Lamesi, canonico della collegiata di S. Erasmo nel 1863); A monsignore Carlo Domenico Cerri torinese (contenente le poesie scritte e recitate da Cesare Cerri e altri poeti in occasione della predicazione quaresimale del 1870); L’educazione infantile (si tratta di un discorso letto dal prof. D. Giambattista Anania nella solenne distribuzione dei premi agli allievi del nobile ginnasio Franchi ed agli alunni delle scuole elementari municipali di Veroli il 3 ottobre 1875); Il culto di s. Giuseppe (anche questo è un discorso accademico letto nel Seminario-collegio di Veroli il 19 marzo 1886); L’arciprete di s. Francesca (Veroli): Storia veridica (si tratta di un bozzetto teatrale di Nino Compagnoni, pubblicato per la Tipografia Teatrale di Roma che proprio con questo lavoro inaugurò una collezione di operette dal titolo «Bozzetti settimanali» nel 1886); Nelle solenni esequie di mons. Gio. Battista Maneschi, vescovo di Veroli, celebrate il terzo dì dalla sua deposizione nella chiesa cattedrale di S. Andrea (discorso recitato da Isidoro da Guarcino nel 1891); Che cosa è un Vescovo nella sua Diocesi? (prolusione letta da Giambattista Anania nell’accademia letteraria tenuta nel seminario di Veroli dal capitolo della cattedrale la sera del 20 maggio 1892 in onore di monsignore Paolo Fioravanti novello vescovo della città).
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Tra XIX e XX secolo
Il libro di Salvatore Jacobelli, Motti, proverbi, preghiere, canti religiosi di Vico nel Lazio raccoglie (anche con le partiture) storie amorose, apologhi, canti profani, stornelli, strambotti, filastrocche, ninne nanne, indovinelli, voci di banditori e ambulanti del centro ciociaro, ascrivibili grosso modo al periodo tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.
Atinate era il compositore Samuele Pagano, nato in una famiglia di musicisti nel 1883. Fin dall’adolescenza mostrò sempre uno speciale talento musicale, tanto che, da semplice dilettante, suonava diversi strumenti e scriveva anche delle sonatine. Grazie alla determinazione del padre che volle assecondare la sua inclinazione musicale e grazie anche alla filantropia dell’Amministrazione comunale di Atina (nonché all’appoggio del senatore Alfonso Visocchi), riuscì a superare l’esame di ammissione presso il Regio Conservatorio di Musica «San Pietro a Maiella».
Nel 1903 conseguì, col massimo dei voti, il Diploma di Licenza e di Magistero nel ramo Istrumentazione per Banda. Nel 1907 fu nominato Maestro della Banda musicale di Atina percependo uno stipendio di £. 75 mensili lorde22. Nel 1946 diresse la Banda della «Città di Monte S. Giovanni Campano» e nel 1954 il Complesso Bandistico «Città di Alvito». In varie epoche fu vincitore di concorsi e Direttore di grandi complessi bandistici pugliesi e abruzzesi e diresse concerti a Londra e a Parigi dove si affermò come compositore, direttore d’orchestra e concertista. Formatore di ben tre generazione di allievi, morì ad Atina il 10 dicembre del 197223.
Attivo tra il finire dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento fu lo scrittore Giustino Ferri, nativo di Picinisco. Dopo gli studi compiuti presso il Liceo Tulliano di Arpino e la laurea in giurisprudenza conseguita a Napoli, si dedicò al giornalismo, collaborando con numerosi fogli letterari del tempo, per esempio «Cronaca bizantina», «Capitan Fracassa», «Fanfulla» e «Domenica letteraria». Anima e animatore dell’ambiente letterario romano, fu legato di grande amicizia con D’Annunzio, Pirandello e altri scrittori del tempo. Fu autore di novelle, romanzi, note letterarie e di circa un migliaio di articoli. Particolare importanza ha la sua attività di critico teatrale, che si svolse sulle pagine della «Rivista d’Italia» (1889-1900) e soprattutto su quelle della «Nuova Antologia», di cui fu critico drammatico dal 1905 fino alla morte. Tra l’altro, quando si spense, tra le sue carte venne ritrovato, insieme a romanzi incompiuti, anche l’abbozzo di una commedia intitolata La strada.
