I DIRITTI DI MONTECASSINO PRESSO IL PORTO DI SCAURI IN UN DOCUMENTO INEDITO DEL XVIII SECOLO

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«Studi Cassinati», anno 2023, n. 4

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Salvatore Cardillo

Nell’edizione a stampa del Codex Diplomaticus Cajetanus si ha notizia di documenti riguardanti l’inventario che il monastero di Montecassino predispose per accertare i propri beni e diritti presenti presso il circondario di Traetto1. Incuriositi dalla notizia, con il compianto amico e studioso Giancarlo Belgrano, decidemmo di andare a visionare la fonte originale presso l’Archivio Storico dell’Abbazia di Montecassino2, con il proposito di realizzare un’edizione a stampa di questi documenti inediti riguardanti il territorio dell’attuale Comune di Minturno. La scomparsa improvvisa e troppo precoce di Giancarlo lasciò quel progetto irrealizzato3. Tuttavia, nelle due uniche mattinate passate presso l’Archivio di Montecassino, riuscimmo a consultare e trascrivere la parte iniziale del documento, riguardante il porto di Scauri. Ne diamo notizia in questo breve saggio, nella speranza che qualche altro studioso possa riprendere in mano il progetto e riportare in futuro l’intero documento.

La presenza benedettina a Scauri si dovrebbe, a quanto racconta l’abate Erasmo Gattola4, alla donazione del principe longobardo Grimoaldo, che nel 788/789 offrì a Montecassino il porto di Scauli dictum in territorio Traiectensi, concedendo ai monaci cassinesi anche la facoltà di esigere le gabelle di ancoraggio e falangaggio5. I diritti di Montecassino sul molo scaurese attraversano i secoli e se ne trovano traccia ancora nel XVII secolo, in documenti presenti presso l’Archivio di Stato di Napoli6. Su quel territorio concesso, si installò il priorato di San Pietro7, con annessa chiesa, che dipendeva dal monastero gaetano dei SS. Teodoro e Martino, che venne nel tempo a sua volta inglobato dal potente Sant’Angelo in Planciano8, cenobio insediato sul Monte Orlando a Gaeta.

Il documento presente presso l’Archivio Storico di Montecassino, Situazione de’ Beni che il sagro e regal Monastero di Montecasino possiede nelle pertinenze della città di Traetto, giusta le osservazioni fatte nell’Abbadia dal 1754, inizia proprio con il porto di Scauri9. Nel faldone è presente una doppia copia della relazione. Sembra di capire che una prima relazione, o parte di essa, venne già stilata intorno al 1736, per poi approntarne una successiva nel 1754, sulla falsariga della precedente.

Archivio Storico di Montecassino, Fol. 10.

Si testimonia di un «Giardino di quarti tre nella Marina di Scauoli, per uso di ortalizio con un piede di marangoli di capacità di quarti tre con muraglia antica». Si definiscono poi i confini del terreno: «Confini detta muraglia, la strada pubblica verso la Faenzera, dall’altra parte La Venerabile Congregazione di S. Stefano10, da mezzo giorno i beni del Regal Monasterio si tiene in affitto a tre anni da Tomasio Paccarone per carlini quindici annui». Non sorprende l’accenno ad antiche mura, visto che molto probabilmente il priorato benedettino di San Pietro, poggiava sulle rovine di un’antica villa sotto il Monte di Scauri, come farebbero pensare i ritrovamenti in loco di una piscina loculata, la presenza di un ninfeo e la notizia tramandata di un tempietto dedicato a Nettuno11.

Molto interessante la notizia che si ricava dal testo successivo: «Item detto Real Monasterio in detta Marina di Scauoli, adiacente all’accennato giardino, possiede un monte che principia dalla strada pubblica, giardino del duca di Traetto, e detto giardino per uso di ortalizio, e tira fino al ciglione del territorio posseduto dalla cappella del S.simo della città di Traetto e dal detto ciglione sino alla riva del mare, seu Porticello di Lapilla». Secondo la nostra interpretazione del testo, il Porticello di Lapilla dovrebbe essere verosimilmente l’attuale cosiddetta “spiaggia dei sassolini”. Se ne deduce, quindi, che le pertinenze cassinati si estendevano sin sopra il promontorio scaurese, comunemente detto Monte d’oro, ai limiti della piccola insenatura che dà verso il monte di Gianola.

