I POLACCHI E IL BASTONE D’AVORIO DI MONTECASSINO

«Studi Cassinati», anno 2024, n. 2

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 Gaetano de Angelis-Curtis

L’operazione di salvataggio dei beni di Montecassino attuata nell’autunno 1943 dalla «Divisione Göring» su impulso del ten. col. Julius Schlegel e del cap. medico Maximilian Becker, aveva consentito di evitare la distruzione di parte del patrimonio artistico, culturale e religioso della badia cassinese. Tuttavia moltissimi oggetti, manufatti, pezzi, libri, quadri ecc. erano rimasti all’interno delle mura. Seguì poi il bombardamento del 15 febbraio 1944 e la totale distruzione della millenaria abbazia. Subito dopo le truppe germaniche occuparono le macerie ed ebbero così modo di aggirarsi tra le rovine trovando e sottraendo oggetti preziosi. Ad esempio alcuni parati e arredi sacri (pianete e piviali) e putti in legno del coro distrutto furono messi in alcune casse e portati ad Arpino dove furono utilizzati per scherno in un banchetto di ufficiali1. Così altri militari si aggirarono tra gli ambienti distrutti rinvenendo e prelevando oggetti. Per la verità ci fu anche chi, come il pittore militare Herbert Agricola trovò, tra le macerie di quella che antecedentemente era una delle navate della Basilica, la tela dell’Assunta di Paolo De Mattheis e, nonostante le consistenti dimensioni, riuscì a portarla in salvo fino al confine tra Germania e Austria per poi restituirla a Montecassino e dal 1952 ha ripreso posto nella nuova cappella dell’Assunta2.

I problemi maggiori si ebbero però dopo la liberazione operata dal II Corpo d’Armata polacco il 18 maggio 1944. Quando i polacchi del gen. Wladislaw Anders evacuarono le macerie dell’abbazia cominciarono a giungere «molti soldati alleati, in prevalenza neozelandesi, provenienti da un campo di riposo presso Arce». Essi arrivavano «a frotte con badili, picconi, seghe e lampade elettriche per frugare i sotterranei anche più reconditi». Vagavano tra i «resti sconvolti ed incustoditi», frugando dappertutto e asportando via «oggetti di ogni genere: stoviglie, argenteria, oggetti sacri, pezzi di tarsie e di mosaici, intagli del coro». Tali «visite importune» continuarono per giorni. La sera i neozelandesi ritornavano al campo di Arce e la mattina si ripresentavano a Montecassino alla ricerca di beni da asportare. In quegli stessi momenti tra le macerie c’erano alcuni monaci nonché vari soldati italiani del Genio militare che avevano il compito di recuperare gli oggetti scampati alla distruzione. Tuttavia i militari neozelandesi si fecero sempre più spavaldi e di fronte alle rimostranze dei genieri rispondevano accampando «diritti di conquista» giungendo «a rapinare violentemente» quanto già rinvenuto e arrivando «persino a perquisire i locali in cui pernottavano» gli italiani3. Un giorno si fecero consegnare quei pochi oggetti «che i genieri e un padre benedettino della Badia di Cava [dei Tirreni] avevano rinvenuto» e che avevano provveduto a celare in vari nascondigli. Così questi ultimi furono costretti a lavorare «nelle prime ore della mattina e della sera»4. Scomparvero crocifissi in avorio, pianete in seta, candelieri in bronzo, cristallerie, maioliche del cosiddetto «Quarto reale», stoviglie, vasi e oggetti sacri (croci processionali di scuola abruzzese).

Il magg. De Wald, a sinistra, e il cap. Ellis tentano di localizzare la posizione dell’archivio sepolto a Montecassino (Imperial War Museum Londra).
Il magg. De Wald e il cap. Ellis raccolgono libri e carte tra le rovine del monastero (Imperial War Museum Londra).

Mons. Ildefonso Rea, allora abate di Cava dei Tirreni, informò preoccupato il Vaticano che avanzò proteste formali alle autorità italiane che si attivarono e inviarono venti carabinieri. Subito dopo intervenne la Polizia alleata. Quindi il 2 giugno 1944 si portò a Montecassino nientemeno che il capo della Commissione del «Monuments, Fine Arts and Archives» (Mfaa)5 il maggiore Ernest T. de Wald6, accompagnato dal cap. Ellis. Solo così fu possibile mettere fine al «grave saccheggio tanto più spiacevole perché completava la distruzione di quello che si era salvato dalla terribile rovina della guerra»7.

