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«Studi Cassinati», anno 2023, n. 1
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di Silvano Tanzilli
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«Fede e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione serve agli esseri umani per interrogarsi anche su alcuni enigmi di fede. Lo scopo della fede e della ragione è lo stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa»1
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Dovranno ancora trascorrere un paio di secoli dal grande scisma del 1054 prima che San Tommaso D’Aquino formulasse le ben note teorie che avrebbero totalmente modificato il rapporto tra uomo e religione, introducendo il fattore ragione nella ricerca della fede e dando quindi inizio al lungo percorso di distacco dall’«età di mezzo», dove invece gli argomenti che qui trattiamo, riguardanti la chiesa di San Nicola, sono ancora totalmente immersi.
Il riferimento all’evento storico/religioso, provocato da Leone IX a danno del Patriarca Cerulaio, lo scisma appunto, non è casuale, se lo interpretiamo in una chiave di lettura di completo sconvolgimento e profonda divisione nella maniera di intendere i fondamenti della cristianità, tanto da protrarsi ancora oggi nella visione degli avvenimenti che ci riguardano2. Da questi tragici eventi dell’XI sec.3, infatti, ne scaturì un esodo verso occidente di milioni di persone che, abbracciando la fede cattolica, provocarono una vera e propria migrazione che coinvolse anche il nostro territorio, incluso San Vittore del Lazio. La conseguenza fu che iniziò a formarsi in direzione nord-est, al di fuori del primitivo borgo già «incastellato e turrito» dall’inizio del secolo, un insediamento di queste popolazioni orientali (definite «greci» per affinità geografica) che progressivamente si ingrandì fino ad assumere anch’esso una conformazione urbana autonoma. Non dobbiamo trascurare che a partire dal Mille, una volta superata la fine del mondo più volte «annunciata», iniziò un costante progresso economico e sociale che si estese ininterrottamente fino alla metà del ‘300, arrestandosi solo di fronte alla catastrofe della peste nera, che decimò la popolazione europea di almeno un quarto.
Tale percorso fu estremamente felice anche per il nostro territorio che vide la Scuola Cassinese guidata dall’abate Desiderio affermarsi in tutta Europa. Lo studio, ma soprattutto il «lavoro», già glorificato da San Benedetto, adesso ancora più arricchito dalla capacità dell’uomo di produrre qualsiasi oggetto con grande maestria e con progressiva crescita generazionale, fu la grande novità di questo periodo, definito «Romanico», che si concluse con la formazione di una nuova classe sociale totalmente inesistente in precedenza: la «borghesia»4. Non fece eccezione San Vittore del Lazio e il nuovo borgo dei «Greci» che, oramai accresciuto in maniera esponenziale (arriverà a contare circa 20 mila abitanti)5, dovette presto dotarsi di nuovi edifici religiosi.
Ne furono edificati due, infatti, uno dedicato a San Basilio l’altro a San Nicola, ambedue santi provenienti dalla Turchia a testimonianza della fedeltà alle origini, dei quali oggi si conserva miracolosamente solo il secondo, la chiesa di San Nicola oggetto appunto di questo studio, mentre dell’altro sono totalmente scomparse le tracce6.
Ed è proprio in questa logica di koinè storico-culturale «romanica» che affonda le radici il nucleo architettonico fondativo della chiesa di San Nicola, risalente ad un periodo che possiamo racchiudere nella seconda metà del XII sec. (foto 1), epoca contaminata dalla forte presenza spirituale, ma anche temporale, esercitata dall’attività abbaziale di quei secoli, visibile ad esempio nelle analogie costruttive presenti nel primo impianto planimetrico di Sant’Angelo in Formis7. Ma quali sono gli elementi architettonici romanici che possono apparire in un edificio di culto che non nasce con le caratteristiche della grande cattedrale, sede del potere ecclesiastico con tutti i suoi apparati, ma con quelle di una chiesa relativamente povera?