Acquafondata, piccolissimo borgo di nemmeno trecento abitanti fondato in epoca medioevale, è gravitato nell’orbita dei conti di Venafro prima, e dell’Abbazia di Montecassino poi. Posto sul crocevia tra Marsica, Abruzzo e Molise, ne ha anche assorbito le tradizioni popolari. Infatti, Acquafondata è ben nota per la fabbricazione artigianale delle zampogne, un’attività tradizionale per la sua popolazione, cui dedica anche il «Festival internazionale della zampogna», che richiama, soprattutto nei mesi estivi, musicisti ed appassionati da ogni parte del Paese.
Il Complesso Bandistico d’Acquafondata venne costituito nel 1865. Si tramanda che una sua particolare esibizione, alla fine dell’Ottocento, abbia portato benefici a tutta la comunità. Tale esibizione, infatti, avvenne durante un viaggio del re Vittorio Emanuele II, il quale partito da Roma per Caserta, fece sosta nell’alta Terra di Lavoro fermandosi a Roccasecca. Questa circostanza fece sì che le autorità della zona accorressero a dare il benvenuto al re, portandosi come motivo di acclamazione e saluto le proprie Bande Musicali. Rimasta entusiasta per l’esibizione della Banda di Acquafondata (che per l’occasione suonò la Marcia Reale) la regina Margherita di Savoia chiese di conoscere il maestro della Banda e il sindaco del paese, per complimentarsi. Nel farsi avanti, il sindaco dell’epoca Angelo Russo si scusò con la Regina dell’abito misero e delle ciocie che indossava; la sovrana, colpita nella sua sensibilità, chiese al sindaco quale fosse il problema più impellente della sua comunità. Il sindaco espose il problema del ristagno dell’acqua che provocava la malaria. I lavori ebbero fine nel primo Novecento con la realizzazione del traforo per lo scorrimento delle acque, traforo ancora oggi esistente nel Comune di Acquafondata.
Patricano di nascita era il sacerdote compositore e maestro di musica Licinio Refice, che nacque nella città ciociara nel 1883. Diplomatosi in composizione nel 1910, iniziò una straordinaria carriera musicale. Caratteristica della sua arte è una certa eccitazione che imprime alle composizioni anche sacre, specialmente alle messe, che, non a caso, egli considerava dei veri e propri “microdrammi”. Questa sua concezione, almeno inizialmente, suscitò polemiche e incomprensioni, fin dal suo primo tentativo compositivo, intitolato Cantate Domino canticum novum (1910). Poi, si dedicò ad una serie di composizioni che ampliavano e modificavano l’oratorio tradizionale, per il quale impiegò la lingua italiana piuttosto che il latino, per garantire una più ampia partecipazione popolare: Dantis pöetae transitus (1921) eseguito a Ravenna (dove si recò accompagnato da Arturo Toscanini) e Trittico francescano (1926) eseguito ad Assisi. Si dedicò, successivamente, alla composizione di opere liriche di argomento sacro: Cecilia (che pur pronta fin dal 1922, a causa del perdurare delle polemiche, andò in scena solo nel 1934 al «Teatro Reale dell’Opera» di Roma, con la regia di Marcello Govoni e la partecipazione del famosissimo soprano Claudia Muzio, con enorme successo di pubblico) e Margherita da Cortona (che inaugurò la stagione teatrale della «Scala» di Milano nel 1938).
Queste due opere gli garantirono un tale successo da farlo ospitare nei maggiori teatri del mondo sempre con vivo successo, senza trascurare il ruolo di direttore dei «Cantori Romani di Musica Sacra» (gruppo da lui stesso formato). Negli ultimi anni iniziò a musicare Il Mago su libretto di Emidio Mucci: un dramma ambientato nei primi secoli del Cristianesimo. Purtroppo, quest’opera rimase incompiuta al primo atto per la morte di Refice, avvenuta nel 1954 a Rio de Janeiro, mentre stava preparando l’allestimento di Cecilia con Renata Tebaldi.
