«Studi Cassinati», anno 2024, n. 3
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di
Costantino Jadecola†
Tra i centri abitati del Lazio meridionale che subirono gli eventi bellici della Seconda guerra mondiale non molti probabilmente possono vantare una situazione analoga a quella di Villa Santa Lucia che quelle vicende visse in tacita e dignitosa sopportazione dall’inizio alla fine subendo uno stillicidio di bombe e quant’altro, in dosi anche consistenti, senza soluzione di continuità. Cosicché quando alla fine qualcuno accertò e dichiarò che la sua distruzione era da considerarsi totale di sicuro disse il vero certificando uno stato di cose che la guerra aveva “prodotto” nel più desolante “anonimato”, senza cioè far sì che questo comunità potesse legare il tragico ricordo di quella calamità ad un evento particolare da poterlo ricordare negli anni a venire con la solennità del caso.
Il suo martirio durò, infatti, tutto il tempo della guerra. In pratica, tra il mese di luglio del 1943 e quello di giugno dell’anno successivo. Perché a Villa Santa Lucia così come negli altri paesi che fanno corona alla piana aquinate la guerra si materializzò nella tarda serata del 19 luglio del ’43, ovvero diversi mesi prima che il territorio fosse occupato militarmente dai contendenti. Uno “spettacolo”, quello di quella notte, rimasto indelebile nella memoria sia di chi lo visse da attonito spettatore dalle alture circostanti la pianura o dalla pianura stessa sia da chi, al di là dei monti e delle colline, per chilometri di distanza, lo immaginò sollecitato prima dal bagliore delle migliaia di bengala che illuminarono e prepararono la scena e poi dallo scoppio delle bombe, nessuno saprà mai quante, che in quella occasione e ancora nei giorni immediatamente successivi decine e decine di aerei anglo-americani vomitarono senza risparmio sul territorio eliminando dalla scena l’aeroporto di Aquino.
Fu così che quella guerra venne preannunciata da queste parti e lo sgomento fu subito grande.
Villa Santa Lucia godeva allora, come gode oggi, della posizione privilegiata in una conca del monte Cairo che si apre tra Piedimonte San Germano e Montecassino, adagiata com’è, «in bella esposizione», scriveva mons. Rocco Bonanni, sulle pendici del monte Pizzo Corno, «dove i venti freddi nell’inverno non si sentono affatto»1tant’è che nel territorio più o meno prossimo è difficile imbattersi in una generosa fioritura di saporiti e genuini agrumi come qui accade.
Ma quell’inverno del 1944 non furono molti coloro che potettero gustarne la bontà: non tanto perché le molte bombe che cadevano da queste parti ne stroncarono la fioritura quanto perché, piuttosto, vista la “mala parata” la gente preferì appartarsi in luoghi ritenuti più sicuri, principalmente sul monte Cairo, dove si poteva vivere meno esposti sia alle intemperanze delle bombe alleate che a quelle, di altra natura, dei tedeschi. E per chi non aveva preso la via dei monti o non era riuscito a trovare soluzione alternative fu fatale sottoporsi a quell’altro, tragico rito dello sfollamento che nel sud della provincia venne attuato per la prima volta verso la fine di novembre del ’43: generalmente, dopo una prima, temporanea sosta presso il centro di raccolta e di smistamento di Ceprano, poi abolito, o i centri di assistenza di Ferentino e di Alatri, la destinazione finale era quasi sempre una località del Nord Italia. A meno che, profittando delle circostanze, non si riuscisse a sgattaiolare.