È appunto varcando la soglia dell’unico ingresso della chiesa che la «sintesi finale» del percorso architettonico – che ha visto gli edifici di culto paleocristiani evolversi con grande fatica per molti secoli per affrancarsi dalla filiazione romana classica – anche qui, come in tanti altri luoghi, sembra realizzarsi con alcune tipologie caratteristiche del «romanico»: il rapporto visivo diretto che, attraverso l’unica navata lunga mt 26,5, si stabilisce tra l’entrata e il «presbiterio/abside», luogo del «sacrificio» della santa messa; il perfetto equilibrio tra le dimensioni trasversali di larghezza e altezza (mt 5,80) in rapporto appunto alla maggiore profondità della navata stessa; la copertura con capriate lignee e «tegole dipinte» a vista dall’interno a favorire una ideale trascendenza; la luce estremamente rarefatta, penetrante da minuscole «monofore», necessaria ad alimentare la sofferente ricerca del sacro, propria dell’uomo medievale; i preziosi apparati iconografici del primo ciclo di affreschi, già presenti in origine, a sostenere visivamente e didatticamente le parole dell’officiante8 (foto 2).
In questi luoghi, inoltre, la magia dell’architettura romanica trova la sua massima espressione, mai più raggiunta a mio avviso in epoche successive e con stilemi differenti, proprio perché riesce a racchiudere uno spazio metafisico che, essendo quasi totalmente privo della visuale esterna, con una luce rarefatta, sottile, diradata, schermato dalle «immagini liturgiche» affrescate sulle pareti, è quanto di più idoneo si possa creare per elevarsi dall’immanente al trascendente, al «sacro»9. Nelle chiese romaniche poi questo binomio «pittura/architettura» è talmente perfetto che se ad esempio prendessimo gli affreschi di San Nicola e per un qualsiasi motivo li trasportassimo su una anonima parete interna di un edificio-museo (pratica molto diffusa nel dopoguerra, ma per fortuna oggi limitata solo a casi estremi di conservazione), essi perderebbero il loro valore «didascalico-contestuale», per indirizzarsi unicamente verso un piano inferiore di sola rappresentazione artistica, e l’architettura stessa della chiesa, a sua volta, resterebbe priva di quella componente iconografica che la rende testimonianza monumentale (foto 3).
Viceversa occorre conservare sempre il rapporto tra architettura e arti ad essa contemporanea, che sono testimonianza autentica del contesto vissuto dai nostri progenitori, quando il sacerdote diffondeva la parola di Dio con l’ausilio di apparati pittorici di carattere didascalico, che costituivano un limite invalicabile al pensiero del fedele e lo indirizzavano verso un contesto quanto più suggestivo possibile10.
In questa prima fase romanica dell’edificio si realizza anche il campanile a sezione quadrata, alto 26,30 metri, posto esternamente a 4/5 della parete destra della chiesa in direzione del presbiterio. Esso era formato da tre piani bucati da monofore arcuate a tutto sesto e accessibile unicamente da una porta collocata a circa 2 metri di altezza, raggiungibile da un terrapieno esterno.
A distanza di un secolo e mezzo, la crescita demografica del quartiere dei Greci, unita all’aumentata ricchezza e capacità operativa degli abitanti stessi, produce una trasformazione architettonica della chiesa di San Nicola che si compie attraverso la realizzazione di ulteriori «due nuove navate». La prima, comunemente chiamata «navatella», è incastrata tra la parete destra della navata esistente e quella nord del campanile, ed è collegata alla precedente mediante l’apertura di tre arconi a tutto sesto, la seconda invece, completamente nascosta alla vista, è addossata alla parete sinistra della navata esistente, sempre della lunghezza di mt 26,50, e comunica con essa attraverso un’unica porta. Sempre in questo ampliamento si realizza un vano posteriore all’abside, adibito a «sagrestia», accessibile da due porte ad arco ogivale poste ai lati dell’altare. Non sappiamo invece con certezza l’epoca di apertura della porta sulla parete destra, in corrispondenza dell’altare, che conduce attualmente ad un vano voltato adibito a sagrestia, ma che in precedenza, almeno fino al ‘700 era un cortile scoperto confinante con la strada pubblica, attraverso il quale si poteva accedere direttamente al campanile.
