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«Studi Cassinati», anno 2023, n. 1
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Il 15 febbraio 1944 l’abbazia di Montecassino, fondata da s. Benedetto nel 529, fu distrutta per la quarta volta. Nella millenaria storia del cenobio benedettino, dopo i Longobardi di Zotone nel 577, dopo i Saraceni nell’883, dopo il terremoto del 1349, i funesti eventi connessi al passaggio del fronte bellico della Seconda guerra mondiale nell’odierno Lazio meridionale con la scelta di fare di Cassino e del sovrastante monte il perno difensivo della Linea Gustav, la possente e munita linea difensiva costruita dai tedeschi tra il mar Tirreno e quello Adriatico, segnarono la sorte del monastero cassinese.
Prodromi
In un arco di tempo ristrettissimo, soli sei giorni tra il 9 e il 15 febbraio, fu concepita, progettata, organizzata e attuata l’operazione che portò alla distruzione di Montecassino, il primo caso di deliberato annientamento totale di un edificio religioso.
Tra il 12 gennaio e il 12 febbraio 1944 era stata combattuta la prima battaglia di Cassino, un attacco su tutto il settore occidentale della Linea Gustav, quello tirrenico compreso tra la foce del Garigliano e le montagne di Terelle, costellato di insuccessi e pesanti perdite per il poderoso esercito alleato. Proprio in quei frangenti cominciò a insinuarsi tra gli Alleati l’idea della distruzione di Montecassino che rispondeva a due differenti esigenze, una di carattere militare e l’altra di carattere psicologico.
In quel primo mese di battaglia i militari alleati avevano cominciato a soffrire sempre più l’«onnipresente mole di Montecassino». L’imponente struttura che incombeva su di loro era divenuta una «presenza maligna». I soldati si sentivano sotto osservazione dell’«occhio onniveggente», si sentivano spiati da quel «maledetto monastero [che li] fissava dall’alto». Man mano che passavano i giorni, aumentava tra i militari alleati il risentimento nei confronti del monastero (WN129). Un potente effetto psicologico si andò impadronendo dei combattenti alleati tanto che per lo stesso gen. Harold Alexander, comandante del XV gruppo d’armate in Italia, come scrisse poi nelle sue Memorie, la distruzione si andava a rendere necessaria non per ragioni puramente pratiche ma perché avrebbe avuto un effetto morale sugli attaccanti (MP198-199).
Accanto alle questioni psicologiche c’erano, ovviamente, anche le «esigenze militari» nella convinzione che il monastero fosse stato occupato dai tedeschi. Il suo utilizzo a scopi difensivi era certificato da «prove inconfutabili», che però non esistevano1. Osservatori avevano visto ‘telescopi’ tedeschi spuntare dalle finestre di Montecassino o bagliori e riflessi di binocoli (WN128). La prova decisiva fu quella fornita dal gen. Ira Eaker, comandante delle forze aeree alleate nel Mediterraneo, che effettuò un volo di ricognizione sul monastero, sorvolandolo a bassissima quota per dieci minuti. Al rientro asserì di «avere notato un’antenna radio all’interno del monastero» [confondendola probabilmente con quella della stazione meteorologica] nonché uomini in divisa entrare e uscire dall’edificio, una dichiarazione, tuttavia, non suffragata da alcuna fotografia aerea (LC120).
Genesi dell’operazione
Il 9 febbraio il gen. Francis Tuker, britannico comandante della 4a divisione indiana, inviò un ufficiale del Genio, il ten. Trayler, a Napoli allo scopo di reperire qualche pubblicazione sul monastero. Nella città partenopea l’ufficiale riuscì a rinvenire una copia della Descrizione storica del monastero di Monte Casino con una breve notizia sulla città di Cassino, un’opera del benedettino francese Paul Guillaume stampata dalla tipografia di Montecassino nel 1879, e quattro copie di una guida automobilistica del 1920 su Montecassino edita dalla Società Italiana di Belle Arti che riportava un ricco apparato fotografico degli interni nonché una planimetria dell’abbazia (TdP). Il monastero che si ergeva sul monte e dominava tutte le vie di acceso alla valle del Liri era per il gen. Tuker una fortezza che rappresentava una spina nel fianco degli Alleati e dunque era un ostacolo da eliminare. Inoltrò così la richiesta della sua distruzione al generale Bernard Fryberg, comandante del II Corpo d’armata neozelandese, di cui la divisione indiana faceva parte.