Intanto i tedeschi, tanto per far capire che non scherzavano affatto, il giorno dei morti del 1943 avevano impiccato nella piccola piazza antistante la chiesa parrocchiale dedicata alla patrona Santa Lucia un giovane di Piedimonte, Biagio Pelagalli, appartenente, secondo Raffaele Nardoianni2, ad un gruppo partigiano costituitosi nel suo paese, il quale era stato catturato dai tedeschi dopo uno scontro a fuoco ed un successivo inseguimento sui monti. Fatti radunare molti abitanti di Villa ed anche alcuni di Piedimonte, racconta sempre Nardoianni, «quando tutti furono sul posto, fu ordinato ad un giovane, lì presente, di scavare una fossa in prossimità della pianta di fichi esistente in quella piazza. Di poi, alla presenza del popolo terrorizzato, un tedesco consegnò all’infelice Pelagalli una fune, con la quale egli stesso dovette fare un nodo scorsoio, e legarla a un ramo dell’albero. Una pietra fu posta sotto la pianta e su di essa fu fatto salire lo sventurato il quale, con le sue mani, dovette attorcigliarsi al collo la fune. Dopo poche parole, pronunziate con tono aspro da un comandante, fu dato un poderoso calcio alla pietra, onde il corpo del giovane rimase penzoloni all’albero. I buoni cittadini di Villa e di Piedimonte, muti, esterrefatti, col cuore gonfio di dolore, dovettero assistere al terrificante spettacolo. (…) Per precisi ordini tedeschi, il corpo esanime del Martire rimase appeso a quell’albero per due giorni e poscia venne sepolto in quella fossa»3.
Al di là di questo specifico episodio, le vicende di Villa Santa Lucia in quei tempi di guerra sono, come si diceva, tutte da collegarsi ad una impressionante susseguirsi di bombardamenti dei quali il paese non è, forse, mai il bersaglio originario, non avendo alcuna potenzialità strategica, bensì il bersaglio occasionale determinato esclusivamente da evidenti errori umani compiuti al momento del lancio.
Del resto, che Villa Santa Lucia sia destinatario di attenzioni non volute lo hanno ben capito i monaci di Montecassino, da cui il paese dista lo spazio in linea d’aria di non più di tre chilometri, tant’è che nel Diario di guerra di don Eusebio Grossetti e di don Martino Matronola4 c’è più di qualche riferimento in tal senso: «Giovedì 23 dicembre [1943]. Fu in uno di questi pomeriggi che, mentre eravamo nell’orto, sotto il lato dei monaci, a prendere l’erba, passarono sopra di noi a poca altezza i grossi calibri alleati; noi continuammo il nostro lavoro, dicendo ogni volta che ne passava uno: ‘Via S. Lucia’: ossia l’obice era diretto a Villa S. Lucia”5; «Lunedì 3 gennaio [1944]. Giornata serenissima e quindi molto frequentata da incursioni specie nella zona della Cicogna, Villa Santa Lucia, pianura intorno ad Aquino…»6; «Martedì 12 gennaio. (…) Verso le 2 p.m. s’è visto cadere incendiato un apparecchio alleato su Villa S. Lucia»7; «Domenica 16 gennaio. A sera aerei e un razzo verso Villa S. Lucia”»8.
Tutto ciò è solo una parte, quella che ha potuto beneficiare di testimoni, di ciò che è realmente accaduto ed accaduto, si badi bene, prima che Montecassino fosse distrutta.
Figuriamoci dopo, quando ciò che resta del monastero è stato militarmente occupato dalle forze tedesche e divenuto parte integrante del loro sistema difensivo: insomma, se prima gli alleati sparavano “occasionalmente” verso il sacro monte rispettando a modo loro la sacralità del luogo, dopo il 15 febbraio ’44 naturalmente non si bada più a spese. Ove poi si consideri che non sempre i bombardamenti aerei centravano a pieno i bersagli – ne sanno qualcosa a San Pietro Infine e a Venafro per ciò che accadde durante il bombardamento di Montecassino e quello di Cassino del 15 marzo successivo – ecco così confermata la vicenda della lunga e lenta agonia vissuta da Villa Santa Lucia.