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Il XX secolo
Agli inizi del Novecento, la città di Arpino fu attiva anche sul fronte editoriale, grazie alla presenza di alcune tipografie/case editrici. Tra le varie testimonianze, ne citiamo almeno due di argomento teatrale: il saggio Il dialogo delle bellezze di Nicolò Franco di Giuseppe De Michele (pubblicato dallo Stabilimento Tipografico Torlolani di Arpino nel 1912)24 e la relazione Sul “Demofoonte” del Metastasio di Berenice Pennacchietti (edito dalla Società Tipografica Arpinate nel 1913).
Tommaso Landolfi (nato a Pico nel 1908) fu autore tra l’altro di alcune opere teatrali: Landolfo VI di Benevento (1959, tragedia in endecasillabi sciolti), Scene dalla vita di Cagliostro (che venne anche trasmessa in televisione nel 1961) e Faust ’67 (1969, di impianto più sperimentale). Tuttavia, anche la gran parte dei suoi racconti presenta un impianto che potremmo definire quasi teatrale, all’interno del quale l’autore sembra quasi ritagliarsi il ruolo di “regista” sul grande palcoscenico del teatro del mondo25: è una configurazione «spettacolare» quindi quella che generalmente dà Landolfi alla sua narrazione, tra farsa, parodia e melodramma, attraverso uno svuotamento del senso drammatico per mano di un humour dissacratorio. La teatralizzazione consente a Landolfi di adottare contemporaneamente più punti di vista e più ottiche, e perciò nessuna ottica fissa; e inoltre l’autore fa parlare ai suoi personaggi un linguaggio mimico puro, che li restituisce a una corporalità totale e originaria, consentendogli in tal modo di spaziare in una gestualità equivoca, sospesa com’è tra gioia e dolore, riso e pianto, sorriso e ghigno, crudeltà e pietismo26.
Anche lo scrittore/cardiologo Giuseppe Bonaviri, catanese di nascita ma frusinate d’adozione, fu autore, tra le altre opere, di lavori drammaturgici: Follia (1976), Il giovin medico e don Chisciotte (2000), Giufà e Gesù. Fiaba teatrale in due parti e un epilogo (2001), L’oro in bocca (2007), connotati, come i racconti e i romanzi, di elementi surreali che rendono le scene allo stesso tempo solidamente lucide e lievemente fiabesche, espressione di un quotidiano che si protende verso il cosmico.
Il 21 dicembre del 1949, presso l’Aula Magna del Convitto Comunale verolano si tenne un saggio musicale degli alunni dell’Istituto Magistrale di Stato durante la consueta premiazione prenatalizia. In quella stessa occasione Alessandro Ermini tenne un discorso sul tema L’arte educatrice di Alessandro Manzoni, che venne poi stampato presso la Tipografia Reali, operante nella medesima cittadina ernica27. Di poco precedente è un Inno di popoli (1942), composto da Francesco De Filippis, all’epoca vescovo di Veroli.
Risale agli anni Quaranta del Novecento, un’incisione sonora, nella quale sono registrati Carmine Visocchi e Giovanni Grassi, due zampognari di Atina, che eseguono un Salterello e un brano intitolato La notte di Natale.