Il 12 febbraio alle ore 19 il gen. Freyberg girò la richiesta al gen. Mark Clark, comandante della V armata. In poco più di due ore si susseguirono dieci telefonate tra i più alti vertici militari nel corso dei quali Freyberg giunse anche a minacciare il ritiro del contingente neozelandese. Le opinioni contrarie al bombardamento (di Clark, dei comandanti americani e di altri generali come Alphonse Juin) furono superate perché Fryberg riteneva che la distruzione del monastero rappresentasse una «chiara esigenza militare», convinto che i tedeschi lo utilizzassero per scopi militari. Subito dopo fu emanato l’ordine alle forze alleate del Mediterraneo di disporre la missione. Il piano predisposto da Freyberg prevedeva il bombardamento del monastero cui doveva far seguito l’azione della fanteria indiana che doveva occupare le macerie dell’abbazia mentre la 2a divisione neozelandese doveva impadronirsi della stazione di Cassino e penetrare nella città. L’attacco aereo avrebbe dovuto essere attuato con «tre missioni, ognuna di 12 aerei … tipo Kittyhawk con mezza tonnellata di bombe ognuno» (MB). Tuttavia dall’iniziale previsione di utilizzo di 36 cacciabombardieri Kittyhawk si passò all’impiego di una forza mista nettamente aumentata, pari a circa 250 bombardieri fra medi e pesanti. Infatti la forza aerea che partecipò al bombardamento si componeva di 144 Fortezze volanti (secondo altre fonti si trattava di 135 oppure di 142) cioè bombardieri quadrimotori pesanti B17 ognuno dei quali trasportava un carico di «12 bombe da demolizione di 500 libbre [circa 250 kg] oltre a disporre di 11 cannoni di calibro 50. Ai bombardieri pesanti si aggiungevano quelli medi bimotori in numero di 87, o secondo altre stime in numero di 112 (HB150), di cui 40 tipo Mitchell B25 e 47 tipo Marauder B26 della Mediterranean Air Force che trasportavano quattro bombe da 1.000 libbre. Ogni bomba era dotata di una spoletta di coda «per una esplosione ritardata» in modo che le bombe potessero penetrare nel bersaglio «quanto più profondamente possibile, prima di esplodere e causare la massima distruzione». Inoltre un altro centinaio di velivoli fu utilizzato nei giorni successivi, si tratta di almeno 48 bombardieri d’attacco al suolo A-26 Invader, 12 aerei A-36 Apache e 20 cacciabombardieri di vario genere (TUJ). È rimasto un mistero di chi abbia voluto e autorizzato un così forte aumento di velivoli, nonché le motivazioni. Secondo alcuni storici sarebbe stato lo stesso gen. Clark, una volta rassegnatosi, a ordinare che se il bombardamento doveva essere fatto, bisognava «farlo bene». Nei suoi ricordi Clark scriveva: «se voi [Alexander] mi dite di bombardare, bombarderemo, ma non su scala ridotta. Impiegheremo tutti i mezzi aerei di cui disponiamo» (WN132, LC129).
Il 14 febbraio alle ore 13, una batteria di obici spara nel cielo di Montecassino 25 granate fumogene modificate contenenti 750 volantini firmati «La quinta Armata» e indirizzati agli «Amici italiani» che venivano invitati ad «abbandonare subito» il monastero.