Contestualmente (o al massimo nel decennio successivo) all’ampliamento architettonico della chiesa che ci riconduce ad una data, quella del 1309, incisa sulla campana distrutta dagli ultimi bombardamenti e successivamente fusa – come ci riferisce don P. Pizzoli con una sua felice locuzione: «suonava ai tempi di Dante» – si realizza un secondo ciclo di affreschi, definiti di stile «giottesco»11. Bisogna subito dire che questo primo accrescimento della chiesa, pur essendo notevole nelle dimensioni volumetriche, non snatura affatto tutto quanto rappresentato nei paragrafi precedenti, anzi la presenza della navatella, così come concepita e realizzata, rafforza ancora di più gli elementi distintivi dell’architettura romanica che si colgono, ancora oggi, all’interno della chiesa12 (foto 4).
Un successivo ingrandimento dell’edificio, realizzato nella prima metà del ‘700 (come lo conosciamo dalla descrizione dell’inventario abbaziale del 1757)13, ha interessato soprattutto la costruzione di un portico coperto a tegole, oggi scomparso, antistante l’ingresso principale della chiesa e prospiciente i vicoli del borgo Greci, la trasformazione del cortile scoperto esistente sul lato strada in un vano adibito a «sagrestia» coperto con volte a crociera e soprastante terrazzo piano, e infine, sul lato est, la costruzione di un piccolo cimitero coperto con varie tettoie (forse in laterizio) anch’esso oggi scomparso.
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RESTAURI
Con l’infaticabile opera dell’arciprete don F. Paolo Pizzoli inizia la storia dei restauri della chiesa di San Nicola e il primo atto consiste proprio nella «scoperta» degli affreschi medievali nascosti, a partire dalla metà del ‘600, da un intonachino di calce bianca steso, secondo le intenzioni dell’epoca, per un «malinteso criterio di pulizia»14. Da questa operazione eseguita dall’arciprete a sue spese nel 1876, e dalla conseguente scoperta delle pregevoli pitture, l’attenzione del clero e del mondo dell’arte15 si concentra su questo importante organismo «architettonico/pittorico» romanico.
Soggetta a ripetuti abbandoni, vandalismi, profanazioni e devastazioni nel corso dei secoli, la chiesa di San Nicola è comunque riuscita a sopravvivere a tutto e a tutti e, nel 1932, quando il fotografo Mario Sansoni esegue per conto della Frick Art Gallery di New York16 un servizio sulle maggiori chiese affrescate medievali d’Italia (tra cui è individuata appunto San Nicola), l’interno si presenta agibile e ben conservato, se si eccettuano le pessime condizioni in cui appaiono, visibili sugli scatti eseguiti, gli apparati iconografici. Oggi grazie alle foto di Sansoni17 possiamo ammirare anche i pregevoli «stalli lignei»18 di noce intagliata (foto 5) posizionati, all’epoca, nel coro retrostante l’abside. In precedenza, come riportato nell’inventario del ‘700, gli stalli erano invece collocati nel presbiterio, 11 a destra e 11 a sinistra dell’altare della navata maggiore.
Quando negli anni post bellici il Genio Civile sarà chiamato a riparare i danni inflitti alla chiesa dalle devastazioni belliche, subite da San Vittore del Lazio tra il dicembre del ‘43 e il gennaio del ‘44, troverà un edificio mancante totalmente della copertura, di una buona metà della parete sinistra della navata principale (foto 6) , di tutta la navata sinistra esterna ad essa adiacente (quella chiusa già precedentemente descritta) e dell’ultimo piano del campanile con le preziose monofore romaniche e la copertura. Da citare anche la grave perdita delle «tegole viste» della copertura, che lo stesso Pantoni descrive dipinte con motivi «schiettamente medievali»19.
La ricomposizione dell’unità fisica del manufatto attraverso la ricostruzione delle parti mancanti – ad eccezione della trecentesca lunga navata chiusa che si scelse di non riedificare – e il consolidamento degli elementi murari sopravvissuti con cordoli in calcestruzzo armato, fu il principio ispiratore del restauro, che mirò soprattutto alla rifunzionalizzazione della chiesa. Lo stesso campanile fu interamente ricostruito nell’ultimo piano mancante, seguendo il criterio del restauro in totale contrasto materico e cromatico rispetto alle parti originarie superstiti20.
