Rileggiamo … pagine di storia edite ma poco note
«Studi Cassinati», anno 2024, n. 3
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di
Anselmo Lentini1
Si propone la preziosa testimonianza di d. Anselmo Lentini sulle difficoltà incontrate a Roma per garantire la prosecuzione degli studi degli studenti di Montecassino (le note a corredo sono state aggiunte a cura di gdac). |
Il trentennale della distruzione di Montecassino ha già richiamato parecchi ricordi di quegli avvenimenti che la precedettero e la seguirono. E ognuno di quelli che fummo attori o vittime di quelle dolorose vicende, avrebbe da rievocare qualche cosa che ancor oggi potrebbe interessare.
Momento particolarmente triste fu per tutti lasciare il diletto cenobio e congedarsi dall’abate, su cui si versò, ripetuta e accumulata, l’amarezza di quei saluti che sarebbero potuti divenire – chissà! – anche gli estremi. Venne pure per me quel turno2. Con il P. Maestro (D. Mariano Jaccarino) e i giovani del noviziato, un camion tedesco, sotto una pioggerella che rendeva più malinconico il viaggio, mi portò a Roma, e dopo un ostentato giro per Piazza Venezia, mi lasciò a S. Anselmo, dov’ero destinato, mentre gli altri proseguirono per S. Paolo.
Come tutti i monaci della diaspora cassinese, sentivo certamente la lancinante pena dell’esilio, aggravata dall’incertezza delle sorti del monastero, ma ebbi fraterno conforto nell’accoglienza e convivenza cordiale dei confratelli anselmiani. Quando, proprio a S. Anselmo, giunse l’ultimo convoglio dei cassinesi sfollati, toccò a me, per invito degli ufficiali tedeschi che avevano provveduto a quel conclusivo viaggio, di pronunziare per la radio brevi parole di riconoscimento dell’opera di salvataggio compiuta allora dai militari tedeschi, aggiungendo il voto che nessuno dei belligeranti volesse intaccare il patrimonio sacro, storico, culturale, artistico costituito dal nostro multisecolare cenobio. Dopo pochi mesi quel voto, che era di tutti, avrebbe ricevuto una terribile risposta negativa.
Le angosce nostre erano accresciute da quelle dei nostri buoni diocesani, che ogni giorno più affluivano da Cassino e dintorni. Case e terreni abbandonati, famiglie smembrate, giovani dispersi e perseguitati, privazione di cibi, di vesti, di mezzi, mentre incombeva sempre più l’inverno. Non potrò mai dimenticare le lacrime e insieme il sollievo di un primo numeroso incontro di nostri profughi del Cassinate nella basilica di S. Paolo. Ognuno aveva la sua sofferenza da narrare, ma tutti trovavano nei volti e nelle parole degli amici e concittadini un seme di speranza e di consolazione.
Particolare mia cura fu quella dei seminaristi sfollati, giacché, per la pratica delle scuole, meglio degli altri conoscevo gli alunni. Seppi subito con gioia che un piccolo era stato ricoverato gentilmente dal P. Abate Salmon, di S. Girolamo, con i nostri ragazzi dell’Alunnato monastico. Poco dopo giunse uno di 5a ginnasiale: dove sistemarlo? Mi fu suggerito il Seminario minore Vaticano: e qui trovai nel Rettore un’accoglienza fatta di tanta comprensione e gentilezza che ne rimasi commosso. Il ragazzo vi fu subito accettato e poté lì comporre regolarmente il suo corso di studio. Avvicinai anche Mons. Ruffini, allora Segretario della S. Congregazione dei Seminari (poi Cardinale Arcivescovo di Palermo), ed egli s’interessò molto delle condizioni dei nostri giovani, ma non poté aiutarmi che col fornirmi la stoffa per la talare.