Tutto ciò fino a quando, all’indomani della sofferta conquista di Montecassino da parte delle truppe alleate e, segnatamente, da quelle polacche – erano le 10,20 del 18 maggio 1944 quando una pattuglia del 12° Lancieri issò la bandiera bianco-rossa polacca sulle rovine dell’abbazia – e per sette giorni, che definire d’inferno è dire poco, Villa Santa Lucia, Piedimonte San Germano e le alture si innalzano alle loro spalle, principalmente Pizzo Corno, o Passo Corno, come si legge in talune carte, divenute caposaldo di una nuova linea difensiva la cui iniziale intitolazione ad Hitler venne poi mutata, quando le cose cominciarono a prendere una brutta piega, in “sbarramento Senger” furono al centro di una violenta battaglia che, per essersi verificata a margine di quella per la conquista di Cassino prima e Montecassino dopo non ha mai beneficiato di soverchia attenzione.
A proposito di questa fase della guerra, il colonnello S.G. Heckel, capo dell’ufficio operazioni del comando della prima divisione paracadutisti tedesca, scriveva: «…Anche quando i carri armati nemici si trovarono già di fronte al cardine della Linea Senger Hitler, la Divisione intese inizialmente resistere quanto più a lungo fosse stato possibile sulle sue posizioni nelle montagne. Ritenemmo che il nemico fosse esausto dal combattimento sui colli ed incapace di effettuare il previsto attacco a Piedimonte con mordente sufficiente per intaccare le nostre difese, dopo che la Divisione era stata respinta sul cardine del Senger. Ma la potenza di tutti gli attacchi, sul fronte montano della Divisione, dimostrò che, nonostante le nostre previsioni, la potenza di pressione del nemico non soltanto non diminuì ma sembrò, al contrario, aumentare. Il nemico aveva forza sufficiente per alimentare la potenza dei suoi attacchi allo stesso livello iniziale, mentre la Divisione non poteva rinforzare il suo settore con forze fresche, a causa della situazione nella vallata del Liri. Il rapporto del logoramento delle forze attaccanti e della difesa cominciò a volgere a sfavore del difensore. Non volendo correre l’alea della rottura del fronte montano, la Divisione dovette prendere la decisione di ritirare le sue forze sul perno del Senger»9.
Con la conquista di Montecassino, obiettivo di quei lunghi mesi di guerra, la battaglia, infatti, non era ancora terminata. Quella “giocata” fra Villa Santa Lucia e Piedimonte, monte Cairo e Pizzo Corno, fu breve e cruenta.
Per fortuna le cose vanno decisamente meglio giù in pianura dove il territorio di Villa Santa Lucia si protende con una consistente fascia che ha il suo riferimento storico nell’antico insediamento di Piumarola che già tra il 19 e il 20 maggio viene occupata da truppe dell’VIII armata: «Il villaggio di Piumarola e lo aeroporto di Aquino sono stati occupati nel corso della veloce avanzata britannica resa possibile dalla caduta di Cassino e dalla distruzione delle postazioni d’artiglieria nemiche situate sulle colline che si ergono come un muro all’estremità settentrionale della pianura del Liri. Le difese nemiche apprestate in questa striscia di terreno sono costituite da campi di filo spinato e di mine abilmente disseminate, con profonde buche anticarro e con casematte precedentemente costruite in acciaio e cemento, munite di mitragliatrici, cannoni da 75 ed anche da 88 in modo da poter sviluppare un fuoco incrociato»10.
Sulla conquista di Piumarola, significativa è la testimonianza resa al prof. Luigi Serra dall’allora tenente Edward S. Wyke-Smith, ingegnere del reale genio britannico, che, in occasione del 60o anniversario della battaglia di Cassino, il 12 agosto 2004, vi fece ritorno con la figlia, portando con sé molte fotografie e disegni risalenti al periodo bellico, alcuni dei quali relativi a quella località, nonché un diario delle vicende di quei giorni in parte riproposto poi dal prof. Serra nel suo libro Piumarola nei secoli attraverso le immagini (2007).
Finalmente torna la quiete, nel senso che non si ode più il fragore delle armi. Il dramma, invece, continua, forse peggio di prima, di quando c’era la guerra: manca tutto. E dire tutto è dire poco.