In un altro disco (in realtà il terzo volume, interamente dedicato al Lazio, di un’operazione discografica più ampia), pubblicato nel 1978, documentando i canti della tradizione popolare, e in particolare quelli suonati dagli zampognari, Ettore De Carolis incideva anche una Ninna o’ ninna o’ cepranese. Nel disco in questione si segnalano anche: A mmonte a Civita (alatrese), un’altra ninna nanna (stavolta di Trevi nel Lazio), un Salterello zampognaro (di Atina), e un altro canto popolare intitolato La ciociara. Un’analoga operazione di registrazione di canti popolari è quella tentata da Liliana Bucciarelli, che in un altro trittico di dischi (intitolati), registra canti popolari dagli inequivocabili titoli ciociari: Stornelli di Collepardo, Stornelli collepardesi, La capodannata castrese, Capodannata d’Arnara, Saltarello di Tecchiena, Stornelli alla cepranese, Stornelli alatresi, Stornelli alla verolana, Aria a campagna verolana, Stornelli torriciani, Ballarella di Pofi, Saltarello alla triviglianese, Alla pigliese, Le ragazze della Val Comino, Stornelli all’alvitana, Gallinarese, Canto della Madonna del Canneto, Ballarella di Settefrati28.
Anche per Villa Latina e Ripi (qui se ne fece un’altra il 15 agosto del 1970), esiste una registrazione sonora di canti e musiche a cura di Alessandro Portelli, risalente all’agosto del 1971. Il medesimo curatore effettuò delle registrazioni anche a Pontecorvo29 (nel novembre del 1972), a Patrica (nel dicembre del 1972), a Roccasecca e Frosinone (nel luglio del 1970), a Ferentino e Piglio (nell’aprile del 1970), a Pescosolido30 (nel novembre del 1973), a Settefrati (nell’agosto del 1976 in occasione di un pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Canneto).
Un’altra analoga iniziativa discografica è da segnalare per Vallecorsa. Qui infatti il Gruppo Corale e Folkloristico del paese, coordinato da Alfredo Antonetti, alla metà degli anni Settanta incide dei Canti ciociari. Per Ceprano, Roccasecca e Pontecorvo, esiste un’altra registrazione, effettuata tra il 1949 e il 1950 da Luigi Colacicchi e Giorgio Nataletti per il progetto di documentazione di canti ciociari dal titolo complessivo Rosa di maggio. Un Salterello di Santopadre appare invece nell’album Danza d’estate inciso da Benedetto Vecchio (con altri musicisti) nel 2004.
Infine, è del 1978 un ditirambo in dialetto ferentinate scritto da Fernando Bianchi e intitolato ‘Mbròsi figliétta: Bacco a Ferentino
Il 12 dicembre 1984, va in scena presso la Collegiata di Santa Maria Maggiore in Alatri, l’oratorio per soli, coro e orchestra San Sisto I, pontefice e martire, musicato da don Giuseppe Capone. La musica e l’interpretazione vennero affidati ai professori d’orchestra e agli artisti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia; direttore ne fu Norbert Balatsch e maestro del coro Giuseppe Marchetti.
Varie testimonianze sono relative allo spettacolo a Fiuggi. Per esempio il 13 agosto del 1917 ci fu una grande serata di gala a beneficio dei figli dei caduti in guerra presso il «Teatro del Casino», che fu animata dalla «Primaria compagnia veneziana “Carlo Goldoni” diretta dal comm. Emilio Zago». Particolarmente significative furono le edizioni settima (1970) e ottava (1971) del Premio Nazionale di poesia sponsorizzato dall’Ente Fiuggi, che si tennero in Roma: nella seconda occasione Eduardo De Filippo presentò al pubblico la sua più recente fatica teatrale Ogni anno punto e a capo (nella quale aveva ricostruito a memoria sketches e scene della sua produzione giovanile). E, in ogni caso, al «Teatro comunale» di Fiuggi nel corso degli anni Settanta ci furono diversi festival teatrali estivi.
Dal 6 al 12 settembre 1999 la Fondazione «Adkins Chiti» presentò a Fiuggi il festival Donne in musica: gli incontri al borgo, comprendente musica tradizionale, barocca, contemporanea, popolare, teatro, spettacoli, mostre, ed incontri di musicologia.
Alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, a Pontecorvo, il laboratorio teatrale «Arti Visive», promosse la quarta ricerca sul territorio che diede vita allo spettacolo La straordinaria storia di Camele31. Grosso modo coeva (1987), è la pubblicazione di una raccolta di canti per celebrazioni mariane dal titolo Magnificat.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta dobbiamo ricordare l’attività del Gruppo sperimentale di teatro ragazzi «Il Ponte» di Frosinone, del quale ci offre una testimonianza il volume C’era una volta un bambino (1980), che contiene proposte di intervento per una politica di sviluppo a favore dell’infanzia.
Per quel che concerne Veroli, ricordiamo: Dionysia: festival mondiale di drammaturgia contemporanea, tenutosi nella prima metà degli anni Novanta, e il Festival «Licinio Refice», che si era tenuto presso l’Abbazia di Casamari nell’agosto del 1969.
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Il XXI secolo
Risale all’8 giugno 2000 un felice esperimento scenico. Ci riferiamo alla messa in scena de L’opera da tre soldi di Brecht (con le musiche di Kurt Weil) presso il «Teatro Nestor» di Frosinone, della quale gli allievi del Conservatorio di Musica «Licinio Refice» curarono la realizzazione musicale, mentre gli studenti dell’Accademia di Belle Arti idearono l’impianto scenico.
Nel 2011 i seminaristi del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni sceneggiano uno spettacolo teatrale sulla figura del Santo Curato di Ars, tratto da alcuni testi (Il curato d’Ars di F. Trochu, Il curato d’Ars, un prete amico di M. Joulin e Primavera nell’anima di B. Pierfederici), e al quale danno il titolo La stola e la croce: uniti a Dio c’è sempre primavera.
[fine]
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NOTE
* La prima parte de il Profilo storico dello spettacolo e del teatro nel Lazio Meridionale. Seconda addenda è stata pubblicata in «Studi Cassinati», a. XXII, n. 3, luglio-settembre 2022, alle pp. 189-201.
1 Cfr. S. Franchi, Drammaturgia romana, vol. I, Roma 1988, p. 848.
2 Cfr. V. Ruggiero Perrino, Opere teatrali per i marchesi di Gorga, in «Anagni-Alatri Uno», febbraio 2021, pp. 20-21.
3 Il cardinale, peraltro, era stato il dedicatario de Il Costantino, la tragedia di Filippo Ghirardelli di cui abbiamo riferito nella prima parte di questa seconda addenda.
4 Cfr. C. Annibaldi, L’archivio musicale Doria Pamphilj. Saggio sulla cultura aristocratica a Roma fra 16° e 19° secolo, in «Studi musicali», XI (1982), p. 106, che riferisce anche i nomi del librettista (Domenico Benigni) e dell’autore della musica (Mario Savioni), che scrissero la Santa Agnese, in soli quindici giorni.
5 Esiste anche un altro Benedetto Pamphili, Duca di Carpineto, vissuto dal 1675 al 1760, che nel 1727 sposò Eleonora Borghese figlia di Marcantonio II terzo principe di Sulmona. A questo meno noto duca di Carpineto vennero dedicati gli intermezzi per musica a cinque voci (andati in scena nel «Teatro alla Valle» nel 1746), intitolati La Lavandarina.
6 In ambito musicale da Arpino proviene una nutriva schiera di “evirati cantori” del XVIII sec.: Gioacchino Conti (detto Gizziello, in onore del grande Domenico Gizzi, antagonista dell’ineguagliato Farinelli), Filippo e Giuseppe Sedoti, Cossa, Quadrini nonché la cantante Angelina Sperduti, detta “La Celestina”.
7 Risale al 1737 un volumetto di liriche per la monacazione della nobil donna Maria Dorotea Soprani nel monastero delle Benedettine di Piacenza, nel quale compare un sonetto, del quale viene indicato come autore l’abate (sic) Gaetano Marsella, accademico infecondo e segreto. Tuttavia, pur nella verosimiglianza delle date, non è possibile stabilire se si tratti del medesimo Marsella, autore di analoghi sonetti e del Pausania. Di impostazione più retorica, ma non per questo non oggetto di recita in pubblico furono anche: Orazione funebre estemporaneamemte [!] recitata dal nobile giovanetto signor Tommaso Jacobini nella chiesa di S. Maria Salome nella morte dell’illustrissimo signor Saverio Bisleti dedicata all’illustrissimo, e reverendissimo signore monsignor Gio. Battista Jacobini vescovo di Veroli (1776); e un’Orazione panegirica di s. Luigi Gonzaga che all’illmo e r.mo monsignor Francesco Maria de’ marchesi Cipriani vigilantissimo vescovo della città di Veroli d.d.d. il sacerdote Giuseppe Maria Colantonj (1825).