Nel continuare l’analisi del documento, si legge: «Item in detta Marina di Scauoli possiede il Monasterio un casamento di otto stanze, quattro inferiori che erano per uso magazzini di lunghezza palmi cento di larghezza palmi trentasei, colle loro porte di castagno; sono lastricate e ciascheduna di esse ha il suo focolare. Nelle quattro stanze superiori seu lastricate e coperte a tetti, qui sono le loro finestre, porte e focolare a ogni stanza e corridore della stessa lunghezza e larghezza, sono di sopra, per ogni stanza, e gradinata mezza diruta e mezza fatta con gradini di pietra confinante il lido del mare nella parte di oriente, il monte accennato di sopra il mentionato giardino e questo casamento vi è adicente un muro antico, ruinoso e diruto, che dicesi esser portione di una chiesa antica». Si trattava, evidentemente, del vecchio priorato. La struttura, oltre ad ospitare i monaci, era probabilmente di sostegno al porto con magazzini e stanze, ben riscaldate da camini, che potevano accogliere marinai, viandanti, commercianti o mercanti che stazionavano nei pressi di esso. L’accenno alla chiesa antica, riguarda certamente la chiesa di San Pietro in porto scauritano, citata nel Codex Diplomaticus Cajetanus già nel 99312. Si ricava, quindi, la notizia certa che la chiesa nel XVIII secolo è oramai scomparsa, vittima di qualche infausto avvenimento a noi sconosciuto13. Sul «casamento di otto stanze» citato nel testo, dopo la cessione dei beni cassinesi, nacque Villa Riccardelli che, non a caso, veniva chiamata dai pescatori scauresi di fine Ottocento la «casa dei monaci». Villa Riccardelli (Fig. 1) venne minata dai tedeschi durante il secondo conflitto mondiale e attualmente sui luoghi vi sono vari immobili, comunemente chiamati «proprietà Stroffolino».

Marina di Scauri.

«Li Magazeni di Scavoli anno bisogno di molta spesa a accomodarsi. Dice l’affittatore della decima Camerota, che se il monastero volesse censuarli, troverebbe egli persona che li prenderebbe in enfiteusi, con quella corriposta annua che si stimarebbe da periti»14.

La difficolta di gestione del «casamento» e dei magazzini e la complessità di curare anche la manutenzione di essi, si evidenzia anche nelle linee successive. Si nota come il citato Camerota, che gestiva evidentemente il caseggiato per conto dell’Abbazia, si fosse impossessato di un tavolato o soffitto in legno installato in una «stanza grande superiore detti magazeni» la cui funzione consisteva nell’«evitare i rigori del caldo e del freddo». Il Camerota lamenta che il monastero, violando i patti, non gli avrebbe corrisposto la paga pattuita, per cui pretende di tenersi il manufatto. Chi redige l’inventario, avvisa che il valore del tavolato sarà dedotto dalla paga «secondo [quanto] sarà stimato dagli esperti», ma sottolinea il fatto che senza il soffitto la stanza diverrebbe pressoché inagibile. Si può comprendere come il monastero avesse deciso di cedere tali proprietà: costi di gestione e manutenzione alti e continui contrattempi con aiutanti e confinanti.

Le difficoltà sono ancora più evidenti nel passo successivo, dove si delinea il porto scaurese e il perimetro di pertinenza del convento cassinate.