Da aggiungere che in una epoca imprecisata, precedente comunque al periodo bellico, il pavimento originario delle navate e degli altri ambienti era stato innalzato di circa 90 cm, a causa soprattutto di cedimenti delle volte sottostanti, di deformazioni statiche e avvallamenti, dovuti a sepolture varie e risalite di umidità. Pur sollecitati da numerose disposizioni della Soprintendenza che invitava gli Enti preposti ad abbassare il livello pavimentale per riportarlo alla quota originaria, così da ripristinare le corrette proporzioni geometriche degli ambienti interni, in questo primo intervento di restauro ad opera del Genio Civile si decise di soprassedere e di mantenere tale livello rialzato (foto 7).
Si dovette aspettare l’inizio degli anni ‘60 del secolo scorso, con l’intervento finanziato dalla Soprintendenza competente e diretto dall’arch. Perrotti, per dare inizio ad un restauro che riportasse il tutto alla quota pavimentale originaria e restituisse al Monumento le proporzioni necessarie al rispetto delle istanze proprie del restauro, «estetiche e storiche». Tutta la superficie interna quindi fu ripavimentata in «laterizio forte» (come indicato in relazione), fu smontata e ricomposta la copertura lignea con soprastanti tegole piane e coppi in laterizio, oltre ad un rinforzo della parete muraria della navatella, realizzato con un ulteriore muro necessario per contrastare la spinta e le infiltrazioni di acqua piovana provocate dal terrapieno stradale.
Alla fine degli anni ‘60 e per tutto il decennio successivo la chiesa di San Nicola subì l’ennesimo abbandono e la successiva immancabile devastazione degli interni e degli apparati iconografici, con il crollo di parte della copertura lignea e con infiltrazioni di acqua piovana sulle pavimentazioni in laterizio e sulle strutture in genere. Fu ancora una volta la Soprintendenza ad intervenire per la salvaguardia del monumento con un radicale intervento di restauro che ha permesso alla chiesa di sopravvivere fino alle odierne vicende che ci riguardano direttamente. I lavori furono progettati e diretti dall’arch. G. Seno, tra il 1980 e il 1983, ed eseguiti dall’impresa U. Rocchi, ed interessarono sostanzialmente il ripristino della copertura esistente, il consolidamento delle sommità dei muri portanti della navatella e soprattutto l’intervento sulle pavimentazioni. Furono proprio queste ultime infatti ad essere coinvolte in un percorso decisionale piuttosto tortuoso, che portò a mutare in corso d’opera la natura stessa del materiale scelto che, previsto inizialmente in «cotto toscano di tipo Impruneta», fu poi realizzato in lastre di «pietra di Coreno». Non sappiamo quali furono le cause che portarono a modificare le scelte fatte nei precedenti restauri (definite obbedendo a evidenti istanze filologiche), possiamo solo immaginare che la ragione della variazione derivò da bisogni connessi ad una maggiore durabilità nel tempo del materiale lapideo rispetto al fittile.
Purtroppo le previsioni di durata del restauro sono state ancora disattese durante il primo decennio del nuovo secolo, quando un improvviso «cedimento» della pavimentazione (foto 8) della navata principale rese di nuovo inagibile la chiesa per un lungo periodo nel quale, causa anche la scarsa attenzione e cura, il monumento fu invaso da migliaia di volatili, con conseguenze che possiamo immaginare.
Nel 2020 l’Amministrazione comunale di San Vittore del Lazio, proprietaria della chiesa dal 1861 per gli effetti dell’eversione dell’asse ecclesiastico, decide di intervenire con fondi propri per il restauro architettonico del monumento21. I lavori che sono stato chiamato a progettare e dirigere per rendere agibile l’edificio22 sono stati necessari non solo per restituire al monumento le sue funzioni religiose e culturali, ma anche per la fondamentale opera del restauro pittorico degli affreschi parietali, che la Soprintendenza aveva già finanziato e che erano in attesa di esecuzione23.