8 Cfr. G. Giammaria, Una “festa litigata” tra Patrica e Supino, in «Lazio Ieri e Oggi», p. 287-289.
9 Analogamente avvenne, in anni molto più recenti, con il dramma Cassino 1849 di Alberto Cafari Panico, stampato a Salerno nel 1964. Risale invece al novembre del 1885 un manoscritto conservato alla sezione «Lucchesi Palli» della Biblioteca Nazionale di Napoli, contenente la commedia Cocò di Nicola Raimo. Si tratta di una riduzione in tre atti di un’opera (in quattro atti) di Eduardo Scarpetta, nella quale «a scena è in Cola S. Magno presso Roccasecca».
10 Un catalogo di questi libretti si legge in V. Ruggiero Perrino, I libretti delle vestizioni monacali, in «Potenza e carità di Dio», 4 (2019), pp. 43-44.
11 In una di esse, peraltro, si allude ad altre tre sorelle di Luisa, che avevano fatto scelta di vita religiosa presso il medesimo monastero, e al fratello che era entrato nella Compagnia di Gesù.
12 Alcuni anni prima, e precisamente l’11 ottobre 1846, presso la stessa Accademia Ernica in Alatri si svolse una lettura del canonico Vincenzo Martini, dal titolo Quale sia lo scopo che Dante mostra essersi proposto nello scrivere la Commedia.
13 Cfr. D. Eramo, Alvito: il rito collettivo del «portare la visita», in «Studi Cassinati», 1 (2015), pp. 29-32. Su particolari aspetti delle credenze alvitane legate alla religiosità: F. Ciccodicola, Rivalutazione di un culto: Santa Mesia patrona del Castello di Alvito, in «Storia e medicina popolare», X (1992), n. 2-3, pp. 28-49; D. Cedrone, Il culto di Sant’Onofrio in Alvito, in G. Giammaria (a cura di), Il culto dei Santi nel Lazio meridionale fra storia e tradizioni popolari, Anagni 1996, pp. 49-58; L. Villa, Le edicole votive alvitane, in «L’Inchiesta» dell’11.01.1997, p. 13.
14 Cfr. A. De Magistris, Istoria della Città e S. Basilica Cattedrale d’Anagni, Roma 1749, p. 51.
15 Cfr. T. Cecilia, La giostra della bufala ad Anagni, in G. Giammaria (a cura di), Ricerche sulla cultura del Lazio Meridionale, vol. 3, Atti del convegno di Morolo del 23 gennaio 2011, Anagni 2011, p. 15.
16 Scrive il Cecilia nell’articolo sopra riferito che un’altra tradizione legata ai bufali era quella di farli correre in occasione delle festività patronali, così come avveniva per i cavalli. Nel 1568 l’ebreo anagnino Vitale aveva speso per conto del Comune la somma di scudi uno «palia recepta et empta a beo per bufalo set asellos». L’usanza, secondo il racconto del de Magistris, persisteva ancora a metà del Settecento; cfr. A. De Magistris, Istoria della Città … cit., p. 22.
17 Cfr. A. Mangiante, Wanda Miller a Cassino, in «Studi Cassinati», 3 (2019), pp. 179-183.
18 Cfr. A. Carlino, Castelnuovo Parano: le Confraternite del SS. Corpo di Cristo e del Ss. Rosario della Chiesa di Santa Maria della Minerva, in «Studi Cassinati», 2 (2011), pp. 124-125.