Si legge, infatti, nel Fol. 10 A 8°, Porto di Scauoli: «Item in detta Marina di Scauoli, seu Lido del Mare, l’accennato Monasterio possiede un porto ove ormeggiano le barche che colà vengono e li barcaioli devono pagare il falangaggio di un carlino per barca, quale porto principia dalla torre di Scauoli sopra dal Monte, e sino allo spuntar della Città di Gaeta sino alla riva del Mare, approprio dirimpetto al Rado di Rosa, ove sono due pietre grigie per termini; e quegli si conoscono allorchè il mare toglie via l’arena, siccome il P. G. Alberto Berti ritrovandosi in la faccia del luogo nel 1736, asserì al notaro Tomaso Ruggieri di Traetto, ed alli testimoni, in occasione che si faceva l’inventario generali di questi beni, appariva da proprie scritture che si conservano nel nostro Archivio». Nel ribadire il diritto al falangaggio da corrispondere all’Abbazia, si traccia un perimetro interessante del porto e delle pertinenze di Montecassino. Le competenze vanno dal punto dove è presente la torre sul monte di Scauri sino a dove compare la città di Gaeta, sino alla costa dove è presente il cosiddetto Rado di Rosa. Difficile localizzare dove fosse questo «rado», probabilmente una rada, non sappiamo se naturale o artificiale, dove forse le barche erano tirate in secca o dove sostavano ancorate. Possiamo ipotizzare fosse subito dopo il canale Capodacqua o forse all’altezza dell’odierna via F. Merola, tra gli attuali Lido Tirreno e Lido del Pino, dove le voci “popolari” dei nostri avi sussurravano della presenza di antichi moli romani. Rimane il dubbio, in mancanza di fonti più precise. Da notare che si sente il bisogno nel 1736 di specificare e attestare davanti ad un notaio e davanti a testimoni, che il porto era di competenza del Monastero e che i documenti erano conservati nell’Archivio dell’Abbazia. Vi erano evidentemente mire esterne sul porto stesso. E questo si comprende meglio da una glossa presente nel manoscritto: «Il Porto si è occupato dal Sigr. Duca di Traetto: si spera però che dalla pietà e giustizia del p.te Duca sia restituito, o comprato». Siamo davanti ad un lampante abuso: i Carafa, sovrani di Minturno, confinanti con il Priorato di San Pietro, si erano impossessati del porto e non sapremo mai, probabilmente, se lo avessero poi acquistato o comunque mantenuto con il dolo. La famiglia Carafa, nel territorio di Scauri non sarà nuova a controversie con i confinanti: a Caserta, presso l’Archivio di Stato, sono presenti due interessanti perizie su controversie del 1839 con Domenico Rogondini15, e del 1855 con Vittore Improta16. Le due carte topografiche (Fig. 2 e 3), davvero belle, mostrano quale fosse la configurazione del nucleo storico di Scauri nel XIX secolo. Una realtà fatta di piccola industria manifatturiera, mulini, vasche di allevamento per i pesci e il canale Capodacqua, altra opera di origine romana, che dal corso principale si irradiava in vari condotti secondari per fornire acqua alle varie attività commerciali presenti. L’antropizzazione selvaggia della metà del XX secolo è ancora lontana da venire e i principi Carafa, proprietari allora del canale, ricavavano i dovuti tributi sul rifornimento idrico prestato a terzi.

Fig. 3
Fig. 2

Il perimetro del porto medievale, di pertinenza di Montecassino, seguiva presumibilmente quello dell’antico porto romano, dei cui resti si accenna nelle fonti17, un approdo forse riconvertito nell’alto medioevo dai Bizantini insediati a Gaeta.

Il molo di sottoflutto è ancora ben visibile nelle foto e cartoline degli anni ’20 e ’30, scattate sopra l’altura “scauritana”, prima dell’urbanizzazione selvaggia del dopoguerra che colpì anche la riedificazione della costa, con il brulicare di nuovi stabilimenti marini e approdi artificiali. Il molo di sopraflutto doveva forse seguire la linea dell’attuale scogliera sotto il promontorio scaurese. Il porto marittimo poteva essere di supporto a quello fluviale dell’antica Minturnae, una rada commerciale sul mar Tirreno, ma non si può escludere fosse anche un ancoraggio sicuro per le imbarcazioni che, nell’insenatura protetta dal Monte di Scauri, “svernavano” nei mesi in cui la navigazione si esauriva, in attesa della bella stagione. Presso l’Archivio di Stato di Latina è presente un documento di grande interesse: Relazione accompagnatoria al piano regolatore per il ripristino ed il miglioramento del porticciuolo di Scavori, stilata nel 1907 dall’Ing. Logatto. In essa si disserta anche dei resti romani ancora visibili: «Avanzi subacquei ed emergenti di antiche opere. Nelle acque di Scavori si rinvengono avanzi di opere appartenenti ad un antico porto che i nativi del luogo dicono essere stato il porto Romano di Pira […]. I detti avanzi sono di non trascurabile importanza, e consistono: I – In una scogliera (opera sopraflutto) che è quasi tutta subacquea ed affiora solo in qualche punto isolato; diretta pressoché da Ovest ad Est su una lunghezza di 190 metri, e ripiegata poi a martello per circa 60 metri. II – In una seconda scogliera (opera sottoflutto) che si stacca in curva dal lido, e si estende per circa 200 metri in direzione di Scirocco-Levante, emergendo per circa 80 metri ma con sezione depauperata e che lascia adito al mare e alle sabbie»18. La relazione disegna un quadro importante di quello che doveva essere il porto romano, che aveva una curvatura all’incirca di 200 metri sul golfo scaurese (non pochi per l’epoca), e sul quale probabilmente si insediò il porto medievale gestito dai monaci di Montecassino.

