CONSIDERAZIONI SULLA CITTÀ DI CASSINO FATTE DA UN CITTADINO ACQUISITO

«Studi Cassinati», anno 2024, n. 3

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di

Fernando Sidonio

Ho letto il libro scritto da Fabiano Guarino dal titolo Volevo crederci per volare- Fiat dagli anni di piombo agli albori del Rinnovamento, e subito ho provato una bellissima sensazione per le considerazioni che lo scrittore fa della città di Cassino che durante il suo percorso lavorativo lo ha accolto.

Tra le altre cose ci racconta di una Fiat all’epoca considerata dai suoi dipendenti come una seconda famiglia, che ha permesso a molti di poter condurre una vita decorosa e di aver potuto far studiare i propri figli, dando a Cassino lavoro e sviluppo economico. Pensiero questo da me pienamente condiviso in quando all’epoca collega Fiat di Guarino.

Leggerlo è stato un tuffo nel passato, un bel ricordo di vita vissuta che in molti abbiamo provato.

Partito da Valsinni (Potenza), Guarino va a Torino e lì vive dal 1969 al 1977 lavorando in Fiat. Ci racconta la sua esperienza lavorativa e quella inerente il suo inserimento nella società torinese non certo facile per una persona come lui e le altre provenienti dal Sud.

Fabiano Guarino.

Successivamente si trasferisce a Cassino ove vive dal 1977 al 1984 lavorando presso lo Stabilimento Fiat a Piedimonte S. Germano. A Cassino dapprima è solo e poi è raggiunto dalla sua famiglia.

La descrizione che fa di Cassino è un inno d’amore verso questa nostra città «martire di guerra» ma da lui descritta come luogo di infinita spiritualità religiosa per effetto dell’Abbazia di Montecassino che dall’alto del sacro monte sovrasta la città.

Racconta della ospitalità ricevuta da tutte le persone conosciute in quel periodo (diametralmente all’opposto di quanto ricevuto durante la sua permanenza a Torino) e dell’atmosfera bellissima di familiarità e solidarietà che legava gli uni agli altri. Guarino ha vissuto a Cassino nel periodo di massima espansione urbanistica della città. Presenta Cassino come una città bellissima, moderna efficiente, definendola come uno dei pochi Comuni della Provincia ad aver adottato regolamenti attuativi per servizi ed assistenza ai cittadini. Leggendo il suo scritto mi sono chiesto perché noi, in molti, ancora oggi, non riusciamo a vederla con gli stessi occhi di Guarino. È un libro scritto in maniera semplice che si legge benissimo e velocemente proprio perché scritto con il cuore.

E per questo motivo che ho pensato di pubblicare interamente un capitolo nel quale l’autore parla di Cassino:

CASSINO – CITTÀ MARTIRE E CALVARIO D’ITALIA

«La vita irrequieta, mi portava ad andare lontano. Non volevo rimanere nello stesso luogo, nello stesso ambiente, ma in altri mondi di lavoro, per conoscere realtà diverse, nuove persone e nuovi sentimenti. Il mio intento era di ritornare vicino alle radici, per non dimenticare i profumi della mia terra, le nostalgie e le sofferenze. Non m’interessava la carriera. La navicella della vita lavorativa toglieva le ancore, partiva da Torino, superava abissi siderali di giudizi e di ripensamenti e volava, avvolta in un turbinio di sentimenti e di pensieri, nelle alte stratosfere, dirigendosi verso il Lazio per approdare in Ciociaria, precisamente nel frusinate in un paese famoso di nome Cassino martoriato dalla guerra.

Era il 1977, momento giusto per incominciare un’altra avventura. La crisi del 1976 fu propizia per me e per la mia famiglia, che forse non era benevola allo spostamento. Il mio volere fu assecondato. Trasferito nel Frusinate, fui catapultato con il mio benestare, nello stabilimento Fiat di Cassino di Piedimonte San Germano. In questo nuovo ambiente di lavoro, incominciai a conoscere nuove idee, nuovi panorami meravigliosi, con anfratti, dune, grotte e montagne arse. Avevo la sensazione di sentire ancora l’aria pungente, con odori acri rimasti dalla polvere da sparo, uscita dai cannoni tedeschi nelle famigerate battaglie avvenute in questi luoghi.