Tutt’altro comportamento tennero, invece, i polacchi. Ad esempio alcuni cappellani militari del II Corpo d’Armata restituirono a Montecassino vari oggetti sacri trafugati da qualche militare. Al pari alla fine del 1944 il Comando polacco fece pervenire all’abate altri arredi e oggetti sacri che le truppe polacche avevano raccolto e conservato per restituirli al monastero8. Tuttavia il pezzo più «prezioso» fu restituito direttamente dal gen. Wladislaw Anders che lo consegnò il 20 giugno 1944 a papa Pio XII quando fu ricevuto nell’udienza «assai lunga» che il santo padre concesse al comandante polacco.

Il papa lo ricevette «con grande cordialità ed espresse la sua soddisfazione per la conquista di Montecassino da parte delle truppe polacche». Era al corrente dei buoni rapporti tra i soldati polacchi e la popolazione intera e ne [fu] lieto9.

Papa Pio XII, il gen. Anders e il bastone d’avorio di Montecassino (www.szukajwarchiwach.gov).

Nel corso dell’incontro il gen. Anders consegnò al pontefice un «preziosissimo» bastone d’avorio istoriato del b. Guido d’Arezzo (Paolo Burali)10. Tale «bastone, del secolo XVII, è un’opera d’arte squisita, avendo incise, in tutta la sua lunghezza, rappresentazioni della Vita della Vergine». I polacchi lo avevano sequestrato a un prigioniero tedesco il quale l’aveva trafugato da una stanzetta sotterranea del monastero e durante il tempo dell’as­sedio era utilizzato dal comandante della guarnigione nelle sue passeggiate quotidiane. Era stato «abbastanza maltrattato durante quelle passeggiate e si era danneggiato e rotto in un punto. Il gen. Anders lo fece riparare da uno specialista romano, coprendo il punto danneggiato con una fascia d’oro portante l’aquila polacca a ricordo del fatto»11.

Quindi il bastone d’avorio tornò a Montecassino, restituito al padre abate12.

1 Relazione di mons. Ildefonso Rea a mons. Tardini, 15 luglio 1944, in F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra di E. Grossetti- M. Matronola, Pubblicazioni Cassinesi, Montecassino 1997, p. 195.

2 H. Agricola, Come fu salvato un quadro della distrutta chiesa di Montecassino, in F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 207-210.

3 Relazione di mons. Ildefonso Rea a mons. Tardini, 15 luglio 1944, in F. Avagliano (a cura di), Il bombardamento di Montecassino … cit., pp. 196-197.

4 M. Dell’Omo, Un memoriale inedito scritto nel 1945 dal futuro abate Martino Matronola sulle vicende di Montecassino prima e dopo il bombardamento (1943-1944), in «Studi Cassinati», a, XIX, n. 1, gennaio-marzo 2019, p. 19.

5 Fin dal 1943 gli Alleati avevano avviato un programma finalizzato alla salvaguardia dei beni artistici e culturali delle aree toccate dalla guerra denominato «Monuments, Fine Arts and Archives Program» che operava tramite delle sottocommissioni. Quando poi si giunse alla liberazione di Roma venne costituita la Commissione alleata per i «Monuments, Fine Arts and Archives» (Mfaa) con il compito di fiancheggiare l’opera dei soprintendenti e di tutelare il patrimonio artistico anche dalle stesse truppe alleate (G. de Angelis-Curtis, Il salvataggio dei beni artistici, culturali e religiosi nel 1939-1944 tra Montecassino e le località di deposito dell’Italia centrale, Cdsc-Aps, Cassino 2023, p.136).

6 Ernest Theodor de Wald (1891-1968), archeologo e storico dell’arte, poliglotta, era docente all’Università di Princeton.

7 Relazione di mons. Ildefonso Rea a mons. Tardini … cit., pp. 196-197.

8 «Echi di Montecassino», a. II, n. 4, gennaio-giugno 1974, pp. 24-25.

9 Il gen. Anders fu avvisato dall’Ambasciatore polacco presso la Santa Sede, K. Papée, che sarebbe stato ricevuto in udienza privata dal pontefice. Così si recò a Roma che gli fece «grande impressione». Soprattutto poté piacevolmente constatare che né la Città «né le sue antiche rovine avevano molto sofferto dalle operazioni belliche». Alla fine dell’udienza iI pontefice gli consegnò la medaglia «Defensor Civitatis» (W. Anders, Un’armata in esilio, Cappelli Ed., Bologna 1950, p. 236).

10 Paolo Burali d’Arezzo (1511-1589) nato a Itri, fu chierico regolare teatino e prese il nome di religione di Guido d’Arezzo. Fu arcivescovo di Napoli e cardinale ed è venerato come beato.

11 Storia del bastone di Montecassino, in l’«Osservatore della Domenica», a. XII, n. 6, 11 febbraio 1945, p. 5.

12 M. Dell’Omo, Un memoriale inedito scritto nel 1945 … cit., p. 20.

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