Passano alcuni giorni, ed ecco si presentano altri due: uno di 2° anno di teologia, l’altro piccolo della media, con un fratellino delle elementari. Comincia il mio pellegrinare per i vari Seminari, Collegi, Istituti religiosi di Roma. Provo davvero com’è duro calle – lo scendere e il salir, per l’altrui scale. Cerco qui, tento lì, supplico altrove: non c’è posto. Quel martirio dura un mese. A metà dicembre, dopo una logorante giornata, mi si fa il nome dell’Istituto S. Filippo dei Figli di D. Orione, in Via Appia Nuova. Coraggio: tentiamo anche questa via. Sono ammesso dal P. Piccinini3, e questi, appena esposto il caso, mi dichiara sull’istante: «Bene: il grande potrà andare domani al Seminario Lombardo; il piccolo e il fratellino verranno qui». Io rimasi sbalordito. «Come! – mi dice lui – non è contento?». «Contento? anche troppo! Io son preso dallo stupore, perché una soluzione così bella e così sollecita, dopo un mese di estenuanti ripulse, mi pare ancora un sogno.
Vedo che veramente D. Orione è il santo della carità e la sa fare bene e presto». Così tutto in un momento è concluso.
L’indomani accompagno il teologo al Lombardo. Anche qui il Rettore è di una estrema carità e cortesia. Il giovane è senz’altro ammesso, e quando io chiedo quale compenso, anche minimo, io debba all’Istituto, il generoso Rettore mi risponde: «Nulla, padre; Montecassino merita questo ed altro, e noi siamo lietissimi di aiutarlo in queste gravi contingenze». Così Gennarino Toti4 entra lì, in uno dei primi Seminari dell’Urbe, e vi può compiere tutti gli studi teologici sino al sacerdozio: il caro D. Gennarino che un banale incidente avrebbe immaturamente rapito ai vivi!
Bisogna poi aggiungere che l’ottimo Rettore mi annunziò subito che già un altro nostro alunno di teologia era stato accolto nel suo Istituto, per interessamento del fratello sacerdote. Caro giovane anche lui, che però non continuò per quella via.
E il piccolo? La sera stessa del colloquio al S. Filippo l’Abate di S. Girolamo mi telefona: «Lei è in difficoltà per quel ragazzo? Lo porti domani qui; aggiungeremo anche lui agli Alunni monastici». Così anche Adolfo Zambardi5 va a S. Girolamo, e frequenta con gli altri le scuole del Vaticano, mentre al S. Filippo va il fratellino, che lì segue tutti i suoi studi e vi diviene anche docente.
Dopo alcuni giorni si presenta un altro piccolo proveniente dal Volturno, ed anche a lui provvede D. Orione in una nuova casa di Monteverde; ma quel ragazzo è troppo spaurito e sbandato, e pur fornito da me di stoffa nuova per l’abito, dopo poco si dilegua tornando presso alcuni parenti.
Non mancò qualche nota tragicomica. Mi giunge un giorno la notizia della morte di un piccolo alunno di Cassino. Gli volevamo tutti un gran bene. Ne informo il Rettore nostro, D. Adeodato6, allora residente a Modena, che mi scrive desolato: «Povero il mio Franco! chi l’ha ucciso? com’è morto? così piccolo…» ecc. Dopo tanti lamenti e pianti, ecco che Franco è bello e vivo. Il Rettore, purtroppo, potrà saperlo solo dopo qualche anno.
Gli altri seminaristi, che al tempo dello sfollamento erano ancora tutti a casa loro, avevano seguito le vicende delle rispettive famiglie, e solo a guerra cessata poterono cominciare ad esser raccolti e sistemati qua e là in Seminari vicini per la loro formazione.