Dopo un mese di soggiorno, ospite a Castrocielo da un mio conoscente, fui raggiunto dalla famiglia.

Andammo ad abitare in Cassino, ridente cittadella, denominata dalla storia «Città Martire» per le bombe dell’ultima guerra, catapultate a grappoli sull’Abbazia di Monte Cassino. Per godermi l’armonioso spettacolo di pace e di tranquillità, trovammo casa nella zona centrale, vicino a Piazza S. Giovanni in Via Abate Aligerno, in una palazzina al terzo piano. Ero lontano ormai da quella città di Torino, frenetica, nebbiosa e caotica, che con i suoi scioperi, ed altri fattori sociologici e umani, portavano una certa frenesia, coinvolgendoci tutti.

La mia famiglia, cioè mia moglie e mio figlio, bambino di cinque anni, bravo ed intelligente, non trovavano difficoltà ad ambientarsi e fare amicizia con gli altri inquilini della palazzina, stabile con poche famiglie. Nel condominio, avevo conosciuto un amico di nome Vincenzo, abitava al secondo piano. Lui, un geometra impiegato al comune di Cassino, alto magro, sposato con un figlio, educato e rispettoso dei valori e sentimenti altrui. Nelle ore libere uscivamo insieme, la domenica andavamo a messa all’Abbazia di Monte Cassino. Fu in una di queste domeniche, che incominciò a raccontarmi la storia di questa bella città. Il suo breve racconto inizia così: “Senti Fabiano, chi non ha visto Cassino, non può dare un volto infernale alla ferocia della guerra. I frequenti bombardamenti hanno distrutto l’abitato, muri polverizzati, ridotti come se fossero stalattiti sospesi, come brandelli agli orli delle rocce. La campagna è rimasta priva d’ogni traccia di vegetazioni, dopo aver spento ogni traccia di vita nelle radici, nelle matrici segrete della terra; hanno raggiunto dopo aver distrutto le case degli uomini e gli alberi dove la piccola allodola cantava, il falco si posava per riposarsi e riprendere a volare a monte e il pettirosso faceva il suo nido. Hanno distrutto lassù sulla cima la casa di Dio. Ora mi sembra che esiste solo lo spettro di un paesaggio. Hanno portato caos, forme troncate, spezzate, pietrificate, in un paesaggio lunare, l’abitazione, la strada, la roccia, la selva e l’altare della Madonna, l’altare dell’eremita sono scheletri».

La sua storia è, senza orgoglio, la storia della stessa Italia antica e nuova, più volte abbattuta e più volte risorta ora è ancora più bella di prima.

Nella storia antica, qui si trovano i ruderi dell’antica villa di Varrone, l’anfiteatro, la tomba (poi Cappella del Crocifisso) eretta da Ummidia Quadratilla; qui si trova il teatro, uno dei più celebrati dell’epoca Romana classica imperiale. Ora nella storia moderna, la pace e la tranquillità dominano.

Sono ritornate le rondini, le allodole che portano armonie al creato.

Cassino è una città nuova che è quasi risorta dalle rovine. Resta lungamente negli occhi e nel cuore come un’immagine di sogni perduti e ritrovati. La sua bellezza consiste nelle varietà dei suoi contrasti, nelle albi mattutine, con il profumo delle ginestre e un sole spettacolare che sorge dai monti dell’Abbazia.

La città ricostruita tutta nuova è nata bella tra le mura imbiancate di fresco e di quei monconi su cui già il tempo ha disteso l’ombra funerea del passato. Io nuovo abitatore la vedo oggi, attraverso una filtrante primavera in quella campagna felice di melograni in fiore che fanno contrasti con l’ombra delle montagne irte di macigni e solcate da bombe sulle quali, lussureggiante già cresce il faggio, gli olivi il castagno e la quercia.

Dopo dieci anni Cassino entrava per la sua triste vicenda nella generosa simpatia dell’Italia e di tanti italiani e del mondo. È senza alcun dubbio l’unico comune della Provincia che si è provveduto di tutti i regolamenti, la cui esistenza e la cui osservanza erano indispensabili non solo per regolare l’andamento di tutti i servizi municipali, ma anche per dare una buona assistenza ai cittadini. Il passato a me sconosciuto, l’ho scoperto dai libri di storia e da tanti libri che ho letto, dandomi una visione generale e piacevole di questa bella città. Ora sono entusiasta di questo presente.