Significativa è, in tal senso, questa testimonianza del signor Mario Marzullo11, titolare dell’ufficio postale di Villa Santa Lucia, che, dopo essere stato sfollato a Roma, torna in paese a settembre del 1944. Naturalmente del vecchio ufficio non c’era più traccia cosicché Marzullo è costretto ad inventarsene uno: a Formile. Ma è solo un “buco” sotto tetto e poiché in giro di tetti non è che se ne trovino molti, egli è praticamente costretto ad ubbidire a una regola ben precisa: casa e ufficio.
Inizialmente la posta arriva solo un paio di volte alla settimana; poi, qualche volta in più. Per sopperire alla mancanza di energia elettrica basta l’involucro di una bomba a mano, ovviamente priva dell’originario contenuto: il petrolio di cui è ripieno alimenta, infatti, uno stoppino cui è affidato il compito di produrre una luce che, seppur fievole e tremolante, è quanto di meglio ci possa essere. Del resto, anche l’altra utensileria domestica è di provenienza bellica: così, se le gavette interpretano magnificamente il ruolo delle pentole, gli elmetti inglesi non fanno per niente rimpiangere i vecchi bacili. A parte «le rocce della montagna che sembravano essere state smussate con lo scalpello»e che «allora, per mille lire ti ammazzavano», quello che a Marzullo è rimasto fisso nella mente è la faccia di chi, recatosi in ufficio per incassare qualche somma e sentendosi “aggredito” dalla malaria, lo pregava di far presto: «Pagami subito, ché sta arrivando la febbre».
Alla fine delle ostilità, intanto, Villa Santa Lucia è gratificata da una visita a sorpresa di Umberto di Savoia. Anche se di questa visita non si avrebbe traccia nei diari degli ufficiali al seguito, Luigi Serra12 assicura che «molti testimoni oculari ricordano l’avvenimento, pur non riuscendo, a distanza di anni, a ricordare la data: questa fu, con molta probabilità, la stessa della visita a Piedimonte San Germano (17 ottobre 1944, nda), dato il legame tra i due comuni che, oltre alla vicinanza, hanno sempre avuto molte cose in comune, come la caserma dei carabinieri. Ricorda chiaramente Attilio Vizzaccaro: ‘Tenevo una squadra a sgombrare le macerie nell’abitato di Villa S. Lucia, era circa mezzogiorno e gli operai stavano mangiando o giocando a carte, quando vedemmo arrivare una macchina con non poca meraviglia essendo la strada ancora ingombra di macerie. Accorremmo e subito riconobbi tra due ufficiali il Principe Umberto. Appariva molto commosso alla vista dello spettacolo di distruzione; ci incoraggiò a proseguire i lavori di ricostruzione. Volle visitare tutto il paese fino alla strada per la Cicogna dove si stava allestendo una fornace per cuocere la pietra calcarea per ricavarne la calce. Seduta stante mi nominò sindaco di Villa Santa Lucia dicendomi di darmi da fare e di mettermi in contatto con le autorità provinciali; infatti, qualche giorno dopo giunsero il prefetto ed il questore di Frosinone’»13.
1 R. Bonanni, Monografie storiche, F.R.E.S.T., Isola del Liri 1926, p. 120.
2 R. Nardoianni, Piedimonte San Germano nella voragine di Cassino., II edizione, Tipografia Carlo Malatesta, Cassino, 1974. p. 28.
3 Ibidem.
4 E. Grossetti, M. Matronola, Il bombardamento di Montecassino, a cura di Faustino Avagliano, Montecassino 1980.
5 Ivi, p. 47.
6 Ivi, p. 53.
7 Ivi, p. 61.
8 Ivi, p. 64.
9 W. Anders, Un’armata in esilio, Cappelli editore, Bologna 1950.
10 «Risorgimento»,Anno II, numero 122, Domenica 21 maggio 1944.
11 C. Jadecola, Mal’aria, Centro di Studi Sorani “V. Patriarca”, Sora 1998, p. 159.
12 Indimenticabile amico e studioso serio.
13 L. Serra, I Savoia a Cassino e nel Cassinate dal 1861 al 1983, Tipografia Pontone, Cassino 1985, pp. 350-351.
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