A Roma intanto seguivamo trepidanti il corso della guerra, ma speravamo sempre nel buon senso dei belligeranti per l’immunità di Montecassino. Anzi la confidenza ci aveva procurato una relativa serenità, che ci permise di preparare per Natale, con i pochi giovani studenti di S. Anselmo, un nuovo ludus natalicius, in latino, con suoni, canti, scene. In quella notte di Natale fu un avvenimento. Una novità gradita e ammiratissima. Il venerando Abate Primate Stotzingen venne poi di buon mattino in camera a ringraziarci; un padre, procuratore presso la Congregazione di Propaganda Fide, volle assolutamente la replica per farvi assistere il Card. Fumasoni Biondi, i Superiori e gli alunni del Collegio di Propaganda propose anzi sul serio che si rappresentasse il ludus anche dinanzi al Papa!
Ben altro ludus fu quello che ci attendeva poco più di un mese dopo. Quando la sera del 15 febbraio D. Nicola Clemente7 poté per primo raccontarci lo scempio a cui aveva assistito de visu poche ore prima, il cuore ci si spezzò dallo schianto8. Non potevamo davvero rassegnarci a pensare che la bella abbazia nostra, gaudium universae terrae, fosse divenuta una mostruosa congerie di rottami. Vennero poi gli altri confratelli; venne infine, fatto più venerando dal dolore estremo, l’Abate Diamare9, ripetendo fra le lacrime: «Montecassino non è più!». Ma la nostra fiducia non venne meno. L’onomastico dell’Abate, il 12 marzo, fu quella volta così triste; in quel giorno stesso assistemmo in Piazza S. Pietro alla grandiosa udienza in cui il Papa Pio XII scongiurò, con la sua supplice voce, la rovina da Roma minacciata; vivemmo per mesi ancora col cuore lacerato al pensiero che la guerra proseguiva sul sacro Monte; ma stretti ancor più nella carità e nello spirito di famiglia, eravamo già protesi tutti all’intento della riedificazione. sicuri che S. Benedetto ci aspettava per risollevare la sua Casa e i suoi figli.
* «Echi di Montecassino», a. II, n. 4, gennaio-giugno 1974, pp. 39-42.
1 Nato il 16 aprile 1901 a Favara (Agrigento), giunse tredicenne a Montecassino e fu ordinato sacerdote il 31 luglio 1924. Dopo aver conseguito il Dottorato in Teologia presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, si laureò nel 1930 in Lettere classiche presso l’Università di Roma. Quindi fu docente nel Collegio di Montecassino e nel Seminario diocesano di cui nel 1971 divenne rettore. Dopo la guerra gli fu affidata prima la redazione del bollettino «Succisa Virescit» e poi la direzione del «Bollettino Diocesano» che portò avanti per quasi un ventennio. Fu l’iniziatore del movimento dei Laureati cattolici, cui seguì il movimento dei Maestri delle Elementari. Fu chiamato a far parte del Consilium per l’esecuzione della costituzione liturgica del Concilio Vaticano II. Si spense il 16 ottobre 1989 a Montecassino (M. Dell’Omo, Ricordando D. Anselmo Lentini 1901-1989 nel suo servizio alla Diocesi cassinese, in «Bollettino Diocesano», n. 4, a. XLIV, ottobre-novembre-dicembre 1989, pp. 201-202).
2 D. Anselmo Lentini era giunto a Roma il 26 ottobre 1943 con uno dei camion militari della Divisione «Hermann Göring» che, a partire dal 19 ottobre precedente e fino al 3 novembre successivo, portarono nella capitale italiana un’ottantina fra suore, orfanelle, monaci, preti e anche civili nonché i beni artistici e culturali di Montecassino.
3 Gaetano Piccinini (1904 -1972), originario di Avezzano, orfano a causa del terremoto della Marsica del 1915, fu accolto, undicenne, da don Luigi Orione nella Colonia S. Maria di Roma. Dallo stesso fondatore ricevette l’abito talare e nel 1927 fu ordinato sacerdote. Laureatosi in Lettere all’Università di Torino, divenne direttore e preside in diversi Istituti orionini, prima a Novi Ligure e contemporaneamente al Pontificio Istituto scolastico S. Filippo di Roma. Durante la Seconda guerra mondiale operò soprattutto a Roma e si prodigò per soccorrere orfani e ragazzi mutilati dalla guerra e poi per salvare persone di origine ebraica. Nel 2008 a d. Gaetano Piccinini lo Stato di Israele ha riconosciuto il titolo di «Giusto fra le Nazioni» attribuito dal museo Yad Vashem di Gerusalemme alle persone non ebree che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare gli ebrei dalla Shoah.