Fig. 5
Fig. 4

 Alla relazione erano allegate due piante (Fig. 4 e 5) che esaminano lo stato del porticciolo al 1907 e valutano il piano per l’ammodernamento di esso. L’ipotesi di modernizzazione non venne poi effettuata, ma si nota come essa si appoggiasse, per venire realizzata, proprio sui moli antichi di origine romana.

L’influenza del Monastero di Montecassino sulla baia scaurese durò un millennio: dal 788/789, anno della presunta donazione del principe Grimoaldo, al 1784, anno in cui i beni dell’Abbazia sul territorio minturnese vennero ceduti. Di questa presenza benedettina durata all’incirca dieci secoli sappiamo ancora poco. Probabilmente molto avrebbe potuto tramandarci il fondo archivistico del monastero di Sant’Angelo in Planciano, dipendendo il priorato scaurese di San Pietro da esso, ma purtroppo il prezioso archivio del cenobio gaetano andò distrutto, assieme ad altri innumerevoli documenti storici, nell’incendio dell’Archivio di Stato di Napoli, trasferito a Villa Montesano, appiccato dai tedeschi nel settembre del 1943.

1 Codex Diplomaticus Cajetanus. Pars Tertia, I, 1958. Alla nota 2 del documento DXXX, p. 231, si sottolinea che: «I possedimenti cassinesi di Minturno furono venduti per il prezzo di 4000 docati nell’anno 1784 e l’istromento fu mandato in Napoli. Ma restano ancora numerosi nell’archivio Cassinese (capss. XCIV, LXXVIII) i documenti riguardanti la loro amministrazione». Viene segnalato, poi, in particolare, un documento: «Situazione de beni che il sagro e regal monastero di Monte Casino possiede nelle pertinenze della città di Traetto, giusta le osservazioni fatte nell’ottobre del 1754 (caps. CXIII, fasc. VI)». Nella nota stessa si fa un elenco delle località di pertinenza cassinate nel minturnese: Corona, Faraone, Marina di Scavoli (Scauri), Pontone seu la pulviana, Bovari, Bovari seu Pulviana, monte Castellone, Pulviana seu Figura, Figura, Monte Castellone seu Ianritto, Pontone seu Cacascione, casa in Traetto, Caccabari seu la Nunciata, S. Martino, Figura, le località elencate nella pagina.

2 Cogliamo l’occasione per ringraziare il direttore dell’Archivio, don Mariano Dell’Omo, per l’opportunità e l’aiuto offerto alla ricerca.

3 Giancarlo Belgrano, uomo di grande acume e cultura, scomparve pochi giorni dopo le prime poche sedute presso l’Archivio di Montecassino. Travolti da vicissitudini globali, quali il covid-19, e personali, il progetto poi si arenò.

4 E. Gattola, Ad historiam Abbatiae Cassinensis accessiones, Venezia 1734, p. 17.

5 Il diritto di ancoraggio, come si evince dal lemma, era la tassa che si pretendeva quando si fissava l’ancora dell’imbarcazione presso l’insenatura. Il falangaggio si esigeva per le barche più piccole, che si legavano attraverso una corda ad un palo fissato nell’acqua prospiciente la riva, la falanga appunto.

6 Si consulti al riguardo S. Cardillo, Scauri porto di Montecassino. Nuovi documenti dall’Archivio di Stato di Napoli, «Annali del Lazio Meridionale. Storia e storiografia», XX, 39-40, ottobre 2020, pp. 54-62.