Lo svuotamento dei due distinti crateri formati a seguito del cedimento della pavimentazione e la successiva indagine in profondità con uno scavo spinto fino alla quota fondale dell’edifico, hanno purtroppo evidenziato le lacune dell’ultimo intervento eseguito nel 1980 con la posa del pavimento in pietra di Coreno che, oltre ad essere stato appoggiato sul preesistente sottofondo, incoerente e non compattato, mancava totalmente di un idoneo massetto in calcestruzzo rinforzato (foto 9) che avrebbe meglio sostenuto la pavimentazione stessa24.
Pertanto, l’intervento di restauro eseguito25 ha interessato in primo luogo la posa in opera della nuova pavimentazione, realizzata con mattonelle in «pietra di Coreno» – in tutto simile a quella già esistente anche per gradazione della bocciardatura – mescolate con parte di quelle di recupero precedentemente asportate dal pavimento deformato. Il nuovo pavimento poggia a sua volta su un massetto di calcestruzzo armato con rete metallica in «acciaio inox», a formare una piastra rigida idonea ad assorbire eventuali cedimenti differenziati (tipici di questa struttura) e ad evitare la corrosione interna degli elementi statici26 (foto 10).
È stato inoltre necessario eseguire la pulitura superficiale della restante pavimentazione delle navate, del coro e della sagrestia, per eliminare le profonde macchie causate dal guano dei volatili27 e la pulitura delle strutture lignee dell’intradosso della copertura della chiesa, anch’esse interessate da analogo problema28. I restanti interventi hanno riguardato il restauro dei tondini in acciaio dei vecchi cordoli in c.a. della navatella completamente ossidati per le infiltrazioni di acqua piovana29, le stesse che hanno devastato anche le pareti della sagrestia, ora totalmente ripristinate con un nuovo intonaco a regolazione igrometrica e messe in sicurezza da eventuali infiltrazioni grazie alla nuova guaina sovrapposta alla copertura piana soprastante.
Una scala interna posta a ridosso della soglia di ingresso della chiesa, con annesso scivolo per disabili, realizzata in acciaio e listellini di legno, ha completato l’intervento (foto 11).
Il 3 dicembre 2022, dopo un successivo e prezioso intervento di restauro di buona parte del «duplice ciclo di affreschi medievali», eseguito dalla Soprintendenza30 e diretto dal dott. Lorenzo Riccardi e dalla dott.ssa Chiara Arrighi, la chiesa è stata di nuovo inaugurata e resa disponibile per le funzioni religiose e per le visite culturali (foto 12). L’auspicio è che si completi il restauro degli affreschi (foto 13), con gli interventi da attuare anche sulla parete sinistra della navata principale – quella cioè dei quadri raffiguranti, tra gli altri, gli Offerenti e i santi Cristoforo, Pietro e Nicola di Bari – e che si rientri presto in possesso della preziosa «trecentesca statua lignea» di San Nicola (foto 14), oggi esposta nel museo diocesano di Montecassino, ma un giorno ci si augura in una teca collocata nella navata di questa incomparabile chiesa romanica di San Nicola che, a mio avviso, non rappresenta solo un «Monumento Nazionale», quale è già ufficialmente classificato, ma un vero e proprio «Patrimonio dell’Umanità».
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NOTE
1 Tommaso d’Aquino (Roccasecca, 1225 – Abbazia di Fossanova, 7 marzo 1274).
2 È sufficiente infatti verificare le posizioni discordanti tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill sulla guerra russo-ucraina tutt’ora in corso.
3 Il c.d. Grande Scisma ruppe l’unità della chiesa esistente dai tempi dell’Impero romano, basata sulla Pentarchia, che si divise in chiesa Cattolica occidentale e chiesa Ortodossa orientale.
4 Il nuovo ceto indicava appunto il cittadino abitante del «borgo», ed era formato soprattutto da artigiani e mercanti che incoraggiavano la produzione e l’affermazione del binomio «lavoro/ricchezza».
5 E. Pistilli, Aquilonia in San Vittore del Lazio, Cassino 2003, p. 11.
6 A Pantoni, San Vittore del Lazio – Ricerche storiche e artistiche, a cura di F. Avagliano, Montecassino 2002, pp. 15.
7 In una miniatura raffigurante i possedimenti di Montecassino la chiesa figura anch’essa ad una sola navata, con tre portici antistanti la facciata e il campanile separato.