La quarta distruzione
15 febbraio ore 6.45: Le Fortezze Volanti B17, divise in quattro formazioni (96° squadrone «Red Devils», 97°, 99° e 301° gruppo bombardieri), ognuna formata da 36 velivoli al comando del capo missione, il maggiore Bradford A. Evans che pilotava il primo bombardiere contrassegnato dal n. 666, si alzano in volo dall’aeroporto di Foggia. Fecero rotta per Napoli, Benevento, Capua e, dopo una virata i velivoli, si diressero verso Vairano, passarono sulla verticale di S. Pietro Infine e della «Million Dollar Hill», quindi seguirono il tracciato della strada statale n. 6 (Casilina) trovandosi di fronte monte Cairo con la cima innevata
15 febbraio ore 9.25: la prima formazione di bombardieri appare su Montecassino su cui si stagliava in vetta l’abbazia di colore bianco, nettamente visibile in una mattinata di cielo sereno e sole splendente
15 febbraio ore 9,28: inizia il bombardamento. L’aereo del capo missione Bradford A. Evans sganciò le prime dodici bombe. Il primo carico di 6.000 libbre (3.000 kg) raggiungeva l’abbazia, seguito, a distanza di pochi attimi, dal secondo bombardiere con altre dodici bombe, e quindi dagli altri velivoli della prima formazione
15 febbraio ore 9.40: la seconda formazione di bombardieri sgancia il suo carico di bombe
15 febbraio ore 10.10: la terza formazione di bombardieri sgancia il suo carico di bombe
15 febbraio ore 10.40: la quarta formazione di bombardieri sgancia il suo carico di bombe. Si trattava di bombe incendiarie che provocarono tanti piccoli incendi nell’abbazia e attorno a essa
Termina così la prima parte del bombardamento cui faceva seguito un «massiccio» cannoneggiamento con il II Corpo d’artiglieria americano che diresse sull’obiettivo 266 granate di obici (MB)
15 febbraio ore 10,57: decollano dalla base aerea di Decimomannu, sede del 319° Bomb Group, i primi 22 aerei Marauder B26
15 febbraio ore 13.26: inizia la seconda parte dell’attacco aereo di Montecassino compiuto da bimotori Marauder B26 e B25 Mitchell
15 febbraio ore 13.33: termina il bombardamento aereo di Montecassino
Si concludeva così «… un bombardamento che si rivelerà il più grande diretto ad un solo edificio nella II guerra mondiale» (BAE). Tra le 9,28 e le 13,33 del 15 febbraio circa 240 bombardieri avevano sganciato complessivamente 453 tonnellate e mezza di bombe, di cui 66,5 incendiarie (HR235, LC129), secondo altre fonti il quantitativo fu pari a 566 tonnellate (HB150), cui vanno aggiunte tutte le granate sparate dall’artiglieria.
Il bombardamento venne seguito dai più alti gradi militari alleati, per lo più da monte Trocchio con l’eccezione del gen. Clark che, per ribadire la sua contrarietà, rimase nel suo comando di Presenzano, a 27 km di distanza e su cui, per errore, caddero sedici bombe (HR210).
L’inizio del bombardamento fu accolto da una esaltante reazione da parte dei militari alleati appostati sulle colline e nella valle di fronte a Montecassino. Quando la prima bomba centrò il monastero ci furono scene di giubilo, applausi, «manifestazioni di entusiasmo», quasi un tifo da stadio. Ne fu contagiata anche Martha Gellorn (terza moglie dello scrittore statunitense Ernest Hemingway) veterana delle corrispondenze di guerra che assistette al bombardamento ma che trent’anni dopo ebbe a scrivere: «Ricordo il momento preciso del bombardamento di Montecassino. … ho visto gli aerei arrivare e sganciare [il loro carico e vidi] il monastero trasformarsi in una nuvola di polvere, ho sentito le grandi esplosioni e sono anch’io, come tutti gli altri sciocchi, rimasta entusiasta» (HR210, 221).