19 Cfr. C. Jadecola, Filippo Cirelli da Campoli Appennino. Uno dei nostri grandi, in «Quaderni Coldragonesi», 10 (2020), pp. 93-104 e Id., Filippo Cirelli, in «Studi Cassinati», 3 (2018), pp. 195-196.
20 Cfr. F. Arcese, Dal Teatro dei Condomini alla sala del Consiglio, in AA. VV., Storie di Ceprano. Archeologia, Ferrovia e Memorie Urbane, «Quaderni Fregellani», Ceprano 2020, pp. 172-190.
21 Cfr. C. Jadecola, Faccetta nera, bella ciociara…, in «Studi Cassinati», 4 (2010), pp. 252-256.
22 Come si apprende dal Registro delle Deliberazioni comunali dell’Archivio storico comunale di Atina, relativo agli anni 1893-1908.
23 Sostenne negli studi musicali il fratello Beniamino (1894-1989), il quale nel 1923 fu nominato maestro direttore della Banda «Gioacchino Rossini» di Parigi e, in seguito, fu chiamato a dirigere anche la Banda della «Lira italiana» di Parigi. Pianista solista, concertista e violinista, le sue composizioni sono state incise da varie case discografiche.
24 Saggio che peraltro evidenzia numerose affinità tra quest’opera del Franco e il Libro de natura de amore (1525) di Mario Equicola, l’umanista di Alvito vissuto tra la seconda metà del Quattrocento e il primo Cinquecento, autore, tra l’altro, anche di un manuale di poetica Istituzioni al comporre in ogni sorta di rima della lingua volgare (pubblicato postumo nel 1541), nel quale riserva alcuni accenni anche ai generi teatrali.
25 Come molto opportunamente mette in evidenza R. Savo, Il teatrino del mondo in un racconto. Regia imprevista di Tommaso Landolfi. Ipotesi di analisi di Le due zitelle, liberamente consultabile su www.academia.edu.
26 Cfr. S. Cirillo, Nei dintorni del surrealismo, da Alvaro a Zavattini umoristi balordi e sognatori nella letteratura italiana del Novecento, Roma 2006, p. 92.
27 Un’analoga manifestazione paraspettacolare è testimoniata dall’opuscolo Proposizioni di geografia pratica da svilupparsi in pubblica accademia dai nobili convittori del Collegio di Veroli intitolate all’illustrissimo magistrato e nobiltà tutta di detta città (1764).
28 Sull’argomento è di utile consultazione C. Paris, Folklore musicale: viaggio nel mondo musical-popolare della Ciociaria, e A. Paluzzi, Folklore musicale ferentinate. Testo musicale e verbale degli stornelli e degli strambotti, entrambi in B. Valeri (a cura di), Tradizioni popolari e folklore a Ferentino, atti del convegno di Ferentino, 11 dicembre 1994, Casamari 1996, pp. 115-118. In generale gli atti di questo convegno si segnalano per approfondire i temi del folklore che tanta parte ebbero sulla spettacolarità e sul teatro specie ottocenteschi. In particolare citiamo: G. Sperduti, Il folklore ciociaro, specialmente a Giuliano di Roma e N. Tomei, Il folklore a Vico nel Lazio.
29 Un’inchiesta, corredata da registrazioni sonore, fu condotta da Adamo Massimo Lancia nel 2005, intitolata Musica e canto popolare nella città di Pontecorvo.
30 Un’analoga iniziativa, per Pescosolido, fu condotta dall’Associazione Folkstudio 88, coordinata da Giancarlo Cesaroni, che registrò canti popolare durante la manifestazione «Cantimpiazza / La Lallera» il 24 maggio 1974.
31 Cfr. [s.n.], La straordinaria storia di Camele: a Pontecorvo la 4° ricerca sul territorio del laboratorio teatrale “Arti visive”, in «La provincia di Frosinone. Rivista bimestrale dell’Amministrazione provinciale di Frosinone», IV, n. 3-4 (ottobre-dicembre 1986), p. 53.
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