8 Frammenti del primo ciclo di affreschi definiti di «epoca romanica» sono visibili unicamente nel catino dell’abside, più volte demolito e ricostruito nei secoli, e in un lacerto posto al di sopra dell’arcone sinistro raffigurante il Martirio di San Lorenzo. Il catino nella parte inferiore si conclude con un «velario animato» che conserva due medaglioni raffiguranti creature mitiche. Per approfondire su ambedue i cicli degli affreschi – XII e XIV sec. – si rimanda a M. Gargiuli, Chiesa di San Nicola, pp. 191-198, in Affreschi in Valcomino e nel Cassinate, a cura di G. Orofino, Cassino 2000.
9 Al contrario purtroppo di quanto avviene nelle chiese moderne e contemporanee (salvo poche eccezioni), dove i principi ispiratori sono la dilatazione dello spazio e la penetrazione massima della luce, e dove appunto l’architettura sembra allontanarsi dai canoni propri della ricerca del sacro, per approdare a luoghi di comunanza e dialogo.
10 Lo stesso Giovanni Carbonara in un memorabile intervento a Montecassino, dove definì i contorni del restauro «critico/conservativo» oramai affermatosi negli ultimi decenni in Italia, modificando, correttamente, per la ricostruzione dell’abbazia, anche il famoso assioma «com’era dov’era» in «dov’era ma non precisamente com’era», consigliò per i luoghi di culto «… di mantenere all’edificio e alle sue parti un’aura di sacralità e una pregnanza di significati spirituali e simbolici». Si veda a tale proposito G. Carbonara, Questioni di restauro dell’architettura sacra, in Sodalitas studi in memoria di don Faustino Avagliano, a cura di M. Dell’Omo, F. Marazzi, F. Simonelli, C. Crova, Montecassino 2016.
11 Per il secondo ciclo di affreschi (riferibili anche alla scuola del Cavallini a Napoli) oltre alle mirabili immagini dei Santi ritratti sulle pareti e al dipinto dell’Annunciazione, mi piace citare le Opere di Misericordia e le Storie di Santa Margherita d’Antiochia, dove la geometria prospettica degli elementi architettonici presenti nei vari quadri, unita alla raffigurazione di personaggi sacri fatta con volti di gente del popolo, danno vita anche qui ai caratteri distintivi che hanno reso universale la pittura giottesca, celebrata dallo stesso Dante con il famoso passo del purgatorio: «Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura».
12 A tale proposito vi invito a rintracciare alcuni piccoli insediamenti ecclesiastici sparsi nella nostra provincia di Frosinone che, al contrario di tante che hanno subito pessime trasformazioni barocche tra il ‘600 e il ‘700, sono ancora testimonianza di tale periodo altomedievale, dove il rapporto «architettura/iconografia» ci permette di rivivere questa particolare sensazione spirituale. Alcuni esempi: Chiesa di S. Maria Maggiore a Sant’Elia Fiumerapido, chiesa di San Giovanni ad Alvito, chiesa di S. Mara di Correano ad Ausonia, chiesa di S. Lucia a Veroli, ecc.
13 A. Pantoni, op. cit., pp. 132-134.
14 Ivi, pp. 163.
15 Per la bibliografia completa si rimanda a A. Pantoni, op. cit., pp.149 e M. Gargiuli, op. cit., pp. 198.
16 A questo proposito desidero ringraziare i responsabili della famosa Biblioteca Newyorkese e in particolare la Dott.ssa Kerri per aver tempestivamente accolto la mia richiesta di ricevere una copia del servizio fotografico.
17 G. Bencini e M. Sansoni avevano aperto a Firenze nel 1911 uno studio fotografico, dopo la formazione avvenuta nel laboratorio di V. Alinari. Il primo si occupava di riprese in studio, mentre il secondo (1882-1975) di campagne esterne. Una parte del Fondo, dopo l’alluvione di Firenze del 1966, fu acquisita dall’ICCD sotto la direzione di Carlo Bertelli.