Molti cineoperatori e fotografi militari si erano appostati su monte Trocchio e nelle alture circostanti per documentare le fasi della distruzione. Pur se doveva rimanere segreto, si trattò, come scrisse il corrispondente di guerra del «Newsweek» il 28 febbraio successivo, del «bombardamento di un unico obiettivo più pubblicizzato della storia» (HR208). Medici e infermiere alleati, a esempio, giunsero in torpedone da Napoli per “assistere allo spettacolo” portandosi coperte e cibo come a un picnic. Tuttavia man mano che si susseguivano le ondate si cominciò a levare sempre più fumo, fumo nero delle esplosioni, fumo bianco di polvere e macerie. Alla fine di ogni ondata il monastero riemergeva dal fuoco e gli osservatori potevano constatare i danni inflitti dal lancio delle bombe precedenti. Poi con la nuova ondata l’abbazia riscompariva alla vista. Scrisse il corrispondente di guerra della BBC, Christofer Buckley che quando gli aerei «passavano sopra la cresta della Collina del Monastero, piccole fiammate e spruzzi di terra schizzavano in aria dalla vetta». Dopo che un Mitchell aveva sganciato il suo carico di bombe, una fiammata «vivida» era sprizzata verso l’alto, «per quasi cinque minuti [era] rimasta sospesa sull’edificio, assottigliandosi gradualmente verso l’alto in un arabesco strano, sinistro … poi la colonna [era] impallidita ed [era] svanita. Si [era] potuta vedere di nuovo l’abbazia. Il suo profilo era completamente cambiato» (MP206).
Nelle pause vari profughi avevano cercato di allontanarsi dal monastero e fuggire ma erano stati costretti a tornare indietro. Secondo i rapporti dell’Army Air Support Control appariva «difficile pensare che qualcuno degli occupanti della costruzione po[tesse] essere sopravvissuto». Tuttavia né la piccola comunità monastica né i tedeschi subirono alcuna perdita. Invece il numero dei civili morti è rimasto imprecisato, né fu mai possibile calcolarlo. Secondo l’arch. Giuseppe Poggi, che partecipò alle primissime fasi di rimozione delle macerie all’interno del monastero coordinando i lavori di un centinaio di prigionieri tedeschi inviati dagli Alleati per asportarle, si presumeva alla ricerca, risultata vana, di corpi di soldati tedeschi per dimostrare la loro presenza a Montecassino, sarebbero morti circa 170 civili di cui solo una cinquantina poterono essere identificati. Invece secondo altre fonti il numero delle vittime si attesterebbe tra le 300 e le 500 persone.
Già mentre gli aerei stavano bombardando cominciarono a pervenire al comando alleato rapporti che sembravano avvalorare la tesi della presenza tedesca all’interno dell’abbazia poiché erano stati visti soldati tedeschi fuggire dal monastero. C’era chi aveva avvistato una «settantina di tedeschi fuggire dall’ingresso dell’abbazia nel cortile», chi «circa 200 tedeschi in fuga lungo la strada del lato di sud ovest», oppure da Cervaro avevano visto «sullo sfondo del cielo molte truppe nemiche … scappare dall’abbazia» (TUJ).
15 febbraio ore 14.10: riprende il cannoneggiamento dell’artiglieria pesante del II corpo americano con obici da 240 e 203 mm. ma anche da navi nel golfo di Gaeta. La compagnia cannoni del 133° reggimento di fanteria americano (acquartierato a Cervaro), nella giornata del 15 febbraio sparò contro Montecassino un totale di 1.863 granate (TUJ). Invece il gen. Walker comandante della 36a divisione americana «Texas», che assistette al bombardamento da Cervaro, scrisse nel suo diario che aveva dato ordine alla sua artiglieria di non far fuoco contro il monastero come segno di contrarietà al bombardamento (LC129)
