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«Studi Cassinati», anno 2023, n. 1
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di Costantino Jadecola
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La sua conoscenza risaliva ai tardi anni Sessanta del secolo scorso quando, in una frequentazione più occasionale che assidua con Montecassino, ebbi il piacere, la fortuna ma soprattutto l’onore di avvicinare, grazie ad un giovanissimo don Faustino Avagliano, che compiva i primi passi di un importante e significativo percorso di studi, alcuni dei suoi monaci che, per motivi diversi, già avevano acquisito il diritto di poter beneficiare di una particolare visibilità nella ultrasecolare storia dell’Abbazia: don Agostino Saccomanno, don Ambrogio Mancone, bibliotecario, che proprio in quei tempi cedeva il prestigioso incarico al carissimo, compianto don Gregorio De Francesco, e, non ultimo, don Tommaso Leccisotti, il grande archivista.
E poi c’era lui, don Angelo Pantoni, il fiorentino, tornato alla casa del Padre il 4 maggio 1988, del quale mi è sembrato doveroso farne memoria non solo per il ruolo che egli ebbe nella ricostruzione dell’Abbazia dopo che le bombe della Seconda guerra mondiale avevano fatto scempio di essa.
All’indomani dell’ultima guerra, infatti, quando si decise che l’Abbazia di Montecassino sarebbe stata ricostruita «dove era e come era», secondo don Tommaso Leccisotti fu «di fondamentale aiuto il fatto che, qualche anno prima della distruzione, un ingegnere monaco, d. Angelo Pantoni, aveva dovuto eseguire un rilievo planimetrico ed altimetrico di tutto il complesso per incarico delle autorità statali».
Dopo la guerra, don Angelo fu tra i primi a far ritorno a Montecassino: fra le macerie recuperava tutto quanto aveva un senso recuperare, come quei frammenti di pietra o di marmo che in qualche modo tramandavano la storia del Monastero.
Eseguiva rilievi, prendeva appunti, elaborava disegni. Raccolse, insomma, «una gran quantità di dati archeologici e storici che altrimenti sarebbero andati perduti per sempre» ed alla fine fu lui a dirigere i lavori di ricostruzione dell’Abbazia, proprio secondo quei dati.
Se oggi, dunque, il Monastero continua ad essere «dove era e come era», il merito è anche, ma, forse, soprattutto, di don Angelo Pantoni.
Di questo «ingegnere monaco» capitato giovanissimo a Montecassino dalla natia Firenze (era nato il 5 giugno 1905) ma già in tasca una laurea in ingegneria brillantemente conseguita all’Università di Padova, allo stesso modo in cui aveva superato gli esami di abilitazione: era il 1929 ed a Montecassino si celebravano i 14 secoli della fondazione del Cenobio quando il ventiquattrenne Renato Pantoni decideva di diventare, come in effetti diventò, don Angelo.
Se il contributo dato alla ricostruzione dell’Abbazia è sicuramente il momento più importante dell’intensa attività culturale di don Angelo, il suo interesse spazia, al di là dell’arte e dell’archeologia, nell’indagine storico-archivistica sino ad un’intensa attività pubblicistica che don Faustino Avagliano ha quantificato, per il periodo 1936-1984, in 269 scritti vari ed in 484 recensioni, senza considerare che dal 1934 aggiornava puntualmente la «cronaca» del Monastero arricchendola di disegni, fotografie e documenti, alla stregua dei grandi archivisti cassinesi dei secoli passati, ed interessandosi anche, almeno fino all’autunno del 1943, anche dell’Osservatorio astronomico di Montecassino, di cui era responsabile.
Ma il suo scopo prioritario è quello di poter approdare alle radici di Montecassino, al sepolcro stesso di San Benedetto. Le ricerche hanno successo e vengono fuori le mura del primitivo oratorio di San Giovanni Battista, poi quelle della prima basilica a tre navate del nono secolo e quindi di quella più celebre, di Desiderio, posteriore di due secoli.
Ed emergono anche le tracce, visibili nel chiostro d’ingresso, della chiesa di San Martino che San Benedetto stabilì nel tempio pagano dell’acropoli.
Le indagini di don Angelo non si limitano al solo Monastero: rintraccia nei dintorni vestigia dell’età del ferro; individua nella chiesa detta del Colloquio, alla cui ricostruzione contribuisce, il luogo del convegno annuale tra San Benedetto e Santa Scolastica; riscopre in territorio aquinate un’antica dipendenza cassinese, Villa San Gregorio; si interessa alle pitture della chiesa di San Vincenzo al Volturno; rivaluta, ad Assisi, San Benedetto al Subasio; trae dall’oscurità nella sua terra d’origine, S. Maria di Rosano e la sua cripta.
Di ogni indagine, di ogni ricerca, riferisce puntualmente o con monografie o su rivista specializzate: «Benedectina» è «la palestra più ampia dei suoi scritti» ma anche sul «Bollettino Diocesano» è presente con assiduità specie per riferirvi la storia dei comuni della Diocesi cassinese, talvolta sulla scorta di documenti inediti conservati nell’archivio dell’Abbazia. Collaboratore dell’«Osservatore Romano», che ospitò sovente i suoi scritti, non disdegnò, tuttavia, onorare con la sua autorevole firma anche «Ciociariasettanta», il mensile fondato e diretto da chi redige queste note, che fu pubblicato tra il gennaio del 1970 ed il giugno dell’anno successivo. Una vita breve ma intensa al punto da annoverare tra le sue firme, sempre restando nell’ambito di Montecassino, oltre don Angelo Pantoni, quelle di mons. Ildefonso Rea, don Anselmo Lentini, don Tommaso Leccisotti e don Faustino Avagliano.
La collaborazione di don Angelo fu sicuramente la più assidua: ricordò i misfatti dell’ultima guerra, che, scrisse, si ripropongono «ogni anno a primavera»; celebrò il “glorioso abbaziato” di Ildefonso Rea, artefice della ricostruzione, in occasione delle sue dimissioni; recensì una pubblicazione di Torquato Vizzaccaro, Cassino, ed anche la Strenna Ciociara del 1970 nella quale, peraltro, chi scrive ‘rivisitava’ proprio un suo noto articolo sulla Torre (o Villa) di San Gregorio di Aquino, testimone unico e raro di questa struttura.
Poi, però, la proficua ed autorevole collaborazione s’interruppe, direi in maniera piuttosto traumatica.
Don Angelo aveva inviato al giornale un suo articolo su «I motivi artistici in Santa Maria de Piternis» in Cervaro e tre fotografie. Allora non era come oggi e la pubblicazione di una foto aveva un suo costo perché per la riproduzione a fini tipografici necessitava di un cliché ovvero di una lastra di zinco utilizzata come matrice. Cosicché, per forza di cose, si decise di pubblicarne soltanto due. Una decisione (sofferta) che ovviamente non trovò concorde don Angelo che se la prese, e non poco. Tant’è che ci vollero anni prima di ripristinare gli antichi rapporti che tornarono alla normalità quando, nel 1983, nel pubblicare un mio lavoro sul bombardamento dell’aeroporto di Aquino, chiesi a don Angelo, che morirà a Montecassino il 4 maggio 1988, se mi consentiva di pubblicare in appendice la parte del suo diario attinente l’evento cui mi interessavo. La risposta fu positiva e l’antica relazione riprese come se niente fosse accaduto.
Grazie, ancora, don Angelo.
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