7 Il Prioratus S. Petri de Scauli compare ancora nella lista delle tassazioni riportata in A. Tamburini, De Iure Abbatum et aliorum Prelatorum, I, 1650, p. 455.

8 Cfr. T. Leccisotti, Alcune note sul Monastero di S. Angelo in Gaeta, in «Bollettino dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale», 4, 1966, pp. 95-106. Nelle note al saggio storico, il Leccisotti tramanda la notizia che il monastero fu soppresso da Ferdinando IV nel 1788 (nota 1, p. 103). Riprendendo il Cod. 855 di G. Gattola, Memorie storiche di Gaeta, presente presso l’Archivio di Montecassino, il Leccisotti riferisce: «Siccome la chiesa di San Pietro situata a Scavoli dall’anno 993 fu confermata al monasterio di S. Teodoro, così poi per l’unione di questo a quello di S. Angelo abbiamo notizia che nell’anno 1470 si possedeva dal medesimo», op. cit., nota 13, p. 105.

9 Archivio Storico di Montecassino, Fol. 10.

10 Seppur autore di non grande affidabilità, Francescantonio Riccardelli segnala a Traetto una «vetustissima Chiesetta dedicata al protomartire S. Stefano in cui evvi pure la confraternita sotto il titolo dello stesso Santo» (cfr. F. Riccardelli, Minturno e Traetto: svolgimenti storici, antichi e moderni, 1873, p. 372). Si può ipotizzare si tratti della stessa congregazione minturnese che possedeva un fondo verso Scauri.

11 La piscina loculata venne rinvenuta nel 1926. Un modello della stessa venne presentato alla Mostra Augustea della romanità a Roma. Cfr. Mostra Augustea della romanità: Catalogo, a cura di G. Q. Giglioli, Roma, 1938, p. 881. Di un ninfeo sotto il Monte di Scauri, ci informa il Neuerburg, che riferisce di un’opera costituita da una camera a pianta rettangolare con pareti rivestite in reticolato e coperta da una volta a crociera. Cfr. N. Neuerburg, L’architettura delle fontane e dei ninfei nell’Italia antica, Napoli 1965, p. 145. La presenza di un piccolo tempio dedicato a Nettuno è notizia tramandata da Erasmo Gesualdo e ripresa da autori successivi quali il Ciuffi. Scrive il Gesualdo: «E ivi vicino attaccato alla piccola collina, che gli sovrasta, vi è un’antica cappella, o sia picciol tempio colla sua nicchia, forse dedicato a Nettuno». Cfr. E. Gesualdo, Osservazioni critiche di Erasmo Gesualdo sopra la storia della via Appia di D. Francesco M. Pratilli e di altri autori nell’opera citati, Napoli, 1754, p. 469. Duole rilevare come di nessuna di queste opere citate sia rimasta traccia ai tempi odierni, realizzazioni antiche travolte dall’incuria umana.

12 CDC, Tomus I, Pars I. Doc. n. XCI, pag. 169: «…aecclesia sancti petri apostoli qui sita est in porto scauritano».

13 Nel faldone presente a Montecassino, si rinviene la notizia della scomparsa, nel XVIII secolo, anche della seconda chiesa medievale presente sul territorio scaurese. Si tratta molto presumibilmente della chiesa di Santa Albina V.M. Infatti, descrivendo i beni goduti in località Corona, nel documento si afferma che il terreno viene concesso in enfiteusi al sig. Giovanni Faraone di Traetto e che nel fabbricare il Faraone un proprio palazzo, questo venne costruito «sopra una muraglia antica, che prima era chiesa». Paradigmatico, a tal proposito, cosa scrive il canonico Gaetano Ciuffi nel 1854: «non molto distante da questo luogo si trova la masseria del signor Faraone, ed in essa si osserva un’antica fabbrica, sulla quale gli antenati di lui inalzarono un’altra stanza. Presenta questa la figura di un tempio antico, giacchè contiene delle nicchie in tutt’ i lati dalla parte di fuori, e due grandi sotterranei al di sotto. Poco lontano da questo luogo si ritrova un recinto di pietre quadrangolari simili a quelle di cui è formata l’arcata, e questo recinto ancora richiama al pensiero l’esistenza di un tempio antico, o di qualche altro edificio» (cfr. G. CIUFFI, Memorie storiche ed archeologiche della città di Traetto, 1854, pp. 87-88). Gli indizi sembrano essere davvero probanti. La prima notizia riguardante la chiesa antica di Santa Albina è nel CDC, Tomus I, Pars I, Doc. n. LXXX, pp. 148-149. Il documento, datato al 981, colloca la chiesa tra l’antica via Appia e il rio Pupino. La citazione combacia perfettamente con l’attuale località Faraone, che prende il nome dai proprietari che acquistarono i terreni nel XVIII secolo, fabbricando, come abbiamo visto, su una vecchia chiesa. Nei pressi della località Faraone passa il rio Recillo, che altro non è che il nome moderno del medievale «ribum Pupini». Sul perché entrambe le chiese presenti sul territorio scompaiano tra il XVII e il XVIII secolo, rimane il mistero e il silenzio delle fonti.