15 febbraio ore 22,06 italiane, ore 16,06 negli Stati Uniti: a dodici ore dalla caduta delle prime bombe il presidente americano Franklin Delano Roosevelt tiene un breve discorso alla radio in cui dichiarò che l’abbazia era stata attaccata poiché era un «caposaldo tedesco, con artiglieria e tutto il necessario» utilizzato dai tedeschi per bombardare le postazioni alleate (HR223). Il cinegiornale Pathé trasmesso negli Stati Uniti annunciò che la distruzione era stata necessaria perché i tedeschi avevano trasformato l’abbazia in una fortezza, dunque la colpa andava attribuita ai nazisti che avevano occupato il monastero (MP209). L’opinione pubblica mondiale era per la stragrande maggioranza favorevole al bombardamento. Perfino l’abate benedettino dell’abbazia di Buckfast (contea di Devon, Cornovaglia in Gran Bretagna) e l’arcivescovo di Baltimora e Washington giustificarono la distruzione da parte degli alleati. Le reazioni ufficiali del Vaticano furono di estrema cautela e tennero un atteggiamento «notevolmente blando» temendo per la sorte di Roma
16 febbraio ore 13.25: ulteriore attacco aereo con 48 bombardieri d’attacco al suolo tipo A-26 Invader, che sganciarono ventiquattro tonnellate di bombe (TUJ). Nel corso della giornata granate d’artiglieria avevano continuato a cadere sui resti del monastero
16 febbraio pomeriggio: altri otto aerei bombardano Montecassino. Il rombo delle esplosioni arrivava «chiarissimo» ai cannonieri americani a Cervaro (TUJ)
17 febbraio 1944, ore 14,50: ulteriore bombardamento delle macerie di Montecassino condotto da altri sei A-36 Apache preceduto da un altro un attacco aereo condotto anch’esso da sei A-36 Apache (TUJ)
17 febbraio 1944, ore 17,15: ancora bombardamenti su Montecassino ad opera di 12 aerei (TUJ) cui poté assistere anche don Martino mentre si trovava con l’abate Diamare nell’ambulanza diretta a Castelmassimo (GM). Secondo alcune fonti nel corso della giornata del 17 furono 59 i cacciabombardieri che attaccarono le macerie Montecassino scaricando complessivamente 23 tonnellate di bombe
18 febbraio: ulteriore bombardamento di Montecassino. Uno degli aviatori americani, comandante di una squadriglia di otto cacciabombardieri, ricorda di aver appreso, nel corso del rapporto pre-missioni assieme ai suoi piloti, che la presenza delle macerie era ingannevole perché i sottopassaggi segreti erano rimasti intatti e lì si nascondevano i tedeschi. Nella notte fallì il terzo attacco alleato a quota 593, come i due precedenti e pure l’attacco condotto dai neozelandesi con carri armati contro la stazione ferroviaria di Cassino fu respinto. Ha termine la seconda battaglia di Cassino. A partire dal quel 18 febbraio, nell’arco dei tre mesi successivi e cioè fino alla conquista/liberazione del 18 maggio, nessun bombardamento, attacco aereo o cannoneggiamento da terra, fu portato alle macerie dell’abbazia (gdac, a cura di).
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BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
HB= Harald Bond, Inferno a Cassino, Mursia ed., Milano 1965
MB= Martin Blumenson, Salerno to Cassino, Washington D.C., 1969 in ww.dalvolturnoacassino.it
LC= Livio Cavallaro, Cassino 1944, Mursia Ed., Milano 2004
GM= Eusebio Grossetti, Martino Matronola, Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra, Miscellanea Cassinese, Montecassino 1997
HR= David Hapgood, David Richardson, Monte Cassino, Rizzoli editore, Milano 1985
WN= Walter Nardini, Cassino, Mursia ed., 1975
MP= Matthew Parker, Montecassino, Il Saggiatore ed., Milano 2003
TdP= Alberto Turinetti di Prierio, in www.dalvolturnoacassino.it
TUJ= U.S. Army. «The Unit journal of Cannon Company, 133rd Infranty», diario dell’U.S. Cannon Company, 133rd Infranty Regiment, in www.dalvolturnoacassino.it
Sulle reazioni del mondo cattolico anglosassone cfr. Montecassino attentato alla civiltà, in «Studi Cassinati», a. XIV, n. 1, gennaio-marzo 2014, pp. 30-33
Sulle operazioni di recupero delle salme a Montecassino cfr. A. Poggi, F. Poggi, G. Petrucci. Gli anglo-americani speravano di trovare i corpi di militari germanici sotto le macerie dell’Abbazia, in «Studi Cassinati», a. XIV, n. 1, gennaio-marzo 2014, pp. 49-53
Sulla testimonianza di Bradford A. Evans cfr. Rileggiamo… Bradford A. Evans, Il bombardamento di Cassino, in «Studi Cassinati», a. XXII, n. 1, gennaio-marzo 2022, pp. 57-59
Sulle considerazioni del Vaticano cfr. G. de Angelis-Curtis, Dal sacrificio di Montecassino il salvataggio di città e beni storico-artistici_1: Tra Roma e Siena, in «Studi Cassinati», a. XXII, n. 4, ottobre-dicembre 2022, pp. 307-308
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