Distrutta alle fondamenti, da aerei rombanti, che hanno lasciato ancora l’incubo negli animi e nel cuore delle generazioni trascorse, è risorta, in una città fiorente con palazzi moderni. Il nuovo tribunale, nuove chiese ed industrie, la parte più importante è il nuovo stabilimento Fiat, gioiello di tecnologie, con la robotizzazione delle linee che sono all’avanguardia nel mondo del lavoro, che dà un grande impulso all’economia della zona. Costruito a Piedimonte S. Germano, ma denominato “Fiat Stabilimento di Cassino” si trova vicino alla Ferrovia Statale, sulla linea delle due grandi metropoli, Napoli- Roma, distante da Cassino circa dieci chilometri. Mi riempie di gioia, ritrovandomi quasi di casa, sotto un cielo amico, a contatto di gente che è rimasta ancora tale nella memoria e nel ricordo di un tempo, che la guerra non ha saputo e potuto invecchiare. Il grande insediamento industriale, fu messo da poco in funzione, per occupare la mano d’opera del Sud e dell’Italia centrale. Dall’alto dell’Abbazia, qualsiasi persona, volgendo gli occhi verso la vallata del Cassinate, lo vede dominare nell’imponenza della sua grandezza. I giochi dei raggi solari esaltano il luogo. Questa è la nuova Cassino, dalle vie soleggiate, dalle piazze rumorose di lavoratori, dalle numerose chiese, dalle magnifiche fontane, dai fiumi scorrevoli e dalle cascate spumeggianti.

Sovrastante a lei, monumento superbo d’arte, di sapienza e di storia è l’abbazia di Montecassino. Porta luce che splende come un faro di civiltà sul monte. Fu fondata da S. Benedetto, il più vero e maggiore dei santi, da ove, dettò la regola dei Benedettini, “Ora et Labora” (Prega e Lavora), rendendolo famoso nella storia del cristianesimo.

La zona era piena di malaria, che non risparmiava nessuno, fu bonificata dagli acquitrini. Ora è diventata una città armoniosa. Dalla mia abitazione sento in armonia con il mio credo, da lontano, i rintocchi della grande campana dell’Abbazia, che invitano il mio corpo e la mia mente a pensare il mio grande Dio. L’armonia del suono, porta fervori di vita, letizia nei volti, pacifica convivenza e non più lotte civili. La pace e la tranquillità, vi domina.

La sorpresa più grande nel periodo della mia vita a Cassino fu quella di ritrovare in quel collegio denominato “Istituto Figli d’Italia” il mio direttore di seminario Don Livio1.

La storia di quest’Istituto viene da molto lontana. Fu finanziato nel 1945 da un’Associazione Statunitense, che diede i contributi al premuroso zelo di padre Minozzi. L’Istituto si trova ai pendii dell’Abbazia di Monte Cassino accanto ai ruderi del Colosseo e vicino all’ospedale.

Raccoglieva i figli del Mezzogiorno d’Italia, giovani, orfani di guerra e poveri, che imparavano un’arte ed un mestiere dando prova di spiriti generosi e intendimenti civili. La sua presenza mi ha riportato agli anni della fanciullezza, ricordandomi gli insegnamenti, di spiritualità e di convivenza del mio essere umano. Lui, Don Livio, mi ha insegnato la legge dell’equilibrio spirituale che è diventata in me, legge d’equilibrio umano e sociale. Terrò sempre impresso nella mente questi fattori che devono rappresentare a me e alla famiglia un sacro impegno d’unione».

FABIANO GUARINO, Volevo crederci per volare. Fiat dagli anni di piombo agli albori del Rinnovamento, Herkules books, [s.l.] 2016, pagg. 393, illustr. col. e b./n.; ISBN 978-88-99333-18-8

1 Il riferimento è a don Livio De Grandis, nato a Roccacasale (Aq) il 3 settembre 1911, ordinato sacerdote il 31 dicembre 1939, inviato a inizio degli anni ‘80 a Cassino all’«Istituto Figli d’Italia» fondato da d. Giovanni Minozzi per assistere ed educare gli orfani.

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