4 Gennaro Toti di Cassino, seminarista presso il collegio di S. Benedetto a Montecassino, frequentava il secondo anno di teologia quando venne sfollato a Roma. Entrato al «Seminario Lombardo», poté frequentare uno dei primi Seminari dell’urbe, compiendo gli studi teologici fino al sacerdozio. Quindi gli fu assegnata la rettoria di S. Anna di Vallegrande di Villalatina e poi fu mandato a Rocchetta a Volturno prima come economo curato e dopo come arciprete parroco. Morì il 21 dicembre 1971 (Ecclesia Casinensis, La Diocesi di Montecassino, Tip. Pontone, Cassino 1975, p. 109).
5 Adolfo Zambardi era nato il 23 settembre 1928 a S. Pietro Infine. Anch’egli frequentava il seminario diocesano a Montecassino e a Roma continuò gli studi a S. Girolamo, frequentando con «altri le scuole del Vaticano». Fu ordinato sacerdote il 13 luglio 1952. Fu parroco di Vallemaio per un decennio (1955-1965), poi trasferito a Cervaro (Ecclesia Casinensis, La Diocesi … cit., pp. 65-100). È morto a Roma il 17 agosto 2011.
6 Adeodato (Deusdedit) De Donà era nato a Lorenzago del Cadore il 13 gennaio 1906. Fu ordinato sacerdote da mons. Gregorio Diamare a Montecassino il 22 dicembre 1934 (assieme a d. Eusebio Grossetti e a d. Nicola Clemente). Spirò il 23 gennaio 1951 all’interno della chiesa dell’Olivella di S. Elia Fiumerapido mentre si stava recando a piedi a Montecassino assieme agli altri monaci per celebrare la festa onomastico [sant’Ildefonso da Toledo] del padre abate. Dopo aver percorso il primo tratto di strada proveniente da Casalucense, l’infermità di cuore che da molto tempo lo travagliava lo sorprese con un attacco mortale.
7 Nicola Clemente, ordinato sacerdote da mons. Gregorio Diamare a Montecassino il 22 dicembre 1934, amministratore della badia, fu uno dei 13 religiosi autorizzati dal comando tedesco a permanere nel monastero nell’inverno 1943-44. Morì il 22 dicembre 1965 (F. Avagliano, a cura di, Gregorio Diamare abate di Montecassino 1909-1945, Archivio Storico di Montecassino, Montecassino 2005, p. 152).
8 Nel pomeriggio del 15 febbraio 1944, d. Nicola Clemente e pochi altri religiosi (d. Oderisio Graziosi, d. Francesco Falconio e fra Zaccaria), profondamente «sconvolti» dal bombardamento, si erano congedati dal padre abate e assieme ad altri civili sopravvissuti raggiunsero Roccasecca e poi Roma. D. Nicola Clemente e d. Francesco Falconio sottoscrissero una dichiarazione con la quale attestavano che in abbazia «non esistevano apprestamenti difensivi germanici, né truppe, né mezzi bellici di qualsiasi specie».
9 Mons. Diamare dopo aver lasciato alle 7.30 del 17 febbraio 1944 le macerie del monastero, alla testa di un «mesto corteo» formato da una quarantina di sopravvissuti in colonna, brandendo un «crocefisso di legno», aveva raggiunto la Chiesa del Colloquio a Villa S. Lucia. Fu portato prima a Roccasecca, poi a Castelmassimo di Veroli quindi nella sera del giorno dopo giunse a Roma.
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