18 Gli stalli furono distrutti nel bombardamento degli alleati, ma anche in seguito da atti di vandalismo. Lo stesso Pantoni si rammaricava profondamente per la grave perdita subita ed era altresì dispiaciuto che non vi fosse in Archivio alcuna immagine fotografica di questi pregevoli manufatti trecenteschi. Oggi questa lacuna è stata colmata.
19 A Pantoni, op. cit., pp. 150. Nel passo, l’infaticabile «monaco-ingegnere» della ricostruzione di Montecassino ci informa di aver salvato personalmente solo una delle preziose tegole e contestualmente deplora anche la scomparsa delle pregevoli incavallature lignee.
20 La pratica della differenziazione negli interventi di «restauro di completamento», teorizzata da Gustavo Giovannoni nella prima metà del ‘900, era stata già abbondantemente sperimentata su svariati monumenti italiani, utilizzando in ogni caso sempre materiali naturali, come avvenuto nel campanile di San Nicola. Negli ultimi decenni tuttavia questa teoria è stata abbandonata, soprattutto a causa degli interventi eseguiti negli anni ‘70 dove l’aggiunta di parti mancanti è stata realizzata con materiali ultramoderni (vedi F. Minissi, A. Bellini, M. D. Bardeschi, ecc.). Oggi infatti si preferisce un approccio più armonico definito di tipo «critico-conservativo» (si veda la nota n. 10).
21 A questo proposito desidero ringraziare tutta l’Amministrazione Comunale di san Vittore del Lazio per la fiducia che mi è stata concessa, ma anche per l’interesse e la passione con la quale sono state accompagnate tutte le fasi del restauro architettonico e pittorico della chiesa.
22 Le opere di restauro architettonico sono state eseguite dall’Impresa TRILITE s.r.l. Desidero ringraziare le maestranze e tutti i miei collaboratori.
23 Un ringraziamento particolare va al Dott. Lorenzo Riccardi per la ricerca della documentazione depositata negli archivi della Soprintendenza che ha permesso di ricostruire le complesse vicende dei restauri post bellici eseguiti sulla chiesa.
24 Il sottofondo, formato da scheggioni di pietrame misti a sabbione in forma incoerente per tutta la profondità indagata, è il risultato dell’accumulo della demolizione dei materiali utilizzati per il rialzo della pavimentazione di 90 cm già descritta, frammista al vespaio già esistente in origine. Inoltre non si sono rinvenute né strutture ancora in situ, né tantomeno loculi e sepolture sub pavimentali.
25 In accordo con la Soprintendenza, per il ripristino della lacuna formata dai due cedimenti si è preferito eseguire un restauro più conservativo che critico, trattandosi di un nuovo innesto su un pavimento relativamente recente.
26 L’impiego dell’acciaio inox, o del titanio in determinate circostanze, nel confezionamento del c.a. per il restauro, è diventata prassi comune, specie dopo i danni provocati – anche in questa struttura – dall’utilizzo indiscriminato del ferro e dell’acciaio nei consolidamenti del secolo scorso, i quali, in presenza di umidità tendono a ossidarsi e dilatarsi, con tutte le conseguenze negative ben note.
27 La pulitura del pavimento esistente in pietra di Coreno è avvenuta dapprima con la rimozione meccanica delle incrostazioni al fine di eliminare residui organici, calcite, residui di sali, e successivamente, per raggiungere una maggiore profondità, mediante applicazione di compresse di polpa di carta imbevute di soluzioni di sali inorganici (carbonato di ammonio).
28 Queste sono state dapprima completamente raschiate con idonei strumenti e successivamente carteggiate e ridipinte.
29 Trattandosi di un cordolo di sommità della muratura in pietra, si è proceduto alla demolizione, eseguita a mano, delle parti deteriorate del vecchio cemento per riportare a nudo l’armatura metallica. Sui tondini in ferro evidenziati è stata poi applicata la resina epossidica resistente alla corrosione, al fine di ripristinare l’alcalinità e proteggere i ferri contro l’azione corrosiva degli agenti atmosferici. Il reintegro della malta ammalorata del cordolo è avvenuto con un nuovo composto cementizio ad alta resistenza.
30 Il restauro degli affreschi è stato realizzato dalla società R.O.M.A.
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