14 Nel faldone è presente una nota, da ritenersi successiva. Si legge infatti: «Se il Monastero vorrà censuare li magazeni di Scauli da cui l’affittatore poco ne ricava, perché sono a pezzi, e molto vi servirebbe per gli accomodi necessari, vi sarebbe persona li prenderebbe a censo renovando ogni 29 anni».

15 G. Mancieri, F. Lanzetta, B. Pera, Pianta topografica delle fabbriche una volta inservite per uso di Fainziera le quali sono limite alla spiaggia del mare detto di Scauri, di uno spiazzo così denominato, che gli è alle spalle, con dè ruderi di fabbriche, giardinetti, o paludette, e fabbriche per osteria, pesceria, mulini, ed altro, che si appartengono alla famiglia Carafa dè Duchi di Traetto, ed al Signor D. Domenico Rogondini, quale pianta serve per schiarimento dè fatti, che tutti concernano la introdotta vertenza tra i mentovati Proprietari, e fi annessa al corrispondente rapporto di perizia, 1839, china e acquerello su carta pesante (Archivio di Stato di Caserta, Tribunale Civile, Perizie, b. 1410, f. 2453).

16 D. Zagaria, Pianta ostensiva di alcuni molini, e pescherie dei Sig.i Duchi di Traetto D. Filippo, Commendatore D. Luigi ed Eminentissimo Cardinale Arcivescovo di Benevento D. Domenico Carafa, siti in tenimento di Scauri Circondario di Traetto, eseguita per la controversia tra detti Sig.i Duchi di Carafa Traetto, e Vittore Improta del detto Villaggio di Scauri, 1855, china e acquerello su cartoncino (Archivio di Stato di Caserta, Tribunale Civile, Perizie, II Inv., B. 1458, f. 1441).

17 Francesco Orgera, in un sopralluogo del 1873, comunica di aver potuto «osservare l’antico porto, oggidì giardino del Duca Carafa». Commissione Conservatrice dei Monumenti ed Oggetti di Antichità e Belle Arti. Verbale della Tornata del 5 Settembre 1873, in Atti della Commissione Conservatrice dei Monumenti ed oggetti di antichità e belle arti nella provincia di Terra di Lavoro, Anno Quarto, 1873, p. 94. Notevole la notizia che i moli interni e le banchine del porto romano, fossero oramai imprigionati sotto i giardini del Duca Carafa. Scrive invece Erasmo Gesualdo nel 1754: «[…] placido porto, scorgendosi dentro di esso in molta distanza, e dove è assai profondo, gli argini, o sian bracci, chel coprivano, e difendeano da’ suoi flutti. Non potendo dubitarsi di esservi stato il porto, perché oltre di ritenerne il nome, vi sono ancora alcuni marmi lunghi fabbricati nella punta del molo, che soltanto vi è rimasta, ne’ quali vi son gli occhi, o sieno i buchi rotondi fuori della fabbrica, per ligarsi le barche», op. cit., p. 469.

18 Archivio di Stato di Latina, Lavori per il ripristino ed il miglioramento del porticciolo di Scauri. Perizia, piano regolatore e progetto per il ripristino del miglioramento del porticciolo di Scavori in data 14 ottobre 1907, Serie Opere Pubbliche già Comuni: Minturno